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Retribuzione lavoro pubblico: sì a tutti i diritti

La Corte di Cassazione ha stabilito che un lavoratore del settore pubblico, il cui rapporto di lavoro subordinato era mascherato da un contratto di collaborazione poi dichiarato nullo, ha diritto alla piena retribuzione prevista dal contratto collettivo nazionale. L’ordinanza chiarisce che il diritto non si limita a un “minimo costituzionale”, ma include tutte le voci retributive per il periodo in cui la prestazione è stata effettivamente svolta, in applicazione dell’art. 2126 del Codice Civile. L’appello dell’Azienda Sanitaria è stato dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Retribuzione Lavoro Pubblico: Garantito il Diritto a Tutti gli Emolumenti Anche con Contratto Nullo

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale in materia di retribuzione nel lavoro pubblico: anche quando un rapporto di lavoro con la Pubblica Amministrazione è formalmente nullo, il lavoratore ha diritto a percepire l’intera retribuzione prevista dal contratto collettivo di riferimento, e non solo un compenso minimo. Questa decisione consolida la tutela del lavoratore di fatto, la cui prestazione non può essere svalutata a causa di irregolarità formali imputabili all’ente pubblico.

I Fatti del Caso: Un Farmacista e il Contratto Fittizio

La vicenda ha origine dalla richiesta di un farmacista che aveva lavorato per un’Azienda Sanitaria Locale per oltre due anni in forza di contratti di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.) più volte rinnovati. Ritenendo che il suo rapporto fosse, in realtà, di natura subordinata, si è rivolto al Giudice del Lavoro per chiederne il riconoscimento e la condanna dell’ente al pagamento delle differenze retributive, quali straordinari, tredicesima, ferie non godute e trattamento di fine rapporto.

Inizialmente, il Tribunale aveva respinto la domanda, non riconoscendo il carattere subordinato del rapporto. La Corte d’Appello, tuttavia, ha ribaltato la decisione, accertando la subordinazione e condannando l’Azienda Sanitaria a versare al lavoratore oltre 32.000 euro, calcolati sulla base del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) per la dirigenza sanitaria.

La Questione sulla Retribuzione nel Lavoro Pubblico in Cassazione

L’Azienda Sanitaria ha impugnato la sentenza d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo un punto specifico: a suo avviso, una volta riconosciuta la nullità del contratto per violazione delle norme imperative sull’accesso al pubblico impiego, al lavoratore non spetterebbe l’intera retribuzione del CCNL, ma solo un compenso minimo, poiché era già stato remunerato con la paga base prevista nel contratto di collaborazione. Secondo l’ente, riconoscere voci accessorie eccederebbe il “minimo costituzionale” garantito dall’art. 36 della Costituzione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo che l’Azienda Sanitaria non avesse colto la corretta ratio decidendi della sentenza d’appello. I giudici hanno chiarito che il diritto del lavoratore non si fondava su un’interpretazione estensiva dell’art. 36 Cost., ma sulla diretta applicazione dell’articolo 2126, comma 2, del Codice Civile.

Questa norma stabilisce che, nonostante la nullità del contratto di lavoro, per il periodo in cui la prestazione è stata eseguita, il lavoratore conserva il diritto alla retribuzione. La Corte ha specificato che per “retribuzione” si intende tutto il trattamento economico e normativo previsto dalla contrattazione collettiva di settore. Si tratta di una tutela fondamentale che impedisce al datore di lavoro (in questo caso pubblico) di trarre vantaggio da una propria irregolarità.

Inoltre, la Cassazione ha richiamato il principio di parità di trattamento, sancito dall’art. 45 del D.Lgs. 165/2001, che obbliga le pubbliche amministrazioni a garantire ai propri dipendenti trattamenti non inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi. Sebbene nel pubblico impiego la violazione delle norme sull’assunzione non possa portare alla costituzione di un rapporto a tempo indeterminato, ciò non elimina il diritto del lavoratore a essere pienamente compensato per il lavoro svolto.

Le Conclusioni: Diritto Pieno alla Retribuzione

La conclusione della Corte di Cassazione è netta: il lavoratore che ha prestato la propria attività in un rapporto di lavoro con la Pubblica Amministrazione, anche se basato su un contratto nullo, ha diritto a ricevere la stessa retribuzione che sarebbe spettata a un dipendente regolarmente assunto con le medesime mansioni. Questo include non solo la paga base, ma tutte le voci retributive accessorie (come tredicesima, indennità, straordinari) previste dal CCNL applicabile. La decisione rafforza la posizione dei lavoratori precari nel settore pubblico, assicurando che il lavoro effettivamente prestato venga sempre e comunque integralmente retribuito.

Un lavoratore del settore pubblico con un contratto nullo ha diritto alla stessa retribuzione di un collega regolarmente assunto?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, per il periodo in cui il lavoro è stato effettivamente svolto, il lavoratore ha diritto all’intera retribuzione prevista dal contratto collettivo di riferimento, inclusi tutti gli elementi accessori, in applicazione dell’art. 2126 del Codice Civile.

Se un contratto di collaborazione con la P.A. nasconde un lavoro subordinato, il lavoratore ottiene un posto a tempo indeterminato?
No, nel settore del pubblico impiego la violazione delle norme sui presupposti per l’assunzione non comporta la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Tuttavia, il lavoratore ha il diritto di vedersi riconosciute tutte le differenze retributive per il periodo lavorato, come se fosse stato assunto regolarmente.

La Pubblica Amministrazione può pagare solo un “minimo costituzionale” se il rapporto di lavoro è nullo?
No. La Corte ha chiarito che il diritto del lavoratore non è limitato a un minimo, ma si estende a tutte le voci retributive previste dalla contrattazione collettiva di comparto. Il fondamento di tale diritto è la prestazione di fatto eseguita, che deve essere pienamente compensata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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