Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14087 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 14087 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16192/2022 R.G. proposto da
– ricorrente –
contro
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4879/2021 de lla Corte d’Appello di Napoli, depositata il 16.12.2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7.5.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
L ‘ attuale controricorrente -premesso di avere lavorato come farmacista per l’RAGIONE_SOCIALE , tra il febbraio 2007 e il novembre 2009, in forza di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa più volte reiterato -si rivolse al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in funzione di giudice del lavoro, per chiedere l’accertamento della natura subordinata del rapporto e la condanna dell’RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle differenze retributive dovute a titolo di lavoro straordinario, tredicesima mensilità, festività soppresse, indennità sostitutiva delle ferie e dei permessi non goduti e trattamento di fine rapporto.
Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale respinse la domanda, ritenendo non dimostrato il carattere subordinato del rapporto di lavoro.
La sentenza di primo grado venne però riformata dalla Corte di Appello di Napoli, che, in accoglimento del gravame proposto dal lavoratore, condannò l’RAGIONE_SOCIALE al pagamento dell’importo di € 32.138,04, in linea capitale, a titolo di differenze retributive dovute in applicazione del CCNL all’epoca vigente per la dirigenza RAGIONE_SOCIALE del Servizio RAGIONE_SOCIALE.
Contro la sentenza della corte d’appello l’RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi.
Il lavoratore si è difeso con controricorso, illustrato anche con memoria depositata nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi de ll’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denunciano «violazione e falsa applicazione de ll’ art. 2094 c.c. in relazione all’art. 2126,
comma 2, c.c.», con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
La ricorrente non rimette in discussione l’accertamento del rapporto di lavoro subordinato, ma sostiene che la Corte d’Appello non avrebbe comunque dovuto riconoscere all’attuale controricorrente differenze retributive, essendo egli già stato remunerato, per le prestazioni svolte, con la retribuzione base prevista dal contratto collettivo di categoria che lo stesso giudice d’appello ha ritenuto applicabile al rapporto in questione.
Il secondo motivo censura, analogamente, «violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c. in relazione all’art. 36 Cost.», sempre con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
La ricorrente sostiene che la Corte d’Appello avrebbe errato a ritenere applicabile, nei confronti del lavoratore, la tutela dell’a rt. 36 Cost. ai fini del pagamento di accessori retributivi eccedenti il «minimo costituzionale».
I due motivi, da trattare congiuntamente in ragione della loro stretta connessione, sono inammissibili.
Il ricorso non coglie -e quindi non censura -l ‘esatt a ratio decidendi della sentenza impugnata. L a Corte d’Appello, una volta accertata la natura subordinata del rapporto di lavoro instaurato tra le parti (dietro lo schermo di un fittizio contratto a progetto di co.co.co), ha semplicemente riconosciuto al lavoratore il diritto al pagamento di tutte le voci retributive dovute per le sue prestazioni, come disposto dall ‘art. 2126, comma 2, c.c., che eccezionalmente attribuisce al prestatore il «diritto alla retribuzione» nonostante la nullità del contratto (nullità derivante, in questo caso, dalla violazione dei vincoli
posti all ‘ instaurazione di rapporti di pubblico impiego dalla legge e dall’art. 97 Cost. ).
Le voci di retribuzione che sono state riconosciute al lavoratore sono quelle che, non previste nel rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, sono invece dovute al lavoratore subordinato in forza della contrattazione collettiva di comparto. Si tratta, in ogni caso, di retribuzione, che la Pubblica Amministrazione è obbligata a pagare, con riguardo al tempo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, in ossequio al principio di parità di trattamento dei lavoratori e all’obbligo di rispettare le previsioni della contrattazione collettiva (art. 45, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001: «Le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti di cui all ‘ articolo 2, comma 2, parità di trattamento contrattuale e comunque trattamenti non inferiori a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi»).
La Corte d’Appello ha altresì osservato, non meno correttamente, che -nel settore del pubblico impiego, a differenza di ciò che avviene nel settore privato -il lavoratore assunto in violazione degli presupposti di legge non ha diritto alla instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ma che ciò nulla toglie al suo diritto a percepire tutti gli emolumenti dovuti per l’intero periodo di svolgimento della prestazione.
Per quanto sopra esposto, il cenno, nella sentenza impugnata, alla tutela contenuta nell’art. 36 Cost. ( «diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro»), non ha immediata rilevanza ai fini della decisione assunta, così come non è pertinente, nel caso di specie, il richiamo della ricorrente alla giurisprudenza di legittimità che,
nel diverso ambito del lavoro privato, definisce i limiti dell ‘ applicabilità del trattamento economico previsto dalla contrattazione collettiva ai rapporti di lavoro ad essa estranei in funzione di attuazione diretta di quel principio costituzionale (Cass. n. 944/2021).
Dichiarato inammissibile il ricorso, le spese legali del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, con distrazione in favore del difensore del controricorrente, che ne ha fatto richiesta dichiarandosi antistatario.
Si dà atto che, in base all’esito del giudizio , sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’ art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese legali relative al giudizio di legittimità, liquidate in € 4.000 per compensi, oltre alle spese g enerali al 15%, a € 200 per esborsi e agli accessori di legge, con distrazione in favore del difensore;
ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 -quater , dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del l’ art. 13, comma 1 -bis , del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso in Roma, il 7.5.2024.