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Retribuzione Società Partecipate: No a tagli unilaterali

Una ex dipendente di una società a partecipazione pubblica ha richiesto gli adeguamenti salariali previsti dal rinnovo del CCNL. La società si è opposta, invocando obblighi di contenimento dei costi. La Corte di Cassazione ha dato ragione alla lavoratrice, stabilendo che la retribuzione in società partecipate, pur soggetta a principi di sana gestione, può essere modificata solo tramite contrattazione collettiva di secondo livello e non con decisioni unilaterali.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Retribuzione Società Partecipate: la Cassazione dice No ai Tagli Unilaterali

La questione della retribuzione nelle società partecipate è un terreno complesso, dove le regole del diritto privato del lavoro si incontrano con le esigenze di finanza pubblica. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale: le società a controllo pubblico non possono ridurre unilateralmente gli stipendi dei dipendenti previsti dai contratti collettivi, neanche per rispettare gli obiettivi di contenimento dei costi imposti dall’ente controllante. L’unica via percorribile è quella della contrattazione collettiva di secondo livello.

I Fatti di Causa: la Richiesta di Adeguamento Salariale

Il caso nasce dalla richiesta di una dipendente di una società a partecipazione pubblica, la quale rivendicava il diritto alle differenze retributive maturate a seguito del rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) del settore terziario. La società si era rifiutata di riconoscere tali aumenti, sostenendo di essere vincolata a norme sul contenimento della spesa pubblica.

Le Decisioni dei Giudici di Merito

La Corte d’Appello aveva parzialmente accolto la domanda della lavoratrice, riconoscendo gli aumenti solo a partire dal 1° gennaio 2016. I giudici di secondo grado avevano basato la loro decisione su un’interpretazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 178/2015, che aveva dichiarato parzialmente illegittimo il blocco della contrattazione nel pubblico impiego. La società, insoddisfatta, ha proposto ricorso per Cassazione, sostenendo che le norme sul contenimento dei costi del personale per le società partecipate dovessero prevalere sugli automatismi contrattuali.

La Sentenza della Cassazione e la Retribuzione in Società Partecipate

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, stabilendo principi chiari e di grande importanza pratica.

Il Principio del Diritto Privato

I giudici hanno ribadito un concetto consolidato: i rapporti di lavoro nelle società a partecipazione pubblica sono regolati dal diritto privato. Questo significa che si applicano il Codice Civile, le leggi sul lavoro subordinato e i contratti collettivi del settore privato di riferimento. La natura pubblica del socio non trasforma il rapporto di lavoro in un impiego pubblico.

Il Ruolo Centrale della Contrattazione di Secondo Livello

La Corte ha analizzato l’evoluzione normativa, in particolare l’art. 19 del D.Lgs. 175/2016 (Testo Unico sulle società a partecipazione pubblica). Questa norma prevede che le società a controllo pubblico debbano perseguire obiettivi di contenimento dei costi del personale. Tuttavia, lo strumento designato dal legislatore per raggiungere questo scopo è la contrattazione di secondo livello (aziendale o territoriale). Non è possibile per la società, o per l’ente pubblico controllante, imporre unilateralmente un ‘blocco’ o una riduzione degli stipendi previsti dal CCNL. L’inciso “ove possibile”, contenuto nella norma, non rende facoltativa la contrattazione, ma impone agli amministratori di attivarsi per trovare un accordo con i sindacati, escludendo una loro responsabilità se, nonostante gli sforzi, l’accordo non si raggiunge.

Inapplicabilità del Blocco Stipendiale Pubblico

Un punto cruciale della sentenza è l’esclusione dell’applicabilità del blocco stipendiale, previsto per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni (disciplinati dal D.Lgs. 165/2001), ai lavoratori delle società partecipate. Si tratta di due ambiti normativi distinti: il primo riguarda il pubblico impiego contrattualizzato, il secondo i rapporti di lavoro di natura privatistica.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che il sistema normativo, pur prevedendo obblighi di riduzione dei costi per le società partecipate, ha scelto un percorso specifico per realizzarli: il dialogo sociale e la negoziazione. Un intervento unilaterale del datore di lavoro violerebbe non solo le norme specifiche, ma anche i principi generali sulla inderogabilità dei diritti stabiliti dalla contrattazione collettiva. Consentire deroghe unilaterali svuoterebbe di significato il richiamo stesso alla contrattazione di secondo livello. La tutela della finanza pubblica non può tradursi in una compressione dei diritti individuali dei lavoratori al di fuori delle procedure legalmente previste.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio di garanzia per i lavoratori delle società a partecipazione pubblica. La retribuzione in società partecipate è pienamente soggetta alle dinamiche della contrattazione collettiva privata. Se l’ente pubblico o la società intendono contenere i costi del personale, devono farlo attraverso il confronto e l’accordo con le organizzazioni sindacali. Atti unilaterali o semplici direttive non sono sufficienti per disapplicare le previsioni economiche di un CCNL, garantendo così certezza e stabilità ai rapporti di lavoro in un settore strategico per il Paese.

Una società a partecipazione pubblica può rifiutarsi di applicare gli aumenti previsti da un rinnovo del CCNL per contenere i costi?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la società non può unilateralmente disapplicare le clausole economiche del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro. L’eventuale contenimento dei costi del personale deve essere negoziato e recepito in un accordo di contrattazione collettiva di secondo livello (aziendale o territoriale).

Il ‘blocco degli stipendi’ previsto per i dipendenti pubblici si applica anche ai lavoratori delle società partecipate?
No. La sentenza chiarisce che la normativa sul blocco stipendiale e contrattuale riguarda esclusivamente il personale delle pubbliche amministrazioni (soggetto al D.Lgs. 165/2001) e non si estende ai dipendenti delle società partecipate, il cui rapporto di lavoro è regolato dal diritto privato e dai relativi CCNL.

Qual è lo strumento corretto che una società a controllo pubblico deve usare per adeguare i trattamenti economici dei dipendenti agli obiettivi di spesa?
Lo strumento corretto è la contrattazione di secondo livello. La legge (in particolare l’art. 19 del D.Lgs. 175/2016) impone alla società di perseguire gli obiettivi di contenimento dei costi attraverso accordi specifici stipulati in sede sindacale, che recepiscano le misure necessarie nel rispetto dei diritti dei lavoratori.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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