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Revoca dimissioni periodo prova: sì alla reintegra

La Corte di Cassazione ha stabilito che un lavoratore può legittimamente revocare le proprie dimissioni anche se presentate durante il periodo di prova. La normativa sulle dimissioni telematiche e sulla facoltà di revoca entro sette giorni si applica pienamente, prevalendo sul principio di libera recedibilità del patto di prova. A seguito della revoca, l’azienda deve reintegrare il dipendente per consentirgli di completare il periodo di prova, poiché il rapporto di lavoro si considera come mai interrotto.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Revoca Dimissioni nel Periodo di Prova: La Cassazione Conferma la Reintegra

Il periodo di prova rappresenta una fase delicata e cruciale del rapporto di lavoro, caratterizzata dalla cosiddetta libera recedibilità. Ma cosa succede se un lavoratore si dimette e poi ci ripensa entro pochi giorni? La facoltà di revoca dimissioni periodo di prova è legittima? Con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione ha fornito una risposta chiara, affermando la piena applicabilità delle tutele previste dalla legge sulle dimissioni telematiche anche in questa fase iniziale del rapporto.

I Fatti del Caso

Un lavoratore, assunto da una nota società di trasporti, rassegnava le proprie dimissioni telematiche pochi giorni dopo l’inizio del rapporto, durante il periodo di prova. Sette giorni dopo, esercitava la facoltà di revoca prevista dalla legge. L’azienda, tuttavia, si opponeva, ritenendo che la revoca non fosse efficace e che il rapporto si fosse definitivamente concluso con le dimissioni, data la natura del patto di prova che consente a entrambe le parti di recedere liberamente.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello davano ragione al lavoratore, ordinando alla società di riammetterlo in servizio per completare il periodo di prova. La società decideva quindi di ricorrere in Cassazione, sostenendo che la normativa sulla revoca delle dimissioni non dovesse applicarsi al periodo di prova e che, in ogni caso, il lavoratore avrebbe avuto diritto al massimo a un risarcimento del danno e non alla reintegrazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto il ricorso dell’azienda, confermando integralmente le decisioni dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno stabilito che la disciplina sulle dimissioni telematiche e sulla loro revoca, introdotta per contrastare il fenomeno delle ‘dimissioni in bianco’ e garantire l’autenticità della volontà del lavoratore, ha una portata generale.

Analisi delle Motivazioni sulla Revoca Dimissioni Periodo di Prova

Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri argomentativi principali che meritano un’analisi approfondita.

L’Applicabilità dell’Art. 26 D.Lgs. 151/2015

Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione dell’art. 26 del D.Lgs. n. 151/2015. Questa norma prevede che le dimissioni, a pena di inefficacia, debbano essere presentate esclusivamente con modalità telematiche e che il lavoratore abbia sette giorni di tempo per revocarle. La Corte ha chiarito che le eccezioni a questa regola (lavoro domestico, dimissioni in sedi protette, pubblico impiego) sono tassative e non possono essere estese per via interpretativa. Poiché il periodo di prova non è menzionato tra le esclusioni, la norma si applica pienamente.

La Corte ha inoltre specificato che la ratio del patto di prova (verificare la reciproca convenienza del contratto) e quella della norma sulle dimissioni (tutelare la genuinità del consenso del lavoratore) operano su piani diversi e non sono in conflitto. Un’eventuale circolare ministeriale che suggerisse un’interpretazione diversa non ha valore di legge e non può limitare i diritti del lavoratore.

Reintegrazione e non Risarcimento del Danno

Il secondo punto cruciale riguarda le conseguenze della revoca. La Cassazione ha spiegato che una revoca valida ed efficace elimina l’atto delle dimissioni fin dall’origine, come se non fosse mai avvenuto (tamquam non esset). Di conseguenza, il rapporto di lavoro non si è mai interrotto. L’effetto non può che essere il ripristino della situazione precedente (ex ante), ovvero la continuazione del rapporto di lavoro, inclusa la fase di prova che era stata interrotta.

Non si tratta, quindi, di un recesso illegittimo del datore di lavoro che genera un diritto al risarcimento, ma di un atto del lavoratore (le dimissioni) privato di ogni effetto da un successivo atto contrario (la revoca). Pertanto, l’unica conseguenza logica e giuridica è la ripresa del rapporto dal punto in cui si era interrotto.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza consolida un importante principio di tutela per i lavoratori. Stabilisce che il diritto di ripensamento entro sette giorni dalle dimissioni è un diritto fondamentale che non viene meno durante il periodo di prova. Le aziende devono essere consapevoli che, a fronte di una revoca dimissioni periodo di prova tempestiva, sono tenute a riammettere il lavoratore in servizio per la prosecuzione dell’esperimento lavorativo. La libera recedibilità tipica di questa fase non annulla le garanzie procedurali volte a proteggere la volontà del prestatore di lavoro.

È possibile revocare le dimissioni presentate durante il periodo di prova?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che la facoltà di revocare le dimissioni entro sette giorni dalla loro comunicazione telematica, come previsto dall’art. 26 del D.Lgs. 151/2015, si applica anche durante il periodo di prova. Le eccezioni a questa norma sono tassative e il patto di prova non rientra tra queste.

Quali sono le conseguenze di una valida revoca delle dimissioni nel periodo di prova?
A seguito di una revoca tempestiva ed efficace, le dimissioni si considerano come mai avvenute. Di conseguenza, il rapporto di lavoro non si è mai interrotto e deve essere ripristinato nella sua interezza, inclusa la prosecuzione del periodo di prova fino al suo completamento.

Una circolare ministeriale può escludere l’applicabilità della revoca delle dimissioni durante la prova?
No. La Corte ha stabilito che le circolari ministeriali sono atti interni alla pubblica amministrazione, non hanno forza di legge e non possono limitare i diritti dei cittadini né vincolare l’interpretazione dei giudici. Pertanto, non possono introdurre deroghe non previste dalla norma primaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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