Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20040 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20040 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 20896-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE AGRIGENTO, in persona del Commissario Straordinario e legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME
Oggetto
Impiego pubblico Ente locale Soppressione buono pasto
R.G.N. 20896/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 20/05/2025
CC
NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME
COGNOME COGNOME SPAZIANI COGNOME, SPAZIANI NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME TUTTOLOMONDO COGNOME TUTTOLOMONDO NOME TUTTOLOMONDO NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME tutti rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti –
nonché contro
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME COGNOME CIVILTA’ IRENE, COGNOME
– intimati –
avverso la sentenza n. 421/2021 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 16/06/2021 R.G.N. 520/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Palermo, in riforma della sentenza del Tribunale di Agrigento che aveva integralmente rigettato il ricorso, ha condannato il Libero Consorzio Comunale di
Agrigento al risarcimento del danno in favore di NOME COGNOME e degli altri litisconsorti indicati in epigrafe, tutti dipendenti dell’ente territoriale, e ha commisurato il risarcimento al valore dei buoni pasto non erogati a decorrere dal mese di giugno 2015.
La Corte territoriale ha rilevato in premessa che il Libero Consorzio, in attuazione di quanto previsto dagli artt. 45 e 46 del C.C.N.L. 14 settembre 2000 per il personale del comparto enti locali, aveva inizialmente corrisposto ai dipendenti i buoni pasto sostitutivi del servizio mensa e, successivamente, a decorrere dal mese di giugno 2015, aveva deliberato di interrompere l’erogazione.
Il giudice d’appello, pur dando atto della natura assistenziale e non retributiva del buono pasto nonché del principio secondo cui la corresponsione è rimessa alla determinazione degli enti, compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili, ha ritenuto che, una volta che il servizio sia stato attivato ed «entrato a fare parte del patrimonio del soggetto che ne fruisce», non è consentita la revoca unilaterale e «autocratica» del beneficio, perché in relazione agli atti di gestione del rapporto il datore è tenuto ad operare nel rispetto delle regole di correttezza e a non ledere ingiustificatamente l’affidamento riposto dal dipendente nella corresponsione dell’utilità.
È, quindi, necessario che l’ente dia conto delle ragioni e delle esigenze nuove che giustificano la soppressione e che si confronti con le organizzazioni sindacali. Nella specie, al contrario, il Consorzio si era limitato ad emanare una nota interna indirizzata ai dirigenti con la quale era stata comunicata la determinazione unilaterale di non rifinanziare l’erogazione dei buoni pasto.
Ha di conseguenza ritenuto fondata la domanda risarcitoria e ha commisurato il danno al controvalore dei buoni pasto non erogati.
4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Libero Consorzio Comunale di Agrigento sulla base di due motivi, illustrati da memoria, ai quali hanno opposto difese con controricorso NOME COGNOME e gli altri litisconsorti indicati in epigrafe.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 45 e 46 del CCNL 14 settembre 2000 per il personale del comparto enti locali nonché degli orientamenti applicativi Aran e deduce che le parti collettive non hanno inteso obbligare i datori di lavoro pubblici alla istituzione del servizio mensa o, in alternativa, alla attribuzione di buoni pasto sostitutivi, avendo previsto una mera facoltà subordinata all’esistenza delle risorse disponibili . Richiama gli orientamenti espressi dall’Aran per sostenere che il dipendente non è titolare di un diritto soggettivo alla corresponsione del buono pasto e deduce anche che, trattandosi di una mera facoltà, il servizio può essere soppresso senza che sia necessaria la condivisione della scelta con le organizzazioni sindacali. Aggiunge, peraltro, che la questione era stata oggetto di contrattazione decentrata integrativa e produce in questa sede i relativi verbali, precisando che il deposito si è reso necessario solo a seguito della pronuncia qui impugnata, che ha valorizzato il mancato confronto, sebbene il tema non fosse entrato a far parte del dibattito processuale. Fa leva, poi, sulla natura assistenziale e non retributiva dei buoni pasto,
desumibile anche dal divieto assoluto di monetizzazione, e richiama al riguardo giurisprudenza amministrativa e contabile evidenziando che la Corte d’appello, nel riconoscere il risarcimento del danno commisurato proprio al controvalore economico dei buoni pasto non erogati ha, nella sostanza, violato il richiamato divieto.
Con la seconda critica, ricondotta ai vizi di cui ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c., si addebita alla Corte territoriale di avere omesso l’esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti e di avere violato l’art. 3 del d.l. n . 333/1992. Il ricorrente, riprendendo argomenti già sviluppati nel primo motivo, fa leva sulla natura non retributiva dei buoni pasto e richiama giurisprudenza di questa Corte per sostenere che non opera il principio di irriducibilità della retribuzione e che il datore di lavoro può unilateralmente disporre la soppressione.
I motivi di ricorso, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione logica e giuridica, presentano profili di inammissibilità e sono per il resto infondati.
Inammissibili, perché non colgono l’effettiva ratio decidendi della pronuncia gravata, sono le deduzioni svolte sulla non obbligatorietà della istituzione del servizio mensa e sulla natura non retributiva dei buoni pasto. Nello storico di lite si è già evidenziato che il giudice d’appello di quella natura ha dato atto, ed ha anche richiamato giurisprudenza di questa Corte, formatasi in relazione al CCNL per il personale del comparto sanità, secondo cui ogni decisione in merito alla istituzione del servizio o all’erogazione dei buoni pasto sostitutivi dello stesso, è rimessa alle determinazioni del datore di lavoro pubblico e richiede la disponibilità delle relative risorse.
Il decisum si fonda unicamente sull’affermazione, che il Collegio ritiene conforme a diritto, secondo cui una volta che il servizio
sia stato istituito, previo reperimento delle relative risorse, la revoca del beneficio, ormai entrato nel patrimonio del dipendente, richiede, anche a tutela del legittimo affidamento del beneficiario e nel rispetto dei principi generali di correttezza e buona fede, che delle ragioni della stessa sia dato conto e che ne siano portate a conoscenza le organizzazioni sindacali.
Così ragionando il giudice del merito non si è discostato dall’orientamento , consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la discrezionalità del potere attribuito al datore di lavoro pubblico non rende assolutamente insindacabile l’esercizio dello stesso, ma implica solo che il giudice non può sostituire la propria valutazione di merito a quella espressa dal datore, sicché la natura discrezionale non esonera quest’ultimo dall’osservanza delle regole procedimentali previste per l’esercizio del potere e dall’obbligo di garantire nell’esecuzione del contratto il rispetto dei canoni generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ..
Si tratta di un principio che per il lavoro pubblico contrattualizzato trova fondamento costituzionale nell’art. 97 Cost., del quale costituisce attuazione la disciplina dettata dal d.lgs. n. 165/2001 nella parte in cui, all’art. 2, impone alle Pubbliche amministrazioni di garantire nella gestione dei rapporti non solo l’efficienza, l’efficacia e l’economicità ma anche l’imparzialità e la trasparenza dell’azione amministrativa, il che implica la necessità di dare conto delle ragioni sottese all’esercizio del potere, attraverso la motivazione dell’atto, che deve essere ragionevole, non illogica né apodittica o irrazionale. 3.1. Dai richiamati principi discende che ove, come nella fattispecie, il datore di lavoro pubblico, esercitando la facoltà prevista dalla disciplina contrattuale, abbia attivato il servizio sostitutivo della mensa, attraverso l’erogazione dei buoni pasto,
è necessario che siano esplicitate e provate le ragioni della revoca del beneficio, che non può essere arbitraria ma deve trovare giustificazione in circostanze sopravvenute, quali possono essere l’indisponibilità delle risorse o la necessità di destinare le stesse, nell’ ambito della gestione dei rapporti, ad altri fini obiettivamente prevalenti rispetto alle esigenze di carattere assistenziale che i buoni pasto assicurano.
Nella fattispecie, al contrario, la Corte territoriale, con accertamento di fatto non sindacabile in questa sede, ha rilevato che il Libero Consorzio non aveva in alcun modo dato conto delle ragioni della revoca, avendo solo diramato una nota interna indirizzata ai dirigenti, con la quale aveva «reso essi partecipi della determinazione unilaterale di non rifinanziare l’erogazione dei buoni pasto a partire dal mese di giugno 2015».
3.2. Il ricorso, nella parte in cui contesta detto accertamento fattuale sulla base di documenti non prodotti nei precedenti gradi di giudizio, è inammissibile.
E’ ius receptum il principio alla stregua del quale nel giudizio di legittimità è ammissibile ex art. 372 c.p.c. il deposito di documenti non prodotti in precedenza solo ove attengano alla nullità della sentenza impugnata o all’ammissibilità processuale del ricorso o del controricorso, ovvero al maturare di un successivo giudicato, mentre non è consentita la produzione di documenti nuovi relativi alla fondatezza nel merito della pretesa, per far valere i quali, se rinvenuti dopo la scadenza dei termini, la parte che ne assuma la decisività può esperire esclusivamente il rimedio della revocazione straordinaria ex art. 395, n. 3, cod. proc. civ., ove ne ricorrano le condizioni ( Cass. n. 41250/2021; Cass. n. 18464/2018; Cass. n. 4415/2020).
Alle considerazioni che precedono, già assorbenti, si deve aggiungere che a giustificazione della produzione il ricorrente
non può fare leva sulla circostanza dell’avvenuto rilievo d’ufficio da parte del giudice d’appello di una questione (quella inerente al ruolo riservato alla contrattazione collettiva integrativa) che non era stata devoluta al giudice dell’impugnazione né era entrata nel dibattito processuale a seguito di deduzioni delle parti.
Il ricorso, infatti, pur argomentando in tal senso nello sviluppo della prima censura, non denuncia alcun error in procedendo nel quale la Corte territoriale sarebbe incorsa, non eccepisce la nullità ex art. 360 n. 4 c.p.c. della sentenza o del procedimento, non individua specificatamente le disposizioni processuali violate dal giudice d’appello.
Trova, quindi, applicazione il principio secondo cui, non essendo l’ error in procedendo « rilevabile “ex officio”, è necessario una sollecitazione del potere di accertamento del vizio e cioè che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame. Sicché il corrispondente motivo in tanto è ammissibile ove contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale.» ( Cass. S.U. n. 20181/2019).
3.3. Parimenti inammissibile è la censura con la quale si addebita alla Corte territoriale di avere violato il divieto di monetizzazione dei buoni pasto, che discende dalla natura assistenziale, non retributiva, degli stessi.
Il ricorso non si confronta con il decisum della sentenza impugnata che, ritenuti violati gli obblighi di correttezza e buona fede, ha accolto la domanda risarcitoria ed ha fatto riferimento al valore del buono pasto solo come parametro per la liquidazione del danno.
E’ ius receptum l’orientamento alla stregua del quale nel giudizio di cassazione, a critica vincolata, i motivi devono avere i caratteri della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, sicché la proposizione di censure prive di specifica attinenza al decisum è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi, richiesta dall’art. 366 n.4 cod. proc. civ., e determina l’inammissibilità, in tutto o in parte del ricorso, rilevabile anche d’ufficio ( cfr. fra le tante Cass. n. 9450/2024, Cass. 15517/2020, Cass. n. 20910/2017, Cass. n. 17125/2007, Cass. S.U. n. 14385/2007).
A soli fini di completezza va aggiunto che, come ritenuto anche dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. C.d.S. n. 3386/2011), il divieto di monetizzazione, logicamente correlato alla funzione del buono pasto che in quanto sostitutivo del servizio mensa deve essere erogato al momento del bisogno e non retroattivamente, non può essere opposto in sede giudiziale dall’Amministrazion e inadempiente, perché ciò equivarrebbe a privare di ogni tutela il dipendente e ad escludere il diritto di quest’ultimo al risar cimento del danno subito.
3.4. In via conclusiva, per le considerazioni sopra esposte, il ricorso deve essere rigettato senza che ciò implichi alcun contrasto con il precedente di questa Corte richiamato dal ricorrente ( Cass. n. 16135/2020), non pertinente sia perché relativo a rapporto intercorrente con un datore di lavoro privato, sia in quanto in quel caso veniva in rilievo solo una prassi aziendale e l’erogazione del buono pasto, poi revocata, era avvenuta in assenza di specifiche disposizioni contrattuali.
3.5. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno poste a carico del ricorrente nella misura liquidata in dispositivo.
3.6. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in € 200,00 per esborsi ed € 5.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, il 20 maggio 2025
La Presidente
NOME COGNOME