Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15899 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 15899 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 19097-2019 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA A FAVORE DEI RAGIONIERI E PERITI COMMERCIALI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO NOME COGNOME INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3739/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/12/2018 R.G.N. 4832/2015;
R.G.N. 19097/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 26/02/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1. La Corte d’Appello di Roma ha respinto gli appelli riuniti proposti da COGNOME NOME avverso due sentenze di primo grado, l’una non definitiva di accoglimento dell’opposizione e revoca del decreto ingiuntivo di Euro 137.102,66 emesso per contributi non versati dal 1993 alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza dei Ragionieri e Periti Commerciali, l’altra definitiva con condanna del COGNOME al pagamento in favore della Cassa della somma di Euro 91.543,60 a titolo di contributi omessi nel periodo non prescritto dal 2006 al 2011 e della ulteriore somma di Euro 2.100,00 dovuta come sanzione per il mancato invio della comunicazione obbligatoria ex art. 44 del Regolamento di esecuzione della Cassa; l’appellante asseriva l’inesistenza di un obbligo con tributivo in presenza di un trattamento pensionistico erogato da INPS sin dal gennaio 2010, in relazione ad un rapporto di lavoro dipendente, e pertanto, non sussistendo un obbligo ma una mera facoltà di iscrizione alla Cassa, non era tenuto al versamento di quanto preteso dall’ente , essendo anche in possesso dei requisiti per la cancellazione.
La Corte territoriale ha invece confermato l’argomento del primo giudice circa la sussistenza dell’obbligo contributivo per coloro che abbiano esercitato la facoltà di iscriversi alla Cassa di previdenza, pur non avendone l’obbligo , né il richiedente aveva diritto alla restituzione di quanto versato non risultando la cessazione dall’iscrizione alla Cassa; ed ha respinto la doglianza di omesso esame della circostanza che il COGNOME avesse espressamente richiesto in data 26/1/2013 la cancellazione
dall’Albo con effetto retroattivo con restituzione dei contributi versati, poiché la norma regolamentare che prevedeva la cancellazione dall’Albo a richiesta dell’interessato in caso di iscrizione ad altra forma di previdenza obbligatoria era stata abrogata dal regolamento entrato in vigore l’1/1/2013, e poiché gli effetti della cancellazione decorrono non dalla domanda -non v’è effetto costitutivo -ma dall’emissione del provvedimento deliberativo di cancellazione emesso dal Consiglio dell’Ordine.
Infine, la Corte d’appello ha ritenuto tardivo l’appello della Cassa avverso la sentenza non definitiva, impugnata insieme con la sentenza definitiva nel termine di decadenza per quest’ultima e non per la prima, e infondata la doglianza sul criterio di calcolo seguito dal consulente tecnico in ordine all’annualità 2008.
Ricorre per cassazione il rag. COGNOME COGNOME affidandosi a due motivi a cui la Cassa professionale di previdenza resiste con tempestivo controricorso. Entrambi hanno depositato memorie. 3. La causa è stata trattata e decisa all’adunanza camerale del 26/2/2025.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia sotto un duplice profilo, ai sensi dell’art. 360 co.1 n.3 e n.4 c.p.c., la violazione ed errata applicazione dell’art. 345 co.3 c.p.c. nonché l’omessa ed insufficiente motivazione in ordine alla eccepita tardività della produzione, ad opera della Cassa Ragionieri e Periti Commerciali, del Regolamento della Previdenza entrato in vigore l’1/1/2013, in allegato al suo ricorso in appello (incidentale) notificato il 17/2/16, stanti il divieto assoluto di nuovi mezzi di prova in appello e l’irrilevanza della indispensabilità ai fini della decisione quale eccezione al divieto
di ‘nova’ in appello, come risultante all’esito della novella legislativa di cui al d.l. 83/2012 conv. in L. n.134/2012, e la possibilità di produrre il nuovo documento già nella comparsa di costituzione del giudizio di primo grado depositata il 5/10/2013, nè era stato dimostrato dalla Cassa di non aver potuto produrre precedentemente il Regolamento per causa a sé non imputabile.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’omessa e insufficiente motivazione nonché violazione ed errata applicazione del principio di tutela del legittimo affidamento, art. 3 Cost. in relazione all’art. 360 comma 1 n.3 e n.5 c.p.c.: la sentenza avrebbe affermato che, se la delibera di cancellazione (del 2013) decorresse dalla sua richiesta ‘i contributi di cui si discute sarebbero comunque dovuti, perché maturati in data an teriore’, e tuttavia, prima del nuovo Regolamento l’iscrizione era solo facoltativa non obbligatoria. Inoltre, sostiene che il Regolamento della Cassa, assurta a pubblica amministrazione, vada interpretato a mente dell’art. 11 disp. prel. cod.civ. ed aggiunge che la irretroattività vale per le norme penali, mentre in ambito civile la giurisprudenza della Corte Costituzionale non esclude che la domanda abbia efficacia retroattiva, purché sia rispettata la ragionevolezza e non si ponga in contrasto con valori ed interessi costituzionalmente garantiti: chiunque dovrebbe poter contare sul mantenimento di una situazione giuridica a suo favore, di fronte ad una inaspettata modifica, in presenza di un’aspettativa ragionevolmente fondata. La disposizione del previgente Regolamento del 2004 che prevedeva la facoltatività di iscrizione alla Cassa per i ragionieri beneficiari di altra pensione, era stata infatti superata dal nuovo regolamento del 2013 che aveva eliminato la possibilità di restituzione; ed invece, il ricorrente, che al momento della sua iscrizione alla Cassa non sapeva che sarebbe stato poi abrogato
l’art. 45 del Regolamento del 2004 inerente alla possibilità di chiedere la restituzione dei contributi soggettivi in caso di mancato raggiungimento del requisito anagrafico, aveva chiesto la cancellazione in data 28/1/2023 con restituzione dei contributi versati non potendo maturare il minimo necessario per le prestazioni previdenziali, e si duole che la Cassa non abbia previsto una normativa transitoria, in tal modo cagionando un mutamento della propria posizione soggettiva di titolare di un diritto a chiedere la restituzione a soggetto obbligato ad integrale pagamento, evidenziando una disparità di trattamento con coloro che avevano esercitato l’opzione restitutoria prima del 31/12/2012. In definitiva, la modifica delle condizioni contrattuali costituisce una grave violazione al principio di buona fede, quale modifica unilaterale del rapporto. Nelle memorie illustrative si riporta ai motivi precisando che nel rito del lavoro in via eccezionale possono essere ammesse anche d’ufficio nuove prove indispensabi li per la dimostrazione o negazione dei fatti costitutivi dei dritti controversi, a condizione che siano stati tempestivamente allegati e sussistano altri mezzi istruttori ritualmente dedotti ed acquisiti, meritevoli di approfondimento, o che la parte fosse impossibilitata a produrli.
Nel controricorso la Cassa Ragionieri e Periti Commerciali eccepisce la inammissibilità del ricorso non essendo denunciabile il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione stante il limite del sindacato di legittimità alla sola verifica del minimo costituzionale e non essendo consentita la ‘mescolanza o sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei’, nel rispetto della chiarezza e specificità dei motivi ex art. 366 n.4 c.p.c., peraltro in presenza di una pronuncia c.d. ‘doppia conforme’ che esclude la sindacabilità della ricostruzione del fatto. Ribadisce che chi facoltativamente si
iscrive alla Cassa ha l’obbligo di versare i contributi, essendo l’iscrizione la fonte dell’obbligo contributivo, e se fino al 2012 l’iscritto poteva chiederne la restituzione sapendo di non poter raggiungere gli anni di contribuzione necessaria per conseguire una prestazione previdenziale, con le nuove disposizioni regolamentari l’iscrizione non è più facoltativa ed è abrogata la disposizione sulla restituzione dei contributi; oggetto del giudizio non era l’accertamento se il richiedente avesse diritto alla cancellazione (non era stato contestato il rigetto della richiesta di cancellazione), e da quando, bensì se quegli fosse o meno tenuto al versamento; e non rileva conoscere le sorti del regolamento dopo il 2013 bensì se il ricorrente fosse tenuto al versamento omesso per il periodo quinquennale non prescritto (dal 2006 al 2011). Inoltre, le modifiche unilaterali del regolamento sono consentite in autotutela in virtù della autonomia gestionale organizzativa contabile della Cassa di previdenza professionale, riconosciutale ex d.lgs. 509/94. E sostiene, infine, l’inesistenza di un principio generale di restituzione di contributi legittimamente versati per i quali manchino i presupposti per la maturazione del diritto ad una prestazione previdenziale e la legit timità dell’abrogazione dell’istituto della restituzione dei contributi versati. Nelle memorie precisa che non era mai stata contestata la legittimità della delibera con cui la Cassa aveva rigettato la domanda di cancellazione, e che attraverso i due motivi il ricorrente mira, in realtà, ad ottenere una revisione della valutazione dei fatti compiuta dai giudici di merito.
4. Il ricorso non è fondato.
Sul primo motivo si osserva che il richiamo normativo e giurisprudenziale compiuto dal ricorrente (Cass. 26522/17 sul
criterio di indispensabilità non più riportato nel testo novellato dell’art. 345 co.3 c.p.c.) non è pertinente al caso di specie, poiché la normativa di riferimento nel rito del lavoro è l’art. 437 c.p.c. che espressamente prevede l’inammissibilità di nuov i mezzi di prova in appello, ‘salvo che il collegio anche d’ufficio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa’. Sul punto, anche di recente questa Corte ha osservato che nel rito del lavoro il giudice di appello valuta l’ammissibilità d ei documenti prodotti in base alla loro rilevanza e cioè ‘ all’indispensabilità ai fini della decisione, valutandone la potenziale idoneità dimostrativa in rapporto al thema probandum, avuto riguardo allo sviluppo assunto dall’intero processo ‘ (sez. Lav., ord . n. 19829/2924), precisando che ‘ costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 437, comma 2, c.p.c., quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto non dimostrato o non sufficientemente dimostrato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado ‘ (sez. Lav., ord. n. 16358/2024).
5.1 – Nel caso in esame, si osserva anche che il documento (Regolamento della Previdenza della Cassa Ragionieri) è stato approvato con Decreto Interministeriale del 17/12/2013 ed il relativo Comunicato è stato pubblicato su G.U. 22/2/2014 n.44, valevole come con dicio juris di efficacia dell’atto regolamentare con operatività retroattiva (lo asserisce Cass. Sez. lav. ord. 26360/2023 al par. 5.3 delle Ragioni della decisione ), sicché cronologicamente, alla data di deposito della memoria difensiva di costituzione del convenuto in primo grado (del 5/10/2013)
neppure si era avverato l’evento condizionate di efficacia del nuovo regola mento, la cui entrata in vigore, peraltro, all’art. 45 -norma conclusiva-, è stata prevista a partire dall’1/1/2013 determinando l’abrogazione del precedente Regolamento di esecuzione approvato con D.I. del 22/4/2004, salvo quanto previsto nel nuovo regolamento. Non ricorre, dunque, alcuna violazione della norma processuale, non correttamente invocata per la disciplina del rito del lavoro, sulla possibilità di produrre in appello documenti nuovi, dovendosene escludere la tardività e la non indispensabilità ai fini del decidere, ma anche l ‘eventuale imputabilità alla Cassa di una omessa produzione in primo grado.
6. Sul rilievo della omessa ed insufficiente motivazione del giudice di appello sulla eccepita tardività di produzione del predetto Regolamento, devesi osservare che, laddove il ricorrente lamenti un ‘ omessa pronuncia sulla eccezione difensiva, essa non è fondata ove il giudice l’abbia implicitamente respinta; attraverso la compiuta valutazione della rilevanza contenutistica del medesimo documento, invero, la Corte territoriale l’ha ritenuto indispensab ile per la soluzione del caso concreto (sulla distinzione fra omessa pronuncia ed omessa motivazione, cfr. Cass. ord. n. 27551/2024) e la parte non illustra un diverso argomento logico in forza del quale la soluzione della controversia sarebbe stata diversa se quel documento non fosse stato valutato, ovvero la decisività di una eventuale motivazione, non resa, sull’utilizzo del documento che asserisce essere stato prodotto tardivamente, ossia l’affermazione di un effetto ex tunc della domanda di cancellazione e la non debenza della contribuzione dalla percezione del trattamento pensionistico dal 2010 in dipendenza dalla iscrizione ad altro fondo previdenziale derivante da un
pregresso rapporto di lavoro dipendente. Invero, questa Corte (ord. n.26360/2023) ha precisato che la disciplina della iscrizione/cancellazione alla Cassa di previdenza e la tematica della successione di regolamenti trovino la loro fonte normativa nell’art. 1 d.lgs. 509/94, sia per quanto riguarda la trasformazione in associazione con personalità giuridica di diritto privato della Cassa nazionale previdenza e assistenza ragionieri e periti commerciali, inclusa nell’elenco A allegato al decreto legislativo, ‘ ferma restando l’obbligatorietà dell’iscrizione e della contribuzione ‘, sia per la riconosciuta autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei principi stabiliti dall’art. 2, cit. d.lgs.; ed in particolare sui regolamenti adottati dalle Casse, è stato precisato che ‘ questa Corte ne ha escluso la natura regolamentare in senso proprio, per affermarne la natura squisitamente negoziale, che la successiva approvazione ministeriale non vale a mutare (da ultimo, Cass., sez. lav., 2 dicembre 2020, n. 27541, con riferimento al regolamento per il trattamento assistenziale degli avvocati in stato di bisogno, adottato dalla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense; nello stesso senso, Cass., sez. lav., 4 marzo 2016, n. 4296, sul regolamento dell’RAGIONE_SOCIALE, e Cass., sez. lav., 26 settembre 2012, n. 16381, sul regolamento dell’Ente nazionale di previdenza e assistenza dei consulenti del lavoro)’ ed ancora, che ‘ Statuto e regolamento devono essere approvati, anche per quel che concerne le loro modificazioni, dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il «Ministero del tesoro» e con «gli altri Ministeri rispettivamente competenti ad esercitare la vigilanza per gli enti trasformati» (art. 3, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 509 del 1994). L’approvazione ministeriale non incide sulla formazione della volontà della Cassa ed esula dalla fattispecie costitutiva del
regolamento, in quanto atto negoziale, e dal novero dei requisiti che ne determinano l’esistenza e la validità. L’approvazione ministeriale si riverbera ab extrinseco sull’efficacia dell’atto e si configura come una condicio iuris, che in linea generale opera retroattivamente (art. 1360 cod. civ.), sin dall’emanazione dell’atto stesso, salvo che non sia indicato un termine diverso ‘.
Ove pure residuasse un argomento a favore della carenza motivazionale sull ‘ infondata eccezione di inammissibilità della produzione documentale, rileverebbe ad ogni modo un fondamento normativo sulla obbligatorietà di iscrizione e contribuzione (che nel caso di specie si traduce nella obbligatorietà della seconda, una volta accertata la prima), sulla natura negoziale del regolamento e sulla ammissibile retroattività degli effetti ad avveramento della condicio juris dell’approvazione ministeriale (lo ricorda l’ultimo inciso del Comunicato di approvazione del Regolamento, pubblicato su G.U. n.44/2014, ‘ La Cassa provvederà ad assumere il conseguente atto deliberativo di ratifica ‘ ).
Anche il secondo motivo di ricorso è infondato. Premesso che nell’atto difensivo il ricorrente non riporta il contenuto della norma regolamentare antecedente e successiva alla riforma del 2013, ossia la disposizione che prima prevedeva la facoltatività del l’iscrizione e di seguito ne imponeva l’obbligatorietà, rilevante come difetto di autosufficienza nella trascrizione di un atto avente natura negoziale, va in primo luogo evidenziato che non è corretta la doluta violazione del canone interpretativo di c ui all’art. 11 delle preleggi; il regolamento che non ha natura di fonte primaria o subprimaria, ma negoziale, non è soggetto alla regola tipica di ‘ efficacia della legge nel tempo ‘ né alla verifica, in sede di legittimità, dell’interpretazione dell’atto,
espressivo dell’autonomia negoziale dell’ente previdenziale privatizzato, secondo canoni diversi da quelli codificati all’art. 1360 cod. civ. e 1362 e ss. cod. civ., di cui il ricorrente non lamenta la violazione. Soccorre nuovamente, al riguardo, l’orient amento già espresso da questa Corte con ord. n.26360/2023 circa la natura negoziale del regolamento, immutata anche dopo l’approvazione ministeriale che opera come avveramento della condizione con efficacia retroattiva.
7.1Ed in quell’analogo precedente caso giurisprudenziale, a sconfessare un’ipotizzabile perpetuatio nell’affidamento alla permanenza delle previsioni del precedente Regolamento della Cassa del 2004, era stato anche osservato che il procedimento di modificazione si era già estrinsecato in epoca antecedente alla domanda di cancellazione e restituzione, ossia, per quanto in questa sede rileva, con una delibera del novembre 2012 (ed anche una successiva del febbraio 2013), prima di culminare nella delibera conclusiva del 9/9/2013 (quella poi recepita nel decreto interministeriale del 17/12013); ivi si legge che: ‘ Anche a voler mutuare i parametri che il giudice delle leggi adopera nel sindacato di costituzionalità delle modificazioni sfavorevoli della normativa attinente ai rapporti di durata, si deve osservare che il mutamento di disciplina è tutt’altro che repentino e inopinato. Non sussistono, dunque, quei caratteri d’imprevedibilità, idonei a sostanziare il vulnus al principio di affidamento e a denotare il contrasto con l’art. 3 Cost. (fra le molte, Corte costituzionale, sentenza n. 16 del 2017, punto 8.3. del Considerato in diritto). Non solo pendeva da tempo una procedura di modificazione del Regolamento, ma tale procedura era già giunta al suo epilogo do po una serrata interlocuzione con l’autorità ministeriale. In un contesto siffatto, non si può dunque predicare un legittimo affidamento nell’immutabilità delle regole, peraltro inerenti a un
rapporto di durata, per sua natura tutt’altro che impermeabile alle modificazioni e alle evoluzioni. 7.6. -L’applicazione della nuova disciplina promana di per sé dalla necessità di conformarsi alle regole vigenti al tempo della domanda, individuate in relazione alla tendenziale retroattività dell’approvazione ministeriale al momento di adozione della delibera di modificazione del Regolamento o al momento indicato nella delibera stessa. Tali conclusioni sono poi confermate a fortiori dalla più rigorosa disciplina apprestata dal Regolamento con il richiamato art. 45.’
8. Sul punto della legittimità della retroattività della nuova disposizione regolamentare è stato affermato che ‘7.6.1. A tale riguardo, si deve rilevare, anzitutto, che la previsione in esame, nel proiettare l’efficacia retroattiva in un arco temporale più ampio (fino al gennaio 2013), si prefigge di attuare le più restrittive disposizioni della legge statale, dettate da ultimo dal d.l. n. 201 del 2011 ‘. L’autonomia delle Casse non è quindi legibus soluta. E non si può trascurare che i Ministeri, investiti dell’approvazione della delibera e del compito di valutarne la conformità alla legge e agli obiettivi inderogabili di equilibrio finanziario, hanno approvato anche la retroattività fino al gennaio 2013, alla luce delle indicazioni desumibili dalla stessa legislazione statale, senza riscontrare antinomie di sorta. Concludendo, nella citata precedente pronuncia di questa Corte si afferma che l’individuazione retroattiva dell’efficacia del nuovo regolamento del gennaio 2013 ‘ non interviene ex abrupto e in maniera subitanea e imprevedibile, ma si riconnette alla circostanza che, a quella data, già fosse stata avviata la ridefinizione dei requisiti di accesso alle prestazioni pensionistiche’ … ‘con l’obiettivo di dare attuazione alle cogenti disposizioni statali già da tempo operative. Anche da questo
punto di vista, non si ravvisano i profili di antitesi con la legge, specificamente denunciati con il ricorso .’ Per poi concludere al punto 7.7 che ‘ Alla luce dei rilievi svolti, non può essere accolta la pretesa di perpetuare l’applicazione della disciplina previgente, sul presupposto della lesione dell’affidamento ‘.
Non vi sono ragioni per discostarsi dai precedenti innanzi enunciati. Al rigetto del ricorso non fa seguito, tuttavia, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali in ragione del sopravvenuto orientamento giurisprudenziale su entrambi i temi trattati nei due motivi di doglianza difensiva.
Sussistono, infine, i presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese processuali fra le parti.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale del 26