Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 17049 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 17049 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/06/2025
Oggetto
Pubblica amministrazione
R.G.N.20881/2021
COGNOME
Rep.
Ud 05/06/2025
CC
ORDINANZA
sul ricorso 20881-2021 proposto da: difeso
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e dall’avvocato COGNOME;
– ricorrente –
contro
LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI ENNA (già PROVINCIA REGIONALE DI ENNA), in persona del Commissario Straordinario legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 29/2021 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 10/02/2021 R.G.N. 252/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/06/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE:
con sentenza del 27 gennaio 2021, la Corte d’appello di Caltanissetta riformava la decisione del Tribunale di Enna, condannando il Libero Consorzio comunale di Enna a pagare a NOME COGNOME, a titolo di compenso per lo svolgimento di fatto delle funzioni connesse alla posizione organizzativa ‘Corpo di polizia provinciale’, la somma di euro 13.500 ,00, con reiezione delle altre domande del lavoratore;
costui, quale dipendente del Libero Consorzio, categoria D3, assunto dal 1° giugno 2004 quale comandante del corpo di polizia provinciale, aveva lamentato:
l’illegittima sospensione dell’erogazione dell’indennità di p.o. (‘corpo polizia provinciale’) nella misura goduta in alcuni periodi specificamente indicati di ‘assenza di proroga e rinnovo dell’incarico’;
ii) che, dopo il varo della delibera G.P. n. 472 dell’1/11/2000 (di approvazione dei criteri per la graduazione dell’indennità di p.o.), era mancata ogni valutazione e pesatura della sua p.o. (‘corpo polizia provinciale’) nel periodo dal 1° ottobre 2004 al 31 dicembre 2009 (in cui veniva attribuito a tutte le pp.oo., con divisione meramente aritmetica, il valore unitario di £. 10.000.000 per 13 mensilità), donde la spettanza retroattiva del valore economico della pesatura, nel punteggio massimo di 100, determinato per la prima volta solo con tardiva determinazione del S.G. n. 44 del 31/3/2010;
iii) che a partire dal 31/3/2010 e fino al 16/6/2013 (data di cessazione dell’incarico) aveva percepito un importo di €. 8.103,00, somma largamente inferiore rispetto a quella, di €. 13.718,39, determinata per effetto della pesatura effettuata dal S.G. in data 31/3/2010 e tuttavia in concreto non corrisposta per l’inadeguatezza del ‘ fondo annuale per il personale ‘ come approvato dalla G.P.;
il ricorrente aveva richiesto, se del caso a titolo risarcitorio con riferimento ai punti i) e ii), il pagamento delle somme quantificate in relazione ai diversi capi di domanda, rispettivamente, in €. 13.881,50, in €. 44.841,79 e in €. 11.698,73;
il Tribunale aveva accolto le richieste sub ii) e iii), rigettando invece quelle sub i);
nell’accogliere il primo e secondo motivo dell’appello principale del Libero Consorzio e l’appello incidentale dell’COGNOME, la Corte nissena rilevava, quanto alla domanda sub ii), che l’atto di graduazione delle funzioni rientrava nel novero di quelli di macro-organizzazione ex art. 2 t.u.p.i., frutto di scelte discrezionali valutative non sindacabili dal giudice del merito: nella specie, la ripartizione di tutte le risorse disponibili in ugual misura fra tutte le p.o., per quanto inopportuna o semplicistica, non poteva dirsi giuridicamente viziata;
quanto alla domanda sub iii), osservava che, nei contratti individuali sottoscritti in riferimento alla p.o. ricoperta e accettati dal dipendente, erano indicati gli importi dovuti senza alcuna riserva dall’COGNOME, la cui domanda di adempimento (la sola proposta a riguardo) non poteva essere accolta;
al dipendente piuttosto competeva, in accoglimento dell’appello incidentale (per il capo sub i), il trattamento economico senza alcun intervallo nella sua corresponsione e quindi anche nei periodi di assenza
di un formale provvedimento di conferimento dell’incarico, avendo egli svolto, di fatto, senza soluzione di continuità le stesse funzioni di comandante della P.M.;
contro
tale sentenza propone ricorso per cassazione il lavoratore con cinque motivi, cui si oppone con controricorso il Libero Consorzio di Enna; entrambe le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2, co. 1, d.lgs. n. 165/2001 e degli artt. 1175 e 1375 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., in quanto la Corte territoriale, benché abbia correttamente inquadrato la fattispecie concreta, afferente alla attività di graduazione e pesatura delle pp.oo., ha, poi, erroneamente sussunto la stessa sotto una norma (art. 2 co. 1 d.lgs. n.165 del 2001) che non le si addice, perché la materia delle pp.oo. e della graduazione e la pesatura delle medesime è materia di diritto comune, regolata dalle norme della contrattazione collettiva (art. 10 CCNL 31.3.1999 Comparto Enti locali e art. 10 co. 3 lett. b) CCNL 22.1.2004); gli atti di pesatura e graduazione delle pp.oo. sono di natura negoziale o paritetica e non di macro-organizzazione;
con il secondo mezzo si denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, co. 2, n. 4, c.p.c. per omessa motivazione e/o motivazione apparente, illogica e perplessa in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. oppure, in via alternativa o gradata, omesso esame circa un fatto decisivo (art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c.), in quanto la Corte non aveva esaminato la delibera di G.P. n. 472 del 1° novembre 2000 da cui avrebbe potuto inequivocabilmente desumere che l’ente aveva fissato, con decorrenza 31/1/2001, criteri per la graduazione, la pesatura e il conferimento delle pp.oo., criteri che, tuttavia, erano
stati disattesi dall’ente medesimo per ben nove anni in violazione dei principi di buona fede;
l’ente, infatti, aveva attribuito a ciascuna p.o. un valore predeterminato nel suo ammontare, mediante una mera divisione aritmetica delle risorse finanziarie rese disponibili, previa contrattazione con le organizzazioni sindacali;
i primi due motivi, da trattare insieme perché strettamente connessi sul piano logico-giuridico, sono fondati;
la P.A. è tenuta a dare inizio ed a completare, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, il procedimento per l’adozione del provvedimento di graduazione delle funzioni e di pesatura degli incarichi;
questa Corte con la sentenza n. 426/2019 ha evidenziato che l’individuazione degli incarichi e del correlato trattamento economico rientra nell’attività discrezionale dell’Amministrazione, la quale deve tener conto delle proprie esigenze organizzative, ed ha conseguentemente ritenuto applicabile il principio, più volte affermato in tema di posizioni organizzative, secondo cui il diritto del pubblico dipendente a percepire la retribuzione di posizione sorge solo se la P.A. ha istituito e graduato la posizione stessa (cfr. fra le tante Cass. n. 4890/2018; Cass. 28085/2017; Cass. n. 14639/2016);
dalla natura discrezionale degli atti che qui vengono in rilievo non deriva, come pretenderebbe il controricorrente, l’assoluta insindacabilità degli atti stessi, perché il datore di lavoro, pubblico e privato, è tenuto ad osservare le regole procedimentali al cui rispetto l’esercizio del potere è subordinato e deve garantire nell’esecuzione delle obbligazioni che derivano dal contratto l’osservanza degli obblighi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ. (Cass., Sez. L, n. 26615/2019);
nella specie nessuna graduazione è stata svolta fino al 21.9.2009 (dì della determina n. 133/2009) dall’ente controricorrente, essendo evidente in re ipsa che la ripartizione aritmetica delle risorse in maniera uguale e indifferenziata fra tutte le pp.oo. (in violazione, peraltro, della delibera di G.P. n. 472 dell’1/11/2000 che approvava i criteri per la graduazione dell’indennità di p.o.: v. all. sub 9 fascicoletto cass.) costituisce la negazione di ogni pesatura e graduazione delle stesse pp.oo;
come chiarito da questa Corte (v. Cass. n. 28248/2023 sia pure in materia di dirigenza medica ma con affermazioni di principio valide in questa sede; v. altresì Cass. n. 26615/2019 secondo cui ‘tali principi possono essere estesi a tutti i casi nei quali venga in rilievo l’esercizio di un potere discrezionale del datore di lavoro pubblico, perché la discrezionalità non può legittimare scelte arbitrarie, che mortifichino immotivatamente ed ingiustificatamente l’interesse del prestatore e che, nell’impiego pubblico contrattualizzato, finiscano per risolversi nella violazione, oltre che dei canoni generali di correttezza e buona fede, dei principi di imparzialità e trasparenza imposti dall’art. 97 Cost.’ ), la violazione dell’obbligazione della P .A. di attivare e completare l’iter finalizzato all’adozione del provvedimento di graduazione delle funzioni e di pesatura degli incarichi legittima il dirigente medico interessato a chiedere, non l’adempimento di tale obbligazione, ma solo il risarcimento del danno per perdita della chance ;
a tal fine, il dipendente è tenuto solo ad allegare la fonte legale o convenzionale del proprio diritto e l’inadempimento della controparte; il datore di lavoro è gravato, invece, dell’onere della prova dei fatti
estintivi o impeditivi dell’altrui pretesa o della dimostrazione che il proprio inadempimento è avvenuto per causa a lui non imputabile;
il danno subito per perdita della chance , conseguente all’inadempimento della P.A. all’obbligo di procedere alla graduazione delle funzioni ed alla pesatura degli incarichi a tal fine necessaria, può essere liquidato dal giudice anche in via equitativa;
in proposito, il dipendente deve allegare l’esistenza di tale danno e degli elementi costitutivi dello stesso, ossia di una plausibile occasione perduta, del possibile vantaggio perso e del correlato nesso causale, inteso in modo da ricomprendere nel detto risarcimento anche i danni indiretti e mediati che si presentino come effetto normale secondo il principio della c.d. regolarità causale, fornendo la relativa prova pure mediante presunzioni o secondo parametri di probabilità;
i primi due motivi vanno, pertanto, accolti e il giudice del rinvio, in applicazione dei principi suesposti, dovrà, in definitiva, valutare se sussistono i presupposti per l’accoglimento della domanda risarcitoria ;
4. con il terzo mezzo si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, co. 2, n. 4, c.p.c. o, in via alternativa o gradata, omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti (art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c.), in quanto il giudice di appello aveva omesso di considerare un fatto decisivo quanto alla domanda sub iii (periodo 31/3/2010-16/6/2013), documentalmente provato ( id est , le determinazioni del S.G. nn. 44 del 31/3/2010, n. 74 dell’1/8/2011 e 103 del 17/10/2012) da cui si desumeva che al ricorrente, nel periodo temporale 31/3/2010 -16/6/2013, erano state corrisposte somme inferiori rispetto a quelle spettanti in base alla pesatura effettuata dall’organo a ciò deputato (S.G.), in applicazione dei criteri di cui al regolamento approvato con deliberazione di G.P. n. 133/2009;
5. con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1419 c.c. e degli artt.1175 e 1375 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3) c.p.c., e, in via gradata, si deduce, violazione e falsa applicazione dell’art. 1419 c.c., in quanto, relativamente alla domanda sub iii (periodo 31/3/2010-16/6/2013), non era stata dedotta alcuna nullità del contratto di conferimento della p.o., bensì la sola violazione da parte dell’ente datore di lavoro dei principi di correttezza e buona fede, essendo state erogate al ricorrente somme inferiori a quelle dovute a seguito di apposita pesatura della p.o.;
con il sesto motivo si deduce violazione dell’ art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. , in quanto la Corte territoriale, con riferimento al capo di domanda sub iii) della narrativa in fatto (periodo 31/3/2010-16/6/2013), aveva omesso di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria formulata sub 3 di cui a pag. 14 delle conclusioni del ricorso introduttivo di primo grado proposta alternativamente rispetto a quella di esatto adempimento;
anche il terzo, quarto e quinto motivo sono fondati;
va premesso che a fronte della mancata corresponsione da parte del datore di lavoro, della indennità di p.o., la tutela del dipendente è assicurata, in astratto, da due distinte azioni, quella di adempimento e quella di risarcimento del danno, che si distinguono fra loro per petitum e causa petendi ;
nel primo caso, infatti, sul presupposto della ricorrenza dei fatti costitutivi del diritto al compenso, si chiede «il pagamento del debito ad essi conseguente, ovverosia, rispetto al caso di specie, l’esistenza di una graduazione del valore della prestazione in sé idonea a quantificare la quota variabile della retribuzione pretesa in causa» (Cass. n. 28248/23 cit.);
nel secondo caso, invece, si addebita al datore di lavoro di non «avere dato corso a quanto necessario ed a suo carico per la determinazione della graduazione», ossia di avere, colposamente o dolosamente, impedito che sorgessero gli elementi costitutivi del diritto al compenso, pur essendo tenuto contrattualmente ad attivare le procedure necessarie (Cass. n. 29111/2022);
nella specie, veniva dedotto dal lavoratore sia l’inadempimento contrattuale, sia il risarcimento del danno;
con riguardo a quest’ultima azione, risulta che, effettivamente, la domanda risarcitoria era stata ab origine formulata dal l’COGNOME , mentre il giudice d’appello, in sentenza (v. p. 12, 2° cpv. sentenza), rileva erroneamente che «il ricorrente in primo grado non ha promosso alcuna azione diversa da quella di adempimento, infondata per quanto appena rilevato, avendo egli esattamente percepito quanto previsto in un atto negoziale qui a prestato il consenso»;
ciò posto, è pacifico fra le parti che con determina S.G. 31/3/2010 n. 44, adottata in applicazione della delibera di G.P. n. 133/2009 (recante ‘R egolamento relativo ai criteri per la graduazione delle posizioni organizzative per il conferimento dell’incarico e per la valutazione della prestazione lavorativa ‘), era stata stabilita dal Segretario Generale la graduazione e pesatura della p.o. in parola (per complessivi €. 13.718,39), somma tuttavia materialmente mai corrisposta -erogando l’amministrazione il minor importo di €. 8.103,00 -per insufficienza del fondo annuale per il personale approvato dalla G.P.;
sicché il giudice d’appello avrebbe opportunamente dovuto valutare tale decisivo aspetto e quindi verificare se l’indennità di p.o. fissata con determina del S.G. n. 44/2010 fosse stata legittimamente adottata all’esito del prescritto iter di cui alla disciplina collettiva; nel qual caso,
riconoscendo l’importo dell’indennità come determinato e non il minor importo, seppur accettato dal dipendente, di cui al contratto individuale, ove, beninteso, in contrasto con la disciplina collettiva e con il sistema di graduazione e pesatura delle pp.oo. stabilito a valle con disciplina regolamentare e di dettaglio;
ove invece tale iter di graduazione e pesatura non fosse stato correttamente seguito dall’amministrazione, per le eventuali problematiche concernenti il fondo espressamente dedicato, ai sensi del medesimo contratto collettivo, alla quantificazione della menzionata indennità di p.o., il giudice d’appello avrebbe dovuto valutare la fondatezza dell’ulteriore domanda risarcitoria, nella specie ritualmente introdotta fin dal ricorso introduttivo, e ciò in quanto tali problematiche non fanno venir meno di per sé l’obbligo gravante sulla P.A. di attivare e concludere la procedura diretta all’adozione di tale provvedimento;
non è (or dunque) esente da censure, ed anzi confligge coi principi suesposti, l’affermazione della Corte nissena secondo cui « assume rilievo troncante, e perciò assorbente di ogni altra questione, la sottoscrizione da parte del dipendente dei contratti individuali di lavoro specificamente stipulati in rapporto alla posizione organizzativa conferita nei quali erano espressamente indicati gli importi retributivi previsti e che sono stati accettati dall’interessato con la sottoscrizione suddetta senza alcuna riserva o contestazione» (p. 12, 2° cpv., sentenza);
in conclusione, il ricorso va accolto, l’impugnata sentenza dev’essere conseguentemente cassata, con rinvio alla C orte d’appello di Palermo in diversa composizione per un nuovo esame nel rispetto dei principi su enunciati.
P.Q.M.
La Corte: accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Corte Suprema di