Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5036 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L   Num. 5036  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 33789-2018 proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO,  presso  lo  studio  dell’avvocato  NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente pro  tempore , elettivamente  domiciliata  in  ROMAINDIRIZZO  INDIRIZZO, presso la RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
 avverso la sentenza n. 1056/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 23/05/2018 R.G.N. 941/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/01/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 25/01/2024
COGNOME.
Rep.
Ud. 25/01/2024
CC
-che, con sentenza del 23 maggio 2018, la Corte d’Appello di Bari, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Bari rigettava la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti della Regione Puglia, avente ad oggetto la condanna della Regione al pagamento delle differenze retributive maturate in relazione al diritto dell’istante all’inquadramento in ruolo con decorrenza giuridica ed economica dalla stessa data attribuita agli altri vincitori del concorso e non dalla data di stipula del contratto individuale di lavoro l’1.3.2005 ;
il NOME, dipendente della Regione medesima, aveva partecipato al concorso interno per 482 posti di VIII qualifica funzionale ed era stato ammesso con riserva nella graduatoria relativa, a seguito di ordinanza del Consiglio di Stato, ma aveva stipulato il contratto solo a seguito della sentenza favorevole del TAR sicché la Regione Puglia con determinazione dirigenziale n. 266 dell’11 febbraio 2005 gli aveva riconosciuto la qualifica funzionale con decorrenza giuridica dal 1° giugno 1999 ma non agli effetti economici, attribuiti solo a far tempo dal 1° marzo 2005;
-che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver e questa ritenuto di doversi attenere al principio per cui  la  retrodatazione  di  un  inquadramento  ai  fini  giuridici, risolvendosi in una fictio  iuris ,  non  può  comportare alcuna retroattività degli effetti economici, i quali, pertanto, decorrono unicamente dalla data in cui il nuovo inquadramento è stato conseguito;
-che per la cassazione di tale decisione ricorre il COGNOME, affidando  l’impugnazione  a  quattro  motivi,  cui  resiste,  con controricorso, la Regione Puglia;
-che entrambe le parti hanno poi depositato memoria.
CONSIDERATO
-che, con il primo motivo, il ricorrente nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 ss. c.c., in relazione al contratto individuale di lavoro del 1.3.2005 ed all’art. 5 del CCNL di comparto, imputa alla Corte territoriale l’erronea interpretazione della formula recata dal contratto individuale di lavoro concluso l’1.3.2005, assumendo che l’attribuzione ivi dichiarata dell’inquadramento nella ex VIII qualifica funzionaleD3 a decorrere dall’1.6.1999 andava intesa, non nel senso della mera retrodatazione dello stato giuridico del dipendente, bensì nel riconoscimento dell’effettivo esercizio da quella data delle mans ioni corrispondenti all’inquadramento attribuito, tanto che nel 2005 erano state riconosciute ben due progressioni economiche orizzontali, ottenute anche previa selezione;
-che,  con  il  secondo  motivo,  denunciando  il  vizio  di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, imputa alla Corte territoriale la mancata considerazione della documentazione in atti, ossia della determina dirigenziale n. 266/2005  e  dei  cedolini  paga  attestanti  il  possesso  della categoria D, posizione economica D4, già in epoca antecedente alla sottoscrizione del contratto;
-che la violazione e falsa applicazione dell’art. 11, comma 6-sexies, l. n. 14/2012 è prospettata in relazione a quanto denunciato con il primo motivo per cui l’inquadramento “giuridico” del ricorrente a decorrere dal 1.6.1999 doveva ritenersi effettivo in quanto tale da riflettere l’esercizio delle relative mansioni, conseguendo da quella circostanza l’applicabilità della sanatoria delle procedure espletate sulla base di norme poi dichiarate incostituzionali e derivandone la sussistenza del requisito per cui all’entrata in vigore della norma, nel 2012, fosse maturata la decennalità richiesta appunto in relazione agli “effetti giuridici” dispiegati dal contratto individuale di lavoro;
-che, con il quarto motivo, rubricato con riferimento al vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, il ricorrente lamenta a carico della Corte territoriale la mancata considerazione della comunicazione datoriale prodotta agli atti, con la quale, dopo essersi richiamata la declaratoria di incostituzionalità e la conseguente nullità di tutti gli inquadramenti e promozioni, si era però stabilito di chiudere senza esito il procedimento amministrativo, sulla base del richiamo dell’art. 11, comma 6-sexies cit., sicché era stato lo stesso datore di lavoro ad affermare che la sanatoria di cui alla norma citata si doveva estendere anche alla posizione del ricorrente;
-che tutti gli esposti motivi, i quali, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, devono ritenersi infondati alla luce dell’orientamento  più  volte  espresso  da  questa  Corte,  da ultimo  con  la  decisione  n.  35819/2023  vertente  su  una controversia  sostanzialmente  sovrapponibile  alla  presente, alla cui motivazione ci si richiama, non ravvisandosi ragioni per le quali discostarsi dal medesimo;
-che, in effetti, non può darsi in questa sede rilievo alla ragione di fondo su cui si basa la presente impugnazione, ovvero lo svolgimento di mansioni più elevate fin dal 1999, trattandosi di un fatto diametralmente divergente rispetto a quanto posto dalla Corte territoriale a fondamento del proprio ragionamento, ovverosia che solo dal marzo 2005 fossero state attribuite e svolte mansioni di maggiore rilievo, tema che va oltre la denunciata violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, riguardando, piuttosto, il non essersi tratto da quel fatto (attribuzione delle progressioni economiche) la conseguenza dello svolgimento medio tempore delle mansioni superiori, con ipotesi dunque da riportare, semmai, all’art. 360 c.p.c., n. 5, ma che comunque
non appare desumibile dalla mera interpretazione del contratto, sotto il profilo che in esso siano state riconosciute le progressioni economiche maturate tra il 1999 ed il 2005, perché rispetto a tale argomento vale anche quanto sostenuto nel controricorso, ovverosia che ciò sia accaduto in un’ottica di favore, osservazione alla quale può qui aggiungersi che il fine ben poteva anche essere quello di evitare che, chi fosse stato inquadrato nel 2005 si vedesse, nel trattamento a seguire da quella data in poi, economicamente sperequato rispetto a chi, sulla base delle medesime vicende concorsuali, era stato inquadrato fin da epoca precedente, per cui il dato interpretativo contrattuale non è dunque univoco nel senso propugnato con la censura e non è, quindi, idoneo a sovvertire l’accertamento svolto dalla Corte territoriale;
-che, d’altra parte, i dati sull’esercizio fin dal 1999 di quelle mansioni e delle selezioni per progressioni tra il 1999 ed il 2005 sono puramente affermati e, risultando tra l’altro diametralmente in contrasto con quanto posto dalla Corte di merito a fondamento della decisione, per essere utilmente introdotti avrebbero dovuto essere accompagnati dalla indicazione esatta del momento processuale in cui siano stati addotti in causa, ma di ciò non è traccia nel motivo ed anche nella ricostruzione narrativa si afferma solo che l’inquadramento era avvenuto “riconoscendo di fatto la progressione economica”, il che, come si è detto, è dato non univoco, spiegabile anche secondo logiche diverse;
vale  dunque,  sui  menzionati  profili  di  fatto,  il  consolidato principio per cui, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non  solo  di  allegare  l’avvenuta  loro  deduzione  innanzi  al
giudice  di  merito,  ma  anche,  in  ossequio  al  principio  di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito (tra le molte, Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675);
-neppure il richiamo all’art. 11, comma 6 sexies, d.l. n. 216/2011, conv. in l. n. 14/2012, in combinato disposto con l’art. 45, comma 12, d.lgs. n. 80/1998, può valere a fondare la pretesa del ricorrente : l’art. 11 cit. riguarda infatti le procedure di cui all’art. 45 cit., che sono procedure di “reclutamento”, mentre qui si discute di una procedura di avanzamento orizzontale interno, riservata solo agli interni e che quindi del reclutamento non ha le caratteristiche per cui in tale prospettiva si giustifica l’interpretazione elaborata dalla Corte territoriale, in quanto, nella norma, l’avere i contratti “determinato e consolidato effetti giuridici decennali” si pone in connessione diretta con l’essere state svolte attività conseguenti a quei “reclutamenti”, il cui fondamento giuridico sia poi venuto meno per effetto delle pronunce di illegittimità costituzionale;
in altri termini, la norma vale a sanare la posizione giuridica di chi sia stato reclutato in base a norma poi dichiarata illegittima, ma abbia svolto attività per un decennio alla data di entrata in vigore di essa, diversa è la posizione di chi non sia stato così reclutato, ma solo, essendo già in forza, vanti il diritto all’adibizione ad una posizione superiore, perché appunto non di reclutamento si tratta e l’attribuzione di maggiori diritti, una volta caducato il concorso, non può certo discendere se non dallo svolgimento di tali superiori funzioni di modo che è del tutto diverso ed infondato pretendere, come è nel caso di specie, che la salvaguardia con fictio iuris
della decorrenza giuridica (a fini di anzianità o eventualmente di assicurazione delle progressioni economiche maturabili medio tempore, come sostenuto nel controricorso e di cui già si è detto etc.) si possa tradurre, senza svolgimento di fatto delle attività e in esito ad una procedura che non è di reclutamento ma di progressione interna, nell’acquisizione di utilità senza che vi sia stato, per usare le parole della Corte territoriale, l'”impegno lavorativo di maggior pregio, meritevole del compenso più elevato”;
-che valgono, pertanto, i più generali principi già espressi da questa Corte nei propri precedenti, secondo cui, fondandosi evidentemente la salvaguardia ormai sulle leggi regionali successive e non sul concorso, palesemente caducato per effetto delle pronunce di incostituzionalità, la P.A., nel 2005, non poteva che assicurare, sulla base della normativa regionale sopravvenuta (e poi, tra l’altro, anch’essa caducata) i soli effetti già in concreto conseguiti all’esecuzione delle prestazioni in ragione della “effettiva esplicazione dell’attività di servizio del pubblico dipendente” che giustifica “la corresponsione del relativo trattamento economico, in base al nesso di corrispettività tra le due prestazioni che costituiscono il contenuto essenziale e qualificante del rapporto”, tale da subire “deroga nella sola ipotesi di un comportamento illegittimo della pubblica amministrazione” ( Cass. 13 ottobre 2021, n. 27925) o quelli a venire, sicché “la retrodatazione di un inquadramento ai fini giuridici, risolvendosi in una fictio iuris” non poteva “comportare alcuna retroattività degli effetti economici, che discendono unicamente dalla data in cui essi sono stati conseguiti quali corrispettivo di una effettiva prestazione lavorativa” (così’ ancora Cass. 27925/2021, cit.);
-che, al contempo,  nel  caso di specie, stante la caducazione dei concorsi “la conseguenza della declaratoria
di illegittimità costituzionale della normativa” ha per effetto che è da ritenere “rimosso anche il fondamento” dell’attribuzione del beneficio fin dalla data di ultimazione della procedura selettiva, sicché neppure la P.A. avrebbe potuto agire diversamente, “perché la caducazione del concorso le impediva di dare corso in qualunque modo agli effetti di esso” ed è “evidente come, nonostante l’originaria azione giudiziale in sede di giurisdizione amministrativa sia stata proposta… prima della declaratoria di illegittimità costituzionale, non sia possibile la conservazione degli effetti di essa, destinati a caducarsi come il concorso cui la domanda accedeva” (Cass. 26 ottobre 2021, n. 30144), fermi soltanto gli effetti conseguibili ed in concreto conseguiti sulla base della disciplina di salvaguardia sulla cui base la P.A. ha proceduto, quanto ai “riservisti”, nel 2005;
-che in continuità con le plurime pronunce già assunte rispetto a questo contenzioso (Cass, n. 18532/2022; Cass. n. 29632/2021) va dunque escluso che il riconoscimento della retroattività  giuridica  comporti  le  conseguenze  economiche rivendicate;
-che va solo aggiunto, con riguardo all’ultimo motivo di ricorso, che l’avere la RAGIONE_SOCIALE. richiamato, nel decidere di non addivenire addirittura alla caducazione dei rapporti di lavoro in essere, l’art. 11, comma 6-sexies, non vale certamente ad attribuire alla norma un significato che essa, rispetto al caso di specie, non può avere, né in ipotesi a legittimare per mera volontà dell’ente ad un trattamento retroattivo rispetto allo svolgimento dell'”impegno lavorativo di maggior pregio, meritevole del compenso più elevato”, che la disciplina non permette di riconoscere, anche perché il datore di lavoro pubblico non ha alcuna disponibilità delle situazioni sostanziali riguardanti l’inquadramento da esso gestite;
-che il ricorso va, pertanto, rigettato, con regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200, per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi oltre spese generali al 15% ed altri accessori Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 25.1.2024.