Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 19567 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 19567 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 15/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23515/2024 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso in proprio, elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME (CODICE_FISCALE , elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-controricorrente-
avverso l’ ORDINANZA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE n. 7692/2024 depositata il 21/03/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
R.G. 23515/2024
COGNOME
Rep.
C.C. 27/5/2025
C.C. 14/4/2022
REVOCAZIONE EX ART. 391- BIS C.P.C.
FATTI DI CAUSA
Con ordinanza del 29 ottobre 2015 il Tribunale di Bari, in composizione monocratica, accolse il ricorso proposto dall’avv. NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’art. 700 cod. proc. civ., e ordinò a quest’ultima di riattivare immediatamente la linea telefonica fissa e mobile di cui al contratto di somministrazione stipulato tra le parti, stabilendo una somma di denaro per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione dell’ordine, ai sensi dell’art. 614 -bis cod. proc. civ., con condanna della stessa società al pagamento delle spese processuali.
In accoglimento del reclamo proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE con ordinanza collegiale pronunciata ai sensi dell’art. 669 -terdecies cod. proc. civ. in data 4 novembre 2015, il Tribunale di Bari revocò il provvedimento cautelare d’urgenza, con condanna del soccombente alle spese di entrambe le fasi del procedimento cautelare.
Avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale in sede di reclamo l’avv. COGNOME propose appello, che la Corte d’appello di Bari dichiarò inammissibile con sentenza 8 ottobre 2019.
Ritenne la Corte barese, tra l’altro, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, che il provvedimento impugnato non fosse ‘abnorme’, non avendo un contenuto differente da quello, di natura meramente cautelare, pronunciato dal giudice di prima istanza. Osservò la Corte che il Tribunale in sede di reclamo aveva ritenuto assente uno dei due presupposti indefettibili per l’emissione di un provvedimento cautelare, ovvero il periculum in mora . Il Tribunale, cioè, non era affatto entrato nel merito del contenzioso, non aveva esaminato la legittimità o meno del recesso contrattuale comunicato dalla società RAGIONE_SOCIALE, né la legittimità delle pretese economiche da questa avanzate contro l’avv. COGNOME rimanendo «saldo nel suo ambito, rilevando l’assorbente carenza di periculum ». Il che comportava che il ricorrente «ben avrebbe
potuto proporre giudizio di merito a tutela delle sue ragioni, al fine di conseguire una pronuncia avente natura decisoria e attitudine al giudicato».
La sentenza della Corte d’appello di Bari è stata impugnata con ricorso per cassazione dall’avv. COGNOME e questa Corte, con ordinanza 21 marzo 2024, n. 7692, ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente alla rifusione delle relative spese.
Ha premesso questa Corte che, per costante giurisprudenza, «quando il giudice, dopo avere dichiarato inammissibile una domanda, un capo di essa o un motivo d’impugnazione, in tal modo spogliandosi della potestas iudicandi , abbia ugualmente proceduto al loro esame nel merito, le relative argomentazioni devono ritenersi ininfluenti ai fini della decisione e, quindi, prive di effetti giuridici, di modo che la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnarle, essendo tenuta a censurare soltanto la dichiarazione d’inammissibilità».
Ciò detto, l’ordinanza ha affermato che il provvedimento impugnato aveva escluso il carattere abnorme o anomalo dell’ordinanza cautelare oggetto di appello, espressamente negando che quell’ordinanza avesse travalicato la funzione cautelare, sicché non poteva essere impugnata con l’appello.
Contro l’ordinanza di questa Corte propone ricorso per revocazione l’avv. NOME COGNOME ai sensi dell’art. 391 -bis cod. proc. civ., con atto affidato ad un motivo rescindente e tre motivi rescissori (questi ultimi ripresi dal ricorso precedente).
Resiste la RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Parte ricorrente ha formulato istanza di rimessione del ricorso alle Sezioni Unite, ma essa è stata rigettata dal Primo Presidente Aggiunto (delegato dalla Prima Presidente) con decreto del 16 maggio 2025.
Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso in sede rescindente si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione degli artt. 391bis e 395, n. 4), cod. proc. civ., affermando che l’ordinanza impugnata avrebbe deciso il ricorso sull’erronea presupposizione che esso non avesse censurato la dichiarazione di inammissibilità resa dalla Corte d’appello nella decisione impugnata.
Dopo aver premesso che l’impugnazione per revocazione delle pronunce della Corte di cassazione è ammissibile in relazione agli errori interni al giudizio di legittimità, il ricorrente osserva che l’ordinanza n. 7692 del 2024 sarebbe affetta da una viziata percezione o falsa supposizione dell’inesistenza di un fatto non controverso tra le parti. L’errore risiederebbe, nell’assunto del ricorrente, nel fatto che l’impugnato provvedimento avrebbe posto a fondamento della decisione la circostanza secondo cui «il ricorrente, nel proprio ricorso di legittimità, non avesse censurato la dichiarazione di inammissibilità resa dalla Corte d’appello di Bari nella sua sentenza»; da tale errato presupposto la Corte di cassazione avrebbe dedotto l’inammissibilità del ricorso. L’impugnata ordinanza non si sarebbe avveduta del fatto che tanto il primo quanto il secondo motivo del ricorso per cassazione avevano censurato la statuizione di inammissibilità con cui la Corte d’appello aveva deciso la causa. Tale statuizione, anzi, era a fondamento del ricorso per cassazione; ne consegue che l’impostazione dell’ordinanza di questa Corte sarebbe affetta da una svista, dovuta alla superficialità dell’esame dei fatti di causa, consistente nella convinzione che la decisione di inammissibilità non fosse stata censurata; errore, questo, che avrebbe portata decisiva.
1.1. Il motivo è inammissibile.
1.2. È opportuno ricordare, innanzitutto, che la Corte d’appello di Bari, nel dichiarare inammissibile, con la sentenza 8 ottobre 2019 oggetto del precedente ricorso per cassazione, l’appello proposto contro l’ordinanza del Tribunale in sede di reclamo, ebbe modo di precisare, tra l’altro, che la pronuncia in quella sede impugnata non era affatto entrata nel merito del contenzioso, essendosi limitata ad una decisione di natura cautelare (il che è pienamente in linea con la natura del reclamo di cui all’art. 669 -terdecies cod. proc. civ.).
Ciò comporta che la decisione emessa dal Tribunale di Bari non era suscettibile di essere impugnata con l’appello, data l’esplicita previsione dell’art. 669 -terdecies , quinto comma, cit., a norma del quale il giudice del reclamo pronuncia un’ordinanza «non impugnabile con la quale conferma, modifica o revoca il provvedimento cautelare». Corretta è da ritenere la decisione del Tribunale, quindi, anche nella parte in cui aveva messo in luce come il ricorrente avrebbe dovuto, conclusa la fase cautelare, dare corso al giudizio di merito.
Costituisce, del resto, pacifica giurisprudenza di questa Corte, nella scia della sentenza 23 gennaio 2004, n. 1245, delle Sezioni Unite, il principio secondo cui il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. è proponibile avverso provvedimenti giurisdizionali emessi in forma di ordinanza o di decreto solo quando essi siano definitivi ed abbiano carattere decisorio, siano cioè in grado di incidere con efficacia di giudicato su situazioni soggettive di natura sostanziale. Ciò comporta -lo si nota per completezza l’inammissibilità dell’impugnazione con tale mezzo dell’ordinanza adottata dal tribunale in sede di reclamo avverso provvedimento di natura cautelare o possessoria, giacché trattasi di decisione a carattere strumentale ed interinale operante per il limitato tempo del giudizio di merito e sino all’adozione delle determinazioni definitive all’esito di esso; inammissibilità che
sussiste anche quando si deduca la ‘abnormità’ del provvedimento medesimo, perché recante statuizioni eccedenti la funzione meramente cautelare, abnormità peraltro esclusa nel caso di specie (v., in argomento, ex multis , anche l’ordinanza 28 febbraio 2019, n. 6039, delle Sezioni Unite, la sentenza 4 novembre 2009, n. 23410, e l’ordinanza 8 settembre 2017, n. 20954).
Può aggiungersi che, allorquando una decisione venga emessa all’esito di un procedimento cautelare, la sede in cui è stata pronunciata, quale che ne sia il tenore assume rilievo assorbente nell’escludere che il provvedimento possa configurarsi come decisorio anche nel senso di integrare una sentenza appellabile: detta sede impone di considerare impugnabile il provvedimento con il reclamo cautelare. L’alternativa per ridiscuterne il contenuto ai fini di una cognizione piena della pretesa è solo l’introduzione del giudizio di merito.
A sua volta la decisione emessa in sede di eventuale reclamo, quale che ne sia il contenuto, riveste natura cautelare e, secondo lo schema normativo del c.d. procedimento cautelare uniforme, l’unico modo per ridiscuterne il contenuto ai fini di una cognizione piena è sempre l’introduzione del giudizio di merito.
1.3. L’ordinanza n. 7692 del 2024 ha richiamato, alla fine della p. 5 e nella prima parte della p. 6 della motivazione, il principio di cui alla sentenza 20 febbraio 2007, n. 3840, delle Sezioni Unite di questa Corte, osservando che, «quando il giudice, dopo avere dichiarato inammissibile una domanda, un capo di essa o un motivo d’impugnazione, in tal modo spogliandosi della potestas iudicandi , abbia ugualmente proceduto al loro esame nel merito, le relative argomentazioni devono ritenersi ininfluenti ai fini della decisione e sono, quindi, prive di effetti giuridici, di modo che la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnarle, essendo tenuta a censurare soltanto la dichiarazione d’inammissibilità, la quale costituisce la vera ragione della decisione».
Ciò detto, l’ordinanza n. 7692 ha tuttavia aggiunto a partire dalla parola «pertanto» di cui al primo capoverso della p. 6 -che la Corte d’appello aveva escluso il carattere abnorme o anomalo dell’ordinanza cautelare oggetto di appello, per tale ragione evidenziando che quest’ultima, non avendo natura di sentenza e non avendo «travalicato la funzione cautelare», mai avrebbe potuto essere impugnata con l’appello.
Consegue da tale ricostruzione che la prima parte della motivazione dell’ordinanza n. 7692, là dove ha richiamato la suindicata sentenza n. 3840 del 2007, l’ha fatto in un modo del tutto privo di pertinenza rispetto ai motivi di ricorso, poiché essi erano funzionali proprio a contestare la valutazione di inammissibilità compiuta dalla Corte d’appello. Ma l’odierno ricorso per revocazione non considera la seconda e decisiva parte della motivazione dell’ordinanza qui impugnata, nella quale, appunto, è stata esplicitata l’effettiva ratio decidendi del provvedimento. Ne consegue che questa Corte ha, nella sostanza, scrutinato la prospettazione dei motivi del ricorso proposto ed ha esaminato proprio, in quanto attinta dai motivi, la questione dell’ammissibilità dell’appello, ritenendo corretta la decisione della Corte barese ed avallando i principi giurisprudenziali in essa richiamati.
Si deve perciò concludere che la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, in quanto sostenuta dall’unica ed effettiva ratio decidendi suindicata, è corretta ai sensi dell’art. 360 -bis , n. 1), del codice di rito, avuto riguardo alla giurisprudenza sopra richiamata che esclude l’assoggettabilità al ricorso straordinario e dunque -giusta le considerazioni sopra svolte -ad un mezzo di impugnazione ordinario come l’appello, che suppone una decisione emessa a seguito del giudizio di merito.
Dal coacervo di tali osservazioni si deduce che l’odierna richiesta di revocazione è inammissibile per due ordini di concorrenti ragioni.
Da un lato, perché l’asserito errore revocatorio si risolve, per come è prospettato dal ricorrente, in un errore di diritto e non di fatto, consistente nel non avere la Corte di legittimità rettamente inteso il senso del ricorso proposto, e simile errore rimane estraneo al perimetro dell’impugnazione per revocazione. Dall’altro, perché il ricorrente dimostra di non cogliere la ratio decidendi dell’ordinanza impugnata, dal momento che il ricorso per cassazione è stato dichiarato inammissibile, come si è detto, per le ragioni indicate dall’ordinanza n. 7692 a partire dal primo capoverso della p. 6, e non per quelle erroneamente ritenute dall’odierno ricorrente.
I motivi di ricorso proposti per la fase rescissoria rimangono, evidentemente, assorbiti.
Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.
A tale esito segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 10 marzo 2014, n. 55.
Ritiene questa Corte, inoltre, che a carico del ricorrente vada posta l’ulteriore condanna di cui all’art. 96, primo comma, cod. proc. civ.; da un lato, per avere egli insistito nel sostenere una tesi giuridicamente del tutto priva di fondamento e già rigettata nei precedenti gradi di giudizio con argomenti più che validi, per di più attribuendo all’ordinanza oggi impugnata un contenuto decisorio che non è quello effettivo; dall’altro, perché la professione di avvocato svolta dal ricorrente, che non a caso si difende in proprio, non consente di giustificare un uso rivelatosi inutilmente defatigatorio degli strumenti di impugnazione.
Sussistono inoltre i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 6.200, di cui euro 200 per spese, oltre spese generali e accessori di legge; condanna altresì il ricorrente al pagamento, ai sensi dell’art. 96, primo comma, cod. proc. civ., dell’ulteriore somma di euro 3.000.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza