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Retribuzione pubblico impiego: sì alle differenze

Una lavoratrice di un’Azienda Sanitaria Regionale, assunta con contratti di collaborazione, ha ottenuto il riconoscimento della natura subordinata del suo lavoro. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione di merito che, pur negando la conversione del contratto in un posto a tempo indeterminato, le ha riconosciuto il diritto alle differenze retributive per le mansioni effettivamente svolte. La sentenza sottolinea l’importanza del principio di effettività della prestazione nella retribuzione nel pubblico impiego e corregge l’importo delle spese legali liquidate in appello, ritenuto troppo basso.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Retribuzione Pubblico Impiego: Diritto alle Differenze Anche Senza Stabilizzazione

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia di retribuzione nel pubblico impiego: anche quando un contratto di lavoro precario viene dichiarato illegittimo e non può essere convertito in un posto a tempo indeterminato, il lavoratore ha comunque diritto a ricevere una retribuzione commisurata alle mansioni di natura subordinata effettivamente svolte. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla domanda di una lavoratrice impiegata presso un’Azienda Sanitaria Regionale (ASR) attraverso una serie di contratti di collaborazione coordinata e continuativa. La lavoratrice si è rivolta al Tribunale per chiedere che venisse accertata la natura subordinata del rapporto di lavoro e, di conseguenza, la conversione del contratto a tempo indeterminato, oltre al pagamento delle differenze retributive maturate.

La Decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello, pur riformando parzialmente la sentenza di primo grado, aveva già tracciato una linea chiara. I giudici hanno confermato l’illegittimità dell’utilizzo dei contratti di collaborazione, riconoscendo che la prestazione lavorativa aveva in realtà tutte le caratteristiche del lavoro subordinato.

Tuttavia, in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale per il settore pubblico, la Corte ha negato la conversione del rapporto in un contratto a tempo indeterminato. Al suo posto, ha riconosciuto alla lavoratrice il diritto a un risarcimento del danno e, soprattutto, ha accolto la sua richiesta di vedersi corrispondere le differenze retributive, quantificate in oltre 46.000 euro, in applicazione dell’art. 2126 del Codice Civile, che tutela il lavoro di fatto.

I Motivi del Ricorso e la questione della retribuzione nel pubblico impiego

Insoddisfatta della decisione, l’Azienda Sanitaria ha presentato ricorso in Cassazione, contestando principalmente tre punti:
1. L’erronea qualificazione del rapporto come subordinato.
2. L’indebita applicazione dell’art. 2126 c.c. per il calcolo delle differenze retributive, sostenendo la mancanza di prova.
3. L’omessa valutazione di dichiarazioni della stessa lavoratrice che, a dire dell’ASR, smentivano la subordinazione.

Dal canto suo, la lavoratrice ha proposto un ricorso incidentale, lamentando la mancata condanna dell’ente alla regolarizzazione della sua posizione contributiva e la liquidazione delle spese legali d’appello in misura inferiore ai minimi tariffari.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile in toto il ricorso dell’Azienda Sanitaria. I giudici hanno chiarito che le censure sollevate non erano altro che un tentativo di rimettere in discussione l’accertamento dei fatti e la valutazione delle prove, attività precluse al giudice di legittimità. La Corte d’Appello aveva motivato in modo adeguato le ragioni per cui il rapporto era da considerarsi subordinato, e tale valutazione non era sindacabile in Cassazione.

Per quanto riguarda il ricorso della lavoratrice, la Corte ha distinto due aspetti:
* Posizione previdenziale: La domanda è stata dichiarata inammissibile perché l’ente previdenziale (INPS) non era stato parte del giudizio. Il giudice non può emettere una condanna alla regolarizzazione contributiva senza la presenza in causa del creditore di tali contributi.
* Spese legali: Questo motivo è stato invece accolto. La Corte ha verificato che l’importo liquidato in appello era effettivamente inferiore ai minimi previsti dalla legge per il valore della controversia. Di conseguenza, ha cassato la sentenza su questo punto e, decidendo nel merito, ha rideterminato le spese legali nell’importo corretto.

Le Conclusioni

L’ordinanza consolida due importanti principi. Primo, il divieto di conversione dei contratti nulli nel pubblico impiego non cancella il diritto del lavoratore a una giusta retribuzione nel pubblico impiego per l’attività prestata. Se viene provata la natura subordinata del lavoro, l’art. 2126 c.c. garantisce il pagamento di tutte le differenze economiche rispetto a un lavoratore di pari livello e mansioni regolarmente assunto. Secondo, la decisione evidenzia l’importanza del rigore procedurale: le domande di regolarizzazione contributiva devono necessariamente coinvolgere gli enti previdenziali, e la liquidazione delle spese processuali deve sempre rispettare i minimi tariffari inderogabili.

Un lavoratore del settore pubblico con un contratto nullo ha diritto alle differenze retributive?
Sì. Secondo la Corte, in base al principio della prestazione di fatto (art. 2126 c.c.), se viene provata la natura subordinata del rapporto di lavoro, il lavoratore ha diritto a percepire le differenze retributive corrispondenti alle mansioni svolte, anche se il contratto non può essere convertito a tempo indeterminato.

È possibile ottenere la regolarizzazione dei contributi previdenziali in una causa contro il solo datore di lavoro?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che non si può ordinare la regolarizzazione della posizione previdenziale se l’ente previdenziale competente (es. INPS) non è stato formalmente citato in giudizio come parte della causa.

Il giudice può liquidare le spese legali in misura inferiore ai minimi previsti dalla legge?
No. La liquidazione delle spese processuali deve rispettare i minimi tariffari stabiliti dai decreti ministeriali, calcolati in base al valore della causa. Una liquidazione inferiore a tali minimi è illegittima e può essere motivo di impugnazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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