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Revoca buoni pasto: le regole per la Pubblica Amm.

Un ente pubblico ha interrotto l’erogazione dei buoni pasto ai dipendenti con una decisione unilaterale. La Cassazione ha confermato la condanna al risarcimento, stabilendo che la revoca dei buoni pasto, pur essendo un atto discrezionale, non può essere arbitraria. Deve rispettare i principi di correttezza e buona fede, essere motivata e comunicata alle organizzazioni sindacali.

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Pubblicato il 22 agosto 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Revoca buoni pasto: le regole per la Pubblica Amministrazione

L’erogazione dei buoni pasto nel pubblico impiego rappresenta un beneficio importante per molti lavoratori. Ma cosa succede quando un ente pubblico decide di interromperla? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce che la revoca dei buoni pasto non può essere una decisione arbitraria. Anche se la loro concessione è discrezionale, una volta attivati, la loro soppressione deve seguire regole precise, basate sui principi di correttezza e buona fede.

Questo articolo analizza la pronuncia della Suprema Corte, spiegando perché un ente locale è stato condannato al risarcimento dei danni per aver interrotto l’erogazione dei ticket restaurant senza una valida giustificazione e senza un confronto con i sindacati.

I Fatti di Causa

Un Consorzio Comunale, in conformità con il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per il personale degli enti locali, aveva per lungo tempo erogato buoni pasto sostitutivi del servizio mensa ai propri dipendenti. Tuttavia, a partire da giugno 2015, l’ente aveva deliberato di interrompere l’erogazione, comunicando la decisione tramite una semplice nota interna indirizzata ai dirigenti.

I dipendenti, ritenendo illegittima tale soppressione, si sono rivolti al Tribunale per ottenere il risarcimento del danno. Mentre il giudice di primo grado ha respinto il ricorso, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione. Secondo i giudici di secondo grado, una volta che il servizio è stato attivato ed è entrato a far parte del patrimonio del lavoratore, non può essere revocato in modo unilaterale e “autocratico”. Il datore di lavoro pubblico è tenuto a operare nel rispetto della correttezza e a non ledere l’affidamento del dipendente. L’ente ha quindi proposto ricorso per Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla revoca buoni pasto

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del Consorzio Comunale, confermando la sentenza d’appello e la condanna al risarcimento del danno in favore dei lavoratori. La Suprema Corte ha stabilito che il punto centrale della questione non era se l’ente fosse obbligato o meno a istituire il servizio mensa, ma come ha gestito la sua soppressione. La discrezionalità del datore di lavoro pubblico non equivale ad arbitrarietà.

Le Motivazioni

Il ragionamento della Corte si fonda su principi cardine del rapporto di lavoro pubblico e dell’azione amministrativa. La decisione impugnata in appello era stata condannata non perché la revoca dei buoni pasto sia in sé vietata, ma per le modalità con cui era avvenuta. La Cassazione ha sottolineato che qualsiasi decisione del datore di lavoro pubblico, anche se discrezionale, deve rispettare i canoni generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), oltre ai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.).

Ciò implica che la revoca di un beneficio come i buoni pasto deve essere:
1. Motivata: L’ente deve esplicitare e provare le ragioni della revoca, come l’indisponibilità di risorse finanziarie o la necessità di destinare i fondi ad altri fini obiettivamente prevalenti.
2. Trasparente: Le ragioni devono essere portate a conoscenza delle organizzazioni sindacali.
3. Non arbitraria: La decisione non può essere illogica, irrazionale o basata su pretesti.

Nel caso specifico, l’ente si era limitato a una nota interna, senza dare conto delle ragioni della soppressione e senza avviare un confronto con i sindacati. La Corte ha inoltre respinto la censura relativa al divieto di “monetizzazione” dei buoni pasto. La condanna non era un pagamento retroattivo dei buoni, ma un risarcimento del danno derivante dalla violazione degli obblighi di correttezza e buona fede, per il quale il valore del buono è stato usato solo come parametro di quantificazione.

Le Conclusioni

La sentenza rafforza un importante principio a tutela dei dipendenti pubblici. La discrezionalità di un ente nell’attivare o meno un servizio non si traduce in un potere assoluto di revocarlo una volta concesso. La gestione del rapporto di lavoro da parte della Pubblica Amministrazione deve essere sempre improntata a trasparenza, ragionevolezza e rispetto dell’affidamento generato nei lavoratori. Di conseguenza, la revoca dei buoni pasto è legittima solo se supportata da ragioni concrete e verificabili e se avviene nel rispetto delle corrette relazioni sindacali, garantendo che la decisione non sia un mero atto d’imperio, ma una scelta ponderata e giustificata nell’ambito di una gestione efficiente e imparziale.

Un ente pubblico può revocare i buoni pasto ai propri dipendenti?
Sì, può farlo, poiché l’erogazione dei buoni pasto è una facoltà e non un obbligo assoluto. Tuttavia, la revoca non può essere arbitraria.

Quali condizioni devono essere rispettate per una legittima revoca dei buoni pasto?
La decisione di revoca deve essere motivata da ragioni oggettive (es. indisponibilità di risorse), non deve violare i principi di correttezza e buona fede, e le ragioni devono essere portate a conoscenza delle organizzazioni sindacali.

Se la revoca dei buoni pasto è illegittima, il dipendente ha diritto al valore economico dei buoni non ricevuti?
Sì, il dipendente ha diritto al risarcimento del danno. La Corte ha stabilito che, in caso di revoca illegittima, il danno può essere quantificato in misura pari al controvalore dei buoni pasto non erogati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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