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Retribuzione mansioni superiori: la decisione della Corte

Una dipendente comunale svolgeva mansioni dirigenziali pur non avendo la qualifica. La Corte di Cassazione ha stabilito che, in assenza di una posizione dirigenziale formalmente istituita nell’organico dell’ente locale, non spetta l’intera retribuzione mansioni superiori, ma solo la specifica indennità di posizione prevista dalla contrattazione collettiva. La Corte ha cassato la precedente sentenza d’appello, che aveva erroneamente applicato la regola generale invece della disciplina speciale per gli enti locali minori.

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Pubblicato il 5 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Retribuzione Mansioni Superiori: Non Sempre Spetta la Paga da Dirigente

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel pubblico impiego: la corretta retribuzione per mansioni superiori. Una dipendente comunale ha svolto per anni compiti dirigenziali senza possedere la relativa qualifica. La questione è se le spetti la piena retribuzione da dirigente o solo un’indennità specifica. La Corte fornisce una risposta chiara, distinguendo la disciplina generale da quella speciale prevista per gli enti locali privi di personale dirigenziale.

I fatti di causa

Una dipendente di un Comune, inquadrata in un’area non dirigenziale, si è vista conferire incarichi di natura dirigenziale per un lungo periodo, dal 2005 al 2007. L’ente le aveva riconosciuto unicamente la retribuzione di posizione, ma non l’intero trattamento economico previsto per i dirigenti. La lavoratrice ha quindi agito in giudizio per ottenere le differenze retributive.
Il Tribunale prima, e la Corte d’Appello poi, le hanno dato ragione, condannando il Comune al pagamento delle differenze. I giudici di merito hanno applicato il principio generale sancito dall’art. 52 del D.Lgs. 165/2001, secondo cui il lavoratore che svolge mansioni superiori ha diritto alla retribuzione corrispondente. Il Comune ha però presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che i giudici non avessero considerato la normativa speciale per gli enti locali.

La decisione della Corte sulla retribuzione mansioni superiori

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Comune, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa a un nuovo esame. Gli Ermellini hanno stabilito che la Corte territoriale ha errato nel non applicare la disciplina specifica dettata per gli enti locali, in particolare per quelli di minori dimensioni sprovvisti di figure dirigenziali in pianta organica.

Inoltre, la Cassazione ha riscontrato un vizio procedurale (error in procedendo). I giudici di merito avevano liquidato le differenze retributive per un periodo più ampio di quello richiesto dalla dipendente nella sua domanda subordinata, violando così il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.).

Le motivazioni

La Corte ha articolato il suo ragionamento su due pilastri fondamentali.

Il primo riguarda la corretta individuazione della normativa applicabile. La Cassazione ha chiarito che il principio generale dell’art. 52 del D.Lgs. 165/2001, che garantisce la retribuzione per mansioni superiori, non opera in modo automatico nel contesto degli enti locali. Esiste infatti una normativa speciale, contenuta nel Testo Unico degli Enti Locali (D.Lgs. 267/2000), che all’art. 109 consente ai Comuni privi di personale con qualifica dirigenziale di conferire tali funzioni a dipendenti non dirigenti.

In questi casi, la disciplina non è lasciata all’applicazione automatica della regola generale, ma è demandata alla contrattazione collettiva. Quest’ultima ha previsto l’istituto della “posizione organizzativa”, che remunera le maggiori responsabilità con un trattamento economico specifico, composto da una retribuzione di posizione e una di risultato, in aggiunta allo stipendio base. Questo sistema è stato ritenuto sufficiente a compensare lo svolgimento delle mansioni superiori, senza che ciò implichi il diritto all’intero trattamento economico dirigenziale. La Corte d’Appello ha sbagliato perché non ha verificato se il Comune avesse formalmente istituito la posizione dirigenziale nella sua organizzazione, un presupposto indispensabile per poter rivendicare la relativa retribuzione.

Il secondo motivo di accoglimento del ricorso riguarda la violazione dell’art. 112 c.p.c. La dipendente aveva formulato due domande: una principale, a titolo di risarcimento danni, per il periodo maggio 2005 – dicembre 2007; e una subordinata, a titolo retributivo, limitata al periodo luglio 2006 – dicembre 2007 (per evitare la prescrizione quinquennale). I giudici di merito, pur accogliendo la domanda subordinata, avevano liquidato le somme per l’intero periodo della domanda principale. Così facendo, hanno pronunciato oltre i limiti della domanda, attribuendo alla lavoratrice un bene che non aveva richiesto in quella specifica forma. Il potere del giudice di qualificare la domanda, ha ribadito la Corte, non può spingersi fino a sostituire la domanda proposta con una diversa o ad attribuire più di quanto richiesto.

Le conclusioni

L’ordinanza della Corte di Cassazione offre due importanti principi pratici. In primo luogo, per i dipendenti degli enti locali, soprattutto quelli di minori dimensioni, lo svolgimento di mansioni dirigenziali non comporta automaticamente il diritto alla retribuzione piena da dirigente. È fondamentale verificare la specifica organizzazione dell’ente e le previsioni della contrattazione collettiva, che spesso prevedono l’istituto della “posizione organizzativa” con un trattamento economico dedicato. In secondo luogo, viene ribadito un principio processuale fondamentale: la domanda giudiziale definisce i limiti del potere del giudice. Una sentenza che va oltre quanto richiesto è viziata e può essere annullata.

Un dipendente pubblico che svolge mansioni superiori ha sempre diritto alla retribuzione piena corrispondente?
No, non sempre. Secondo la Corte, nel caso specifico degli enti locali minori privi di qualifiche dirigenziali in organico, si applica una disciplina speciale. La contrattazione collettiva prevede l’istituto della ‘posizione organizzativa’, che remunera le maggiori responsabilità con specifiche indennità (di posizione e di risultato) e non con l’intero trattamento economico previsto per un dirigente.

Qual è il presupposto per poter richiedere la retribuzione da dirigente in un ente locale?
Il presupposto è che l’ufficio ricoperto sia stato formalmente istituito come posizione di livello dirigenziale negli atti di macro-organizzazione dell’ente. Se tale istituzione formale manca, il giudice non può sostituirsi all’amministrazione e qualificare l’attività come dirigenziale solo sulla base della sostanza delle mansioni svolte.

Può un giudice concedere in una sentenza più di quanto una parte ha chiesto?
No. Il giudice è vincolato dal ‘principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato’ (art. 112 c.p.c.). Non può attribuire un bene della vita diverso o maggiore rispetto a quello specificamente domandato dalla parte. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva liquidato differenze retributive per un periodo più lungo di quello richiesto nella domanda subordinata, incorrendo in un vizio procedurale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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