Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13044 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13044 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23805/2023 r.g., proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME.
ricorrente
contro
COGNOME NOME e NOME COGNOME, elett. dom.ti in presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME
contro
ricorrenti
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 2630/2023 pubblicata in data 18/07/2023, n.r.g. 2442/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 11/02/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.- NOME COGNOME e NOME COGNOME adìvano il Tribunale di Napoli per ottenere l’accertamento del loro diritto al computo delle indennità perequativa e compensativa nella base di calcolo della retribuzione dovuta per i giorni di ferie e di permesso e la conseguente condanna dell’ente datore di lavoro al pagamento delle differenze retributive.
OGGETTO:
retribuzione per ferie – nozione – inclusione di determinate voci – accertamento in concreto
2.- Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale accoglieva le domande.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dal datore di lavoro.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
rileva la nozione eurounitaria di retribuzione feriale, fissata dall’art. 7 della direttiva n. 2003/88/CE;
in mancanza di una specifica definizione di retribuzione nell’ordinamento interno, compito del giudice di merito è quello di valutare il rapporto di funzionalità, ossia il nesso intrinseco che intercorre fra i vari elementi che compongono la retribuzione complessiva e le mansioni svolge e quindi verificare se la retribuzione corrisposta al lavoratore durante il periodo minimo di ferie annuali (di quattro settimane) corrisponda oppure no a quella fissata con carattere imperativo e incondizionato dall’art. 7 della direttiva citata;
l’accordo regionale del 15/12/2011 all’art. 3 prevede l’indennità perequativa/compensativa, diretta a garantire il mantenimento delle condizioni economiche in atto per il personale in servizio, calibrato in ragione delle mansioni e/o della presenza;
l’allegato 2 all’ipotesi di accordo aziendale del 25/07/2012 stabiliva che ai lavoratori in servizio alla data di stipula di tale ipotesi di accordo, per ogni ora di effettiva prestazione lavorata spetta una indennità perequativa/compensativa, i cui valori sono determinati facendo riferimento ai valori teorici previsti dalla turnazione annua o dalla effettiva presenza media annua e determinata in cifra fissa, non è rivalutabile, è pensionabile e rileva ai fini del calcolo del t.f.r.;
orbene, il riferimento alla giornata di effettiva presenza/prestazione non serve a condizionarne l’erogazione, ma a collegarla alla retribuzione volta a compensare la prestazione, tanto è vero che la quantificazione non è effettuata in riferimento ai giorni di presenza del singolo lavoratore, ma è conteggiata in misura fissa sulla base dei ‘valori teorici previsti dalla turnazione annua o dalla effettiva presenza media annua’;
sulla base del tenore complessivo delle clausole, secondo un criterio sistematico (art. 1363 c.c.), e tenendo altresì conto della ratio ispiratrice della disciplina aziendale, tali indennità sono collegate all’esecuzione delle mansioni, sicché rientra a pieno titolo nella retribuzione da corrispondere anche nei periodi di ferie.
4.- Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
5.- COGNOME NOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso ed hanno depositato memoria.
6.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi de ll’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. , l’ente ricorrente lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione’ degli artt. 1363, 1362 c.c., 12 disp.prel.c.c., 5 CCNL del 23/07/1976 e del CCNL autoferrotranvieri del 27/11/2000 per avere la Corte territoriale illogicamente ritenuto illegittima l’esclusione delle indennità perequativa e compensativa dalla retribuzione dovuta per i giorni di ferie e di permesso, senza considerare che tali indennità andavano a sostituire precedenti voci di retribuzione varabile e non fissa.
Il motivo è infondato.
Come riconosce lo stesso ricorrente (v. ricorso per cassazione, p. 14), le indennità in esame sono state previste come da erogare in considerazione dell’esecuzione delle mansioni cui il lavoratore è assegnato. Dunque sussiste il requisito per integrare la nozione eurounitaria di ‘retribuzione feriale’ , ai sensi dell’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE per come interpretato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea , comprensiva di qualsiasi importo pecuniario che si ponga in rapporto di collegamento con l’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore (Cass. n. 13425/2019), in modo da evitare il potenziale effetto dissuasivo, ossia che il prestatore sia indotto a rinunziare al riposo annuale allo scopo di non subire decurtazioni nel trattamento retributivo (Cass. ord. n. 25840/2024). La relativa valutazione va compiuta con riguardo alla retribuzione mensile (perché appunto è tale quella corrisposta nel periodo di godimento delle ferie) e non a quella annuale (Cass. n. 13932/2024).
Peraltro, va ribadito che la determinazione della retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, in assenza di apposite previsioni di fonte legale, è rimessa alla contrattazione collettiva (Cass. n. 13932/2024), che ben può escludere alcune voci ed includerne altre, senza che tali clausole siano in contrasto con l’art. 36 Cost. (Cass. n. 20216/2022).
Il fatto che le indennità oggetto di causa vadano a sostituire precedenti voci di retribuzione variabile piuttosto che fissa non rileva, poiché si tratta pur sempre di garantire un trattamento economico ‘analogo’ a quello percepito durante la normale esecuzione della prestazione lavorativa. Ciò al fine di evitare un potenziale effetto dissuasivo, tale che, per evitare di subire una decurtazione del trattamento economico, il lavoratore possa essere indotto a rinunziare alle ferie intese come necessario riposo annuale e, quindi, come garanzia di ‘tempo di non lavoro’.
In ogni caso le censure attinenti ad un’asserita violazione dei criteri di ermeneutica negoziale sono inammissibili, perché, lungi dall’esporre in cosa sarebbe consistita la violazione, si traducono in un’interpretazione meramente contrappositiva rispetto a quella plausibilmente e motivatamente prescelta dalla Corte territoriale. Va ricordato in proposito che il controllo di legittimità sugli atti di autonomia negoziale non può scadere nel controllo di merito ed anteporre a quella prescelta dai giudici d’appello una differente interpretazione solo perché reputata più plausibile ad opera della stessa parte ricorrente. Come è noto, anche l’accertamento della volontà negoziale si sostanzia in un accertamento di fatto ( ex multis Cass. n. 9070/2013; Cass. n. 12360/2014), riservato all’esclusiva competenza del giudice del merito (Cass. n. 17067/2007; Cass. n. 11756/2006). Ne consegue che le valutazioni del giudice di merito soggiacciono sì, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato circa la verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, ma la denuncia della violazione delle regole che presiedono all’interpretazione dei contratti non può risolversi nella mera contrapposizione di un’interpretazione diversa da quella criticata (tra le innumerevoli: Cass. n. 18375/2006; Cass. n. 12468/2004; Cass. n. 22979/2004, Cass. n. 7740/2003; Cass. n. 12366/2002; Cass. n. 11053/2000).
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3),
c.p.c. il ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 36 Cost. e 7 della direttiva n. 2003/88/CE, per avere la Corte territoriale erroneamente interpretato la nozione di retribuzione feriale e per avere omesso la verifica dell’effetto potenzialmente dissuasivo della mancata corresponsione di tali indennità nella retribuzione feriale.
Il motivo è infondato.
La nozione eurounitaria di ‘retribuzione feriale’ postula tre accertamenti, l’uno successivo all’altro e ciascuno condizionato dall’esito positivo del precedente:
l’emolumento deve avere natura retributiva e non risarcitoria o di rimborso spese;
l’emolumento di natura retributiva deve porsi in rapporto di collegamento con l’esecuzione delle mansioni e/o deve essere correlato allo status personale e professionale del lavoratore;
il mancato riconoscimento dell’emolumento deve produrre un effetto potenzialmente dissuasivo nei confronti del dipendente, da accertare con riguardo alla retribuzione mensile (e non annuale).
Orbene, nel caso in esame i giudici d’appello hanno esattamente ricostruito la nozione di retribuzione feriale per l’ordinamento eurounitario, come interpretato dalla Corte G.U.E. e sopra riportato, e quindi hanno esattamente posto a base del sillogismo giuridico la portata precettiva della norma esattamente intesa. Hanno poi proceduto ai predetti accertamenti, nell’ambito dei quali la valutazione del potenziale effetto dissuasivo è stata sia pure implicitamente ma univocamente compiuta in termini di conseguenza diretta dell’accertamento dei primi due elementi fattuali. In conclusione, non è ravvisabile alcun errore di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta delineata dalla norma (ossia nella nozione eurounitaria di ‘retribuzione durante le ferie’) , né alcuna lacuna nell’accertamento compiuto dai giudici d’appello .
3.Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta; condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00, oltre
euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge, con attribuzione al difensore dei controricorrenti.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in