Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. L Num. 9732 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 9732 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/04/2025
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 12994-2022 proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati COGNOME, COGNOME, NOME COGNOME, che lo rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO
Oggetto
Retribuzione pubblico
impiego
R.G.N. 12994/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 19/03/2025
CC
COGNOME 1, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 266/2021 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 25/11/2021 R.G.N. 141/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/03/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME, avvocato dipendente dell’INPS , ruolo professionale-area legale, cessata dal servizio per collocamento a riposo il 1° settembre 2011, aveva chiesto -e ottenuto -fosse ingiunto all’Istituto il pagamento della complessiva somma di euro 5.562,04 a titolo di trattenute operate (per ‘recupero TFS’) sul trattamento pensionistico nei mesi di ottobre e novembre 2019;
i l decreto ingiuntivo era stato opposto dall’INPS ;
la vicenda, sulla base della prospettazione della ricorrente, si era così svolta: – nel corso del rapporto la dipendente aveva percepito la componente stipendiale collegata a competenze e onorari professionali quale trattamento fondamentale attribuito ai sensi dell’art. 30, comma 2, del d.P.R. n. 411/1976; -l’INPS , dopo aver liquidato il TFS con comunicazione in data 11/10/2018, aveva comunicato un ricalcolo dell’indennità di buonuscita e chiesto in restituzione l’importo lordo di euro 373.855,00 per effet to della ritenuta non computabilità in detta indennità delle somme erogate a
titolo di onorari; a far data dall’ottobre 2019 l’Istituto aveva cominciato a trattenere sul trattamento pensionistico delle trattenute operando una compensazione ex art. 1243 cod. civ.;
i l Tribunale di Bari aveva accolto l’opposizione e revocato il decreto ingiuntivo, condannando l’INPS a restituire la minor somma di euro 1.805,33 per erroneo calcolo delle trattenute operate; aveva, in sintesi, ritenuto che gli onorari costituissero una componente retributiva diversa dallo stipendio tabellare e non potessero essere computati nella base di calcolo dell’indennità di anzianità e art. 13 l. n. 70/1975 ; riteneva che per la ripetizione di indebito ex art. 2033 cod. civ. dovesse applicarsi la prescrizione decennale;
d ecidendo sull’impugnazione della dipendente e dell’INPS, la Corte d’appello , in parziale riforma della sentenza di prime cure (che confermava nell’impianto argomentativo relativo alla legittimità della pretesa restitutoria dell’INPS) , condannava l’Istituto a restituire alla Marcello la più ridotta somma di euro 37,51;
richiamava Cass. Sez. Un. n. 7154/2010 secondo cui in tema di base di calcolo del trattamento di quiescenza o di fine rapporto spettante ai dipendenti degli enti pubblici del c.d. parastato, l’art. 13 della legge n. 70/1975 n. 70, di riordinamento di tali enti e del rapporto di lavoro del relativo personale, aveva dettato una disciplina non derogabile neanche in senso più favorevole ai dipendenti, costituita dalla previsione di un’indennità di anzianità pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato, esclusa la computabilità di voci retributive diverse dallo stipendio tabellare e dalla sua integrazione mediante scatti di anzianità o componenti retributive similari;
riteneva che il sistema non fosse mutato con la privatizzazione dell’impiego pubblico essendo demandata alla contrattazione collettiva solo la definizione delle modalità applicative della disciplina in materia di trattamento di fine rapporto; assumeva che il sistema della inderogabilità della normativa legale previsto per i dipendenti pubblici del c.d. parastato si estendesse al regime della indennità di anzianità; escludeva fosse rinvenibile nel d.lgs. n. 165/2001 una legittimazione dell’autonomia collettiva a derogare alle disposizioni della legge n. 70/1975;
in particolare, riteneva che per il trattamento di fine rapporto non dovesse aversi riguardo alla disciplina di cui agli artt. 22 e 45 del T.U.P.I. ma alla specifica disposizione dell’art. 69, comma 2, secondo cui era ammessa solo la possibilità di un intervento di settore organico e non settoriale o per singole voci (nei fatti avvenuto solo con l’ Accordo Quadro 29 luglio 1999, i cui contenuti erano stati poi recepiti dal d.P.C.m. 20 dicembre 1999); in conseguenza dovevano ritenersi abrogate o illegittime, e comunque non applicabili, le disposizioni di regolamenti come quello dell’INPS, prevedenti, ai fini del trattamento di fine rapporto o di quiescenza comunque denominato, il computo in genere delle competenze a carattere fisso e continuativo;
riteneva non applicabile alla fattispecie in esame, ai fini di una eventuale decadenza, l’art. 30 d.P.R. 1032/1973, norma che riguarda esclusivamente il personale dipendente dello Stato collocato a riposo;
escludeva si potesse far leva su un legittimo affidamento in ordine alla continuità di una certa prestazione, essendo il TFS importo versato una tantum (o in alcune tranche ) e come tale non ancorato a una ripetitività del comportamento dell’amministrazione ;
e videnziava la doverosità del comportamento dell’Istituto di cui alla richiesta di restituzione stante l’insussistenza del potere erogare , a titolo di TFS, somme maggiori di quelle legislativamente previste;
riteneva possibile la compensazione giudiziale ex art. 1243, comma 2, cod. civ. e considerava, infine, eccedente rispetto al quinto del trattamento pensionistico della Marcello (costituente limite insuperabile per le trattenute) solo la somma di euro 37,51 e condannava l’INPS a pagare la relativa somma;
contro
tale sentenza la NOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui l ‘INPS ha resistito con controricorso ; entrambe le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo la ricorrente denuncia (art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.) « violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 1, lett. g), della legge 9 marzo 1989, n. 88, anche con riferimento all’art. 4, punto 10, d.P.R. 30.4.1970 n. 639 e falsa applicazione dell’articolo 13 della legge 20 marzo 1975, n. 70»;
c ensura la sentenza impugnata per aver violato l’art. 5, comma 1, lett. g), della legge n. 88/1989, ai sensi del quale, in continuità con l’art. 4, punto 10, d.P.R. 30.4.1970 n. 639, la disciplina del trattamento di fine servizio del personale dipendente dell’INPS era di competenza del Consiglio di amministrazione dell’ente attraverso l’adozione di apposito regolamento;
con il secondo motivo si denuncia (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione dell’art. 2, comma 7, della legge 8 agosto 1995, n. 335 e degli artt. 2, 45 e 69 del d.lgs. n.165/2001, nonché falsa applicazione dell’art. 13 della legge 20 marzo 1975, n. 70;
censura la sentenza impugnata per aver escluso che la contrattazione collettiva potesse derogare alla disciplina legale del trattamento di fine servizio dei dipendenti degli enti pubblici non economici;
con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 13 della legge 20 marzo 1975, n. 70 e degli artt. 3 e 36 della Costituzione; censura la sentenza impugnata, per non avere accolto il motivo di appello con cui si chiedeva la riforma della sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva ritenuto che -in base alla corretta interpretazione dell’art. 13 della legge n. 70/1975 -gli onorari non fossero da calcolare ai fini della liquidazione della prestazione (indennità di anzianità);
con il quarto (ed ultimo) motivo la ricorrente denuncia (art. 360, n.3, c.p.c.) la falsa applicazione dell’art. 2033 cod. civ. e la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; sostiene l’erroneità della sentenza impugnata per aver ritenuto fondata l’azione di ripetizione di indebito dell’INPS ed escluso la violazione del principio del legittimo affidamento del ricorrente;
ciò posto, rileva il Collegio che gli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME e NOME COGNOME quali difensori della ricorrente, hanno formulato nelle memorie ex art. 380 bis.1. cod. proc. civ. istanza di rinvio per la discussione alla pubblica udienza per la trattazione unitaria dei diversi giudizi vertenti sulle medesime questioni e «per garantire la possibilità di poter fornire al Collegio i chiarimenti ritenuti necessari od opportuni al fine del decidere»;
considerato che l’udienza pubblica, nell’attuale assetto del giudizio di legittimità, costituisce invero il ‘luogo’ privilegiato nel quale
devono essere assunte, in forma di sentenza e mediante più ampia e diretta interlocuzione tra le parti e tra queste e il P.M., le decisioni con peculiare rilievo di diritto (v. Cass. n. 6274/2023; Cass. n. 19115/2017);
ritenuto che la causa riveste indubbia valenza nomofilattica, dovendo valutarsi i riflessi delle sentenze della Corte cost. n. 8/2023 e n. 73/2024, intervenute successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione, sulle questioni di diritto che vengono agitate dalle parti;
P.Q.M.
La Corte rinvia la causa a nuovo ruolo perché ne sia fissata la trattazione in pubblica udienza.
Si comunichi.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quarta Sezione