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Retribuzione pubblico impiego: CCNL è legge

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8134/2025, ha stabilito un principio fondamentale sulla retribuzione nel pubblico impiego. Anche quando un rapporto di lavoro viene riconosciuto come subordinato solo a posteriori (ex art. 2126 c.c.), la retribuzione spettante al lavoratore non può superare quella prevista dalla fascia iniziale del contratto collettivo nazionale (CCNL) di riferimento. La Corte ha cassato la decisione di merito che aveva riconosciuto al dipendente una retribuzione superiore, affermando che nella Pubblica Amministrazione non è ammessa la stipula di contratti ‘atipici’ o più favorevoli rispetto alla contrattazione collettiva, e che ogni somma erogata in eccedenza è da considerarsi indebita.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Retribuzione Pubblico Impiego: Il CCNL è l’Unica Regola, Sentenzia la Cassazione

La corretta determinazione della retribuzione nel pubblico impiego è un tema di cruciale importanza, governato da principi rigidi che non lasciano spazio a deroghe individuali. Con la recente ordinanza n. 8134 del 2025, la Corte di Cassazione ha ribadito un caposaldo fondamentale: la retribuzione di un dipendente pubblico è definita esclusivamente dalla legge e dalla contrattazione collettiva, anche quando il rapporto di lavoro viene riconosciuto come subordinato solo in un secondo momento. Analizziamo insieme questa importante decisione.

Il Caso: Retribuzione Superiore al Minimo Contrattuale

La vicenda trae origine da un contenzioso tra un lavoratore e una Pubblica Amministrazione del settore sanitario. Il lavoratore aveva intrattenuto due rapporti consecutivi con l’ente: il primo, dal 2004 al 2009, formalmente qualificato come collaborazione autonoma, e un secondo rapporto a tempo determinato. In sede giudiziale, entrambi i rapporti venivano riqualificati come lavoro subordinato.

Il problema sorgeva sulla quantificazione della retribuzione. Durante i rapporti, il lavoratore aveva percepito un compenso superiore a quello previsto per la fascia economica iniziale della sua categoria di inquadramento (categoria D), ricevendo persino un assegno ad personam. La Corte d’Appello aveva ritenuto legittimo tale trattamento economico, giustificandolo con le ‘particolarità’ delle mansioni svolte.

L’Amministrazione datrice di lavoro ha impugnato la decisione dinanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo che le somme eccedenti quanto previsto dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) non fossero dovute e andassero considerate indebite.

La Retribuzione nel Pubblico Impiego secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha accolto integralmente il ricorso dell’ente pubblico. I giudici hanno chiarito che, a differenza del settore privato, nel pubblico impiego non esiste la possibilità per la P.A. di stipulare contratti di lavoro ‘atipici’ o ‘particolari’ che prevedano trattamenti economici non in linea con i disposti della contrattazione collettiva.

Il fondamento di questa regola risiede nell’articolo 45 del D.Lgs. n. 165 del 2001, il quale stabilisce che il trattamento economico dei dipendenti pubblici ‘è definito dai contratti collettivi’. Questa norma, agendo da cerniera con l’articolo 2 dello stesso decreto, fissa un principio di esclusività: la retribuzione deriva solo dai contratti collettivi o, a certe condizioni, da quelli individuali che però non possono mai derogare in peius (e, come vedremo, nemmeno in melius se non previsto dal CCNL stesso).

L’Applicazione dell’Art. 2126 c.c. nel Pubblico Impiego

Un punto centrale della sentenza riguarda l’applicazione dell’art. 2126 del Codice Civile, che protegge il lavoratore che ha prestato la sua attività in base a un contratto nullo. La tutela garantisce al lavoratore il diritto alla retribuzione per il lavoro svolto, ma, sottolinea la Corte, non può creare effetti ‘migliori’ o ‘diversi’ rispetto a quelli che sarebbero derivati da un rapporto validamente instaurato.

Di conseguenza, se un rapporto di lavoro con la P.A. è nullo (ad esempio, per mancanza di un concorso pubblico), la retribuzione dovuta al lavoratore per il periodo di lavoro effettivo deve essere esattamente quella prevista per la fascia iniziale del livello di inquadramento stabilito dal CCNL di riferimento. Qualsiasi importo corrisposto in più è considerato un indebito oggettivo e può essere oggetto di ripetizione da parte dell’Amministrazione.

Le Conseguenze sul Trattamento di Fine Rapporto (T.F.R.)

Questa rigorosa interpretazione si estende anche al calcolo del Trattamento di Fine Rapporto (T.F.R.). La Corte ha specificato che il T.F.R. deve essere calcolato sulla base delle retribuzioni dovute secondo la corretta applicazione del CCNL, e non su quelle di fatto corrisposte se superiori. L’impossibilità di attribuire retribuzioni in misura diversa da quella contrattualmente prevista si riverbera, quindi, anche sulla determinazione delle competenze di fine rapporto.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione sulla base del principio di legalità e della natura inderogabile delle norme che regolano il rapporto di lavoro pubblico. Il ragionamento giuridico si fonda sulla combinazione di diverse disposizioni. L’art. 45 del D.Lgs. 165/2001 è la norma chiave, poiché sancisce che il trattamento economico è ‘definito’ dai contratti collettivi, escludendo di fatto la possibilità di pattuizioni individuali migliorative non previste dal CCNL stesso. Questo sistema rigido è volto a garantire la trasparenza, l’imparzialità e il controllo della spesa pubblica. Pertanto, la ‘particolarità’ delle mansioni, addotta dalla Corte territoriale come giustificazione per il superminimo, è stata ritenuta irrilevante. La tutela offerta dall’art. 2126 c.c. al lavoratore con contratto nullo è conservativa: assicura la retribuzione per il lavoro svolto, ma la commisura a ciò che sarebbe spettato in base a un contratto valido, ovvero il trattamento economico iniziale previsto dal CCNL. Concedere di più significherebbe creare una situazione paradossalmente più vantaggiosa da un rapporto invalido rispetto a uno valido, alterando i principi di equità e legalità.

le conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale di estremo rigore. Le implicazioni pratiche sono significative:

1. Nessuna discrezionalità per la P.A.: Le Amministrazioni Pubbliche non hanno il potere di riconoscere trattamenti economici superiori a quelli tabellari previsti dai CCNL, neanche a fronte di mansioni di particolare rilievo.
2. Limite alla tutela del lavoratore: La protezione garantita al dipendente in caso di rapporto di fatto non può mai tradursi in un vantaggio economico rispetto a un collega regolarmente assunto.
3. Recupero dell’indebito: Qualsiasi somma erogata in eccesso rispetto ai minimi contrattuali è soggetta all’azione di ripetizione da parte dell’ente pubblico, essendo irrilevante che il pagamento sia avvenuto consapevolmente.

In definitiva, la sentenza riafferma la centralità e l’inderogabilità della contrattazione collettiva come unica fonte di determinazione della retribuzione nel pubblico impiego, a tutela della corretta gestione delle risorse pubbliche e del principio di parità di trattamento.

Nel pubblico impiego è possibile percepire una retribuzione superiore a quella fissata dal Contratto Collettivo Nazionale (CCNL)?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la retribuzione nel pubblico impiego è definita esclusivamente dai contratti collettivi. Non sono ammessi trattamenti economici individuali più favorevoli, nemmeno se giustificati da particolari mansioni, a meno che non siano previsti dal CCNL stesso.

Se un contratto di lavoro con la Pubblica Amministrazione è nullo, quale stipendio spetta al lavoratore?
In base all’art. 2126 c.c., al lavoratore spetta la retribuzione per il periodo in cui ha effettivamente lavorato. Tuttavia, tale retribuzione non può essere superiore a quella prevista per la fascia economica iniziale del livello di inquadramento stabilito dal CCNL di riferimento.

Come si calcola il Trattamento di Fine Rapporto (T.F.R.) se il dipendente pubblico ha ricevuto uno stipendio più alto del dovuto?
Il T.F.R. deve essere calcolato non sulla base della retribuzione di fatto percepita, ma su quella che sarebbe stata legalmente dovuta secondo la corretta applicazione delle previsioni della contrattazione collettiva. Le somme erogate in eccesso non concorrono alla base di calcolo del T.F.R.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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