LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Retribuzione variabile: quando spetta al dipendente?

Un dipendente comunale ha svolto per anni mansioni dirigenziali superiori. I giudici di merito gli hanno riconosciuto il diritto alla piena retribuzione, inclusa la retribuzione variabile. La Corte di Cassazione ha parzialmente riformato la decisione, stabilendo che, in assenza di atti formali come la ‘pesatura’ dell’incarico e l’assegnazione di obiettivi, al dipendente spetta solo la retribuzione variabile nella misura minima prevista dai contratti collettivi, a meno che non venga avanzata una specifica richiesta di risarcimento per perdita di chance.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Retribuzione Variabile per Mansioni Superiori: la Cassazione Fissa i Paletti

Nel mondo del pubblico impiego, non è raro che un dipendente si trovi a svolgere mansioni superiori al proprio inquadramento formale. Ma cosa succede alla sua busta paga? Ha diritto all’intera retribuzione del ruolo superiore, inclusa la retribuzione variabile? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questo tema complesso, stabilendo principi chiari sulla quantificazione delle differenze retributive.

I Fatti del Caso: un Dipendente Comunale con Incarichi da Dirigente

Il caso riguarda un dipendente di un Comune, inquadrato in una categoria D, che per oltre otto anni ha di fatto svolto le mansioni superiori di dirigente della polizia municipale. Dopo aver ottenuto in primo grado una sentenza che accertava il suo diritto alle differenze retributive, il Tribunale ha quantificato le somme dovute, includendo non solo la parte fissa dello stipendio, ma anche le componenti variabili della retribuzione di posizione e di risultato, basandosi su un confronto con gli altri dirigenti comunali. La Corte d’Appello ha confermato questa decisione, ma il Comune ha presentato ricorso in Cassazione.

La Questione Giuridica: Retribuzione Variabile Automatica?

Il nodo centrale della controversia era stabilire se il semplice svolgimento di fatto delle mansioni dirigenziali fosse sufficiente a giustificare il pagamento della retribuzione variabile (di posizione e di risultato) nella stessa misura percepita dai dirigenti formalmente incaricati. Secondo il Comune, queste componenti retributive sono strettamente legate a specifici atti amministrativi: la “pesatura” dell’incarico e l’assegnazione formale di obiettivi. In assenza di tali atti, il dipendente avrebbe avuto diritto, al massimo, ai minimi previsti dai contratti collettivi.

La Decisione della Cassazione sulla Retribuzione Variabile

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Comune, fornendo un’importante distinzione tra il diritto astratto alle differenze retributive e la loro concreta quantificazione, soprattutto per le componenti accessorie. Sebbene il diritto del lavoratore a essere pagato per il lavoro svolto sia sancito dall’art. 36 della Costituzione, l’erogazione di alcune voci retributive nel pubblico impiego è subordinata al rispetto di precise procedure.

La Retribuzione di Posizione e l’Onere della “Pesatura”

La Corte ha chiarito che la parte variabile della retribuzione di posizione non è automatica. La sua corresponsione richiede un atto formale da parte dell’amministrazione, la cosiddetta “pesatura”, che gradua l’importanza e la complessità dell’incarico. Il giudice non può sostituirsi all’amministrazione in questa valutazione discrezionale. In assenza di tale atto, al lavoratore spetta solo la quota minima prevista dalla contrattazione collettiva.

La Retribuzione di Risultato e gli Obiettivi Mai Assegnati

Analogamente, la retribuzione di risultato è legata al raggiungimento di obiettivi specifici che l’amministrazione deve assegnare formalmente al dirigente. Se gli obiettivi non vengono mai assegnati, non può esserci una valutazione del risultato e, di conseguenza, non spetta la relativa retribuzione. Il fatto che il dipendente sia stato comunque sottoposto a valutazioni periodiche non è sufficiente a colmare la mancanza dell’atto formale di assegnazione.

Lo Strumento Alternativo: la “Perdita di Chance”

La Cassazione ha sottolineato che l’inerzia dell’amministrazione (mancata pesatura e mancata assegnazione di obiettivi) non lascia il dipendente senza tutela. Tuttavia, lo strumento corretto non è la richiesta di pagamento diretto, ma un’azione di risarcimento del danno per “perdita di chance”. Il lavoratore avrebbe dovuto, cioè, chiedere di essere risarcito per aver perso la concreta opportunità di percepire una retribuzione variabile più alta, dimostrando che, se l’amministrazione avesse agito correttamente, avrebbe avuto elevate probabilità di ottenere tale beneficio.

Le Motivazioni

La decisione si fonda sul principio di legalità che governa l’azione della Pubblica Amministrazione. Le componenti accessorie della retribuzione dirigenziale non sono una conseguenza automatica dello svolgimento delle mansioni, ma derivano da specifici procedimenti di valutazione discrezionale che solo l’ente pubblico può compiere. Il giudice, nel liquidare le differenze retributive, non può sostituirsi all’amministrazione effettuando una “pesatura empirica” o presumendo il raggiungimento di obiettivi mai assegnati. Il diritto del lavoratore a una giusta retribuzione viene bilanciato con la necessità di rispettare le procedure amministrative. La tutela per il dipendente diligente ma non formalmente incaricato si sposta così dal piano dell’adempimento contrattuale a quello del risarcimento del danno per perdita di chance, che però deve essere oggetto di una domanda specifica.

Le Conclusioni

Questa sentenza stabilisce un confine netto: lo svolgimento di mansioni superiori nel pubblico impiego dà diritto alle differenze retributive, ma per quanto riguarda la retribuzione variabile, la mancanza dei formali atti di pesatura e assegnazione obiettivi limita il diritto del dipendente ai minimi contrattuali. Per ottenere un importo superiore, è necessario intraprendere un’azione legale per risarcimento del danno da perdita di chance, con un onere probatorio più complesso. La decisione rappresenta un monito sia per i dipendenti, che devono essere consapevoli degli strumenti legali corretti da utilizzare, sia per le pubbliche amministrazioni, la cui inerzia può comunque generare responsabilità risarcitorie.

Un dipendente pubblico che svolge mansioni superiori ha sempre diritto alla retribuzione variabile?
No. Secondo la sentenza, il diritto alla parte variabile della retribuzione di posizione e di risultato è subordinato a specifici atti formali dell’amministrazione, come la ‘pesatura’ dell’incarico e l’assegnazione di obiettivi. In assenza di tali atti, spetta solo la misura minima prevista dai contratti collettivi.

Cosa sono la ‘pesatura’ e l’assegnazione degli obiettivi e perché sono importanti per la retribuzione variabile?
La ‘pesatura’ è il procedimento con cui l’amministrazione valuta la complessità e la responsabilità di un incarico per determinarne la retribuzione di posizione. L’assegnazione degli obiettivi è l’atto con cui si fissano i traguardi da raggiungere per aver diritto alla retribuzione di risultato. Sono fondamentali perché costituiscono il presupposto normativo e contrattuale per l’erogazione di queste componenti salariali.

Se l’amministrazione non effettua la pesatura o non assegna obiettivi, il dipendente perde ogni diritto alla retribuzione variabile?
Non del tutto. Perde il diritto a richiederne il pagamento diretto (adempimento) oltre la misura minima. Tuttavia, può agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno da ‘perdita di chance’, dimostrando di aver perso la concreta possibilità di ottenere una retribuzione più elevata a causa dell’inadempimento dell’amministrazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati