Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13972 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 13972 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/05/2024
SENTENZA
sul ricorso 14382-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE, soggetta all’attività di direzione e coordinamento di RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocati NOME COGNOME;
– controricorrenti –
Oggetto
Retribuzione durante le ferie
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 05/03/2024
PU
avverso la sentenza n. 1470/2021 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 02/12/2021 R.G.N. 847/2021; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/03/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale AVV_NOTAIO udito l’AVV_NOTAIO per delega verbale COGNOME NOME;
NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto ricorso; udito l’AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Milano ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza del Tribunale della medesima sede, che, in accoglimento del ricorso proposto dai due lavoratori in epigrafe indicati, entrambi dipendenti di RAGIONE_SOCIALE con la qualifica di macchinisti, aveva accertato il loro diritto a vedersi retribuire ciascuna giornata di ferie con una retribuzione comprensiva dell’indennità di assenza dalla residenza e dell’intera indennità di ut ilizzazione professionale (in sigla ‘IUP’), calcolate sulla media dei compensi percepiti, a tali titoli, nei 12 mesi precedenti la fruizione delle ferie, detratto l’importo fisso giornaliero di € 12,80 già riconosciuto, e aveva quindi condannato detta società a corrispondere agli attori le differenze retributive maturate, per i titoli ed il periodo indicati, come quantificate, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalle scadenze al saldo.
1.1. La Corte territoriale ha anzitutto richiamato i principi espressi in talune decisioni di legittimità sulla questione della retribuzione feriale in relazione al quadro normativo e
giurisprudenziale europeo, con particolare riferimento alla incidenza su di essa delle voci retributive variabili.
1.2. Quanto all’indennità di utilizzazione professionale, la Corte ha ritenuto che la quantificazione della quota di indennità riconosciuta durante le ferie ad opera della contrattazione collettiva non poteva in alcun modo escludere la valutazione, in sede giurisdizionale, della sua rispondenza alla sovraordinata normativa interna e sovranazionale, e che tale vaglio, da compiersi secondo i criteri in precedenza illustrati, prevaleva certamente sulla determinazione operata dalle parti sociali, il cui effetto dissuasivo rispetto alla fruizione delle ferie -se accertato nel caso concreto -ne determinava l’illegittimità per contrasto con fonti di rango prevalente.
1.3. In tale ottica risultava, infatti, decisiva -non già la misura solo parziale della decurtazione -bensì la sua incidenza sulla retribuzione feriale e, di conseguenza, sulla piena libertà di fruizione del periodo di riposo costituzionalmente garantito; e considerava che, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, tale raffronto non poteva limitarsi alla sola prospettiva annuale, ma andava calato nel breve periodo, ben potendo valutazioni di carattere immediato rivestire in concreto portata dissuasiva; portata dissuasiva che la Corte accertava in concreto per entrambi i lavoratori.
1.4. Circa l’indennità di assenza dalla residenza, poi, rilevava trattarsi di componente retributiva certamente rientrante nel concetto di retribuzione, delineato dalla giurisprudenza in precedenza richiamata, e che essa appare volta a compensare -non già una modalità temporanea o un esborso occasionale -bensì un disagio intrinsecamente
connesso alla prestazione lavorativa tipica del personale mobile, determinato dalla mancanza di un luogo fisso di lavoro e dalla costante lontananza della propria sede, richiamando a riguardo l’art. 77 c. 2 del CCNL.
1.5. Inoltre, la Corte d’appello riteneva irrilevanti, in senso contrario, l’omologazione del relativo regime fiscale a quello del trattamento di trasferta e l’esclusione dell’elemento in esame dal calcolo della retribuzione spettante per tutti gli istituti di legge e/o di contratto, stabilite dai punti nn. 3 e 4 del citato art. 77 c. 2, in quanto inidonee ad incidere sulla funzione sostanziale dell’emolumento e, in particolare, sulla sua diretta correlazione ad un disagio intrinseco alla mansione.
1.6. Infine, la Corte ha escluso che per le somme chieste operasse la prescrizione, evidenziando che, nel regime novellato dell’art. 18 RAGIONE_SOCIALE Statuto dei lavoratori per effetto delle modifiche apportate dalla legge n. 92 del 2012, la prescrizione non decorre in costanza di rapporto di lavoro.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE, affidato ad otto motivi.
I lavoratori intimati resistono con controricorso.
Le parti hanno depositato memoria.
Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente fa valere quella che giudica ‘La corretta interpretazione delle sentenze della CGE nel rispetto dei limiti stabiliti dall’art. 267 TFUE’, e lamenta la
‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 7, Dir. CE 88/2003 e degli artt. 1362 e seguenti C.C. in relazione agli artt. 31, CA 2012 e art. 31, CA 2016 (art. 360, n. 3 c.p.c.’.
1.1. Sostiene la ricorrente che la Corte di merito ha erroneamente applicato i principi sanciti dalla giurisprudenza comunitaria, in quanto non ha considerato che: – per le giornate di servizio la IUP è quantificata in due diverse ed alternative misure in relazione alla tipologia di attività svolte, entrambe tipiche del macchinista; per le giornate di ferie l’indennità è riconosciuta in una delle misure riconosciute al personale in servizio per attività svolte tipiche del macchinista, e tale riconoscimento per la ricorrente è quindi conforme al principio di tendenziale corrispondenza tra retribuzione percepita in servizio e retribuzione percepita in ferie.
Con il secondo motivo è denunciata la ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 7, Dir. CE 88/2003, dell’art. 10 , D.Lgs. 66/2003, nonché dell’art. 2019 (n.d.r.: rectius , 2109) c.c., con riferimento agli artt. 36 e 39 Cost. e all’art. 77 punto 2.4. del CCNL Mobilità -Attività Ferroviarie del 20.7.2012 e del 16.12.2016 (art. 360, n. 3 c.p.c.)’.
2.1. Sostiene la società che la Corte ha erroneamente applicato i principi sanciti dalla giurisprudenza comunitaria, in quanto non ha considerato che: l’indennità assenza dalla residenza ha natura e funzione risarcitoria; l’indennità assenza dalla resi denza non rientra nell’imponibile fiscale; sicché l’esclusione di tale indennità è conforme all’orientamento comunitario che ha escluso proprio le voci risarcitorie non imponibili fiscalmente.
Con il terzo motivo di ricorso si denuncia, ancora una volta, la ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 7, Dir. CE 88/2003 nonché applicazione in via generale ed astratta dei principi giurisprudenziali espressi dalla CGE con violazione degli artt. 3 6 e 39 Cost. (art. 360, n. 3 c.p.c.’.
3.1. Sostiene che la Corte di merito non ha adeguatamente valutato il ‘ruolo’ della contrattazione collettiva nel nostro ordinamento, così violando l’art. 36 Cost. ed il diritto vivente che demanda proprio alla contrattazione collettiva la determinazione della retribuzione.
Con il quarto motivo di ricorso è denunciata la ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 267 TFUE (ex art. 234 del TCE) e del principio di diritto vivente sulla efficacia ultra partes delle sentenze CGE nonché dell’art. 7, Dir. CE 88/2003, dell’art. 10, D.lgs 66/2003, nonché dell’art. 2019 (n.d.r.: rectius, 2109) c.c., con riferimento agli artt. 36 e 39 Cost. (art. 360, n. 3 c.p.c.)’.
4.1. Secondo la ricorrente, la Corte ha erroneamente applicato i principi sanciti dalla giurisprudenza comunitaria in quanto non ha considerato la diversità fattuale delle fattispecie e strutturale dei compensi analizzati dalla CGE (sentenza Robinson Steele del 16.3.2006; sentenza COGNOME–COGNOME del 20.1.2009; sentenza COGNOME n. 155/2010; sentenza Z.J.R. Lock del 22.5.2014; Sentenza Torsten Hein -causa C-385/17) rispetto alla fattispecie e ai compensi oggetto di causa, diversità che impediva di applicare tali precedenti al diverso caso qui in esame, con conseguente rigetto delle domande.
Con un quinto motivo deduce ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 7, Dir. CE 88/2003 nonché dell’art. 267
TFUE (ex art. 234 del TCE) e del derivato principio di diritto vivente sulla efficacia ultra partes delle sentenze CGE per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5) c.p.c.)’.
5.1. Per la ricorrente, la Corte ha erroneamente applicato i principi sanciti dalla giurisprudenza comunitaria in quanto non ha accertato che i fatti e la disciplina dei compensi oggetto dei casi concreti sottoposti all’esame della CGE sono diversi sotto ogni profilo da quelli oggetto di questo giudizio; tale diversità impediva di applicare tali precedenti al diverso caso qui in esame, con conseguente rigetto delle domande.
Con un sesto motivo, in subordine, denuncia ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 267 TFUE (ex art. 234 TCE) e del principio di diritto vivente sulla efficacia ultra partes delle sentenze CGE e violazione degli artt. 289 e 294 TFUE (funzione normativa procedura ordinaria e straordinaria), nonché violazione dell’art. 7 della Direttiva CE 88/2003 (art. 360, n. 3 c.p.c.)’.
6.1. Deduce la ricorrente che, ove si ritenesse che la Corte territoriale ha correttamente applicato i principi espressi dalle sentenze della CGE, nonostante la conclamata diversità della fattispecie oggetto del presente giudizio rispetto ai casi concreti analizzati dai giudici europei, la sentenza impugnata (come altre pronunce simili) avrebbe elevato di fatto a fonte normativa generale ed astratta le sentenze della CGE rese su un caso concreto, ponendosi in contrasto con le norme del TFUE sia laddove istituiscono e disciplinano la funzione della Corte di Giustizia (CGE), definendo l’efficacia delle sue pronunce sia laddove distinguono tra funzione normativa da un lato, riservata
al Parlamento Europeo e/o al Consiglio Europeo dagli artt. 289 e 294 TFUE e funzione giurisdizionale dall’altro, assegnata alla CGE dall’art. 267 TFUE.
Con un settimo motivo, sempre in subordine, denuncia ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 267 TFUE (ex art. 234 TCE) e del principio di diritto vivente sulla efficacia ultra partes delle sentenze CGE in relazione ai principi di ordine pubblico che impongono nel nostro ordinamento la distinzione tra potere normativo e potere giurisdizionale (artt. 70 e 71 Cost., artt. 101 e 102 Cost.); nonché violazione dell’art. 7, Dir. CE 88/2003 (art. 360, n. 3 c.p.c.)’.
7.1. Deduce che, ove si ritenesse che la Corte territoriale ha correttamente applicato i principi espressi dalle sentenze della CGE, elevando di fatto a fonte normativa generale ed astratta le sentenze della CGE rese su un caso concreto, essa avrebbe violato i principi di ordine pubblico del nostro ordinamento che impongono la distinzione tra potere legislativo e potere giurisdizionale.
Con l’ottavo ed ultimo motivo, in subordine, denuncia ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 2948, n. 4 c.c. in combinato disposto con l’art. 18, commi 1 e 2, L. 300/1970 come modificato dalla L. 92/2012 (art. 360, 1° comma, n. 3 c.p.c.)’.
Rileva preliminarmente il Collegio che questa Sezione si è già espressa sulla massima parte delle questioni di diritto anche qui poste nelle recenti sent. n. 18160/2023, n. 19663/2023, n. 19711/2023, n. 19716/2023 in relazione a
motivi di ricorso per cassazione di altra società (la RAGIONE_SOCIALE) parzialmente analoghi a quelli ora in esame.
9.1. Pertanto, anche ai sensi dell’art. 118, comma primo, disp. att. c.p.c., alle citate sentenze si farà riferimento in questa sede.
Tanto rilevato, i primi sette motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, vanno disattesi.
10.1. Occorre premettere che la nozione di retribuzione da applicare durante il periodo di godimento delle ferie è fortemente influenzata dalla interpretazione data dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la quale, sin dalla sentenza Robinson Steele del 2006, ha precisato che con l’espressione <> contenuta nell’art. 7, nr. 1, della direttiva nr. 88 del 2003 si vuole fare riferimento al fatto che, per la durata delle ferie annuali, <> la retribuzione con ciò intendendosi che il lavoratore deve percepire in tale periodo di riposo la retribuzione ordinaria (nello stesso senso CGUE 20 gennaio 2009 in C.350/06 e C-520/06, COGNOME e altri ). Ciò che si è inteso assicurare è una situazione equiparabile a quella ordinaria del lavoratore in atto nei periodi di lavoro sul rilievo che una diminuzione della retribuzione potrebbe essere idonea a dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie, il che sarebbe in contrasto con le prescrizioni del dirit to dell’Unione (cfr. C.G.U.E. COGNOME e altri , C-155/10 del 13 dicembre 2018 ed anche la causa To.He. del 13/12/2018, C-385/17). Qualsiasi incentivo o sollecitazione che risulti volto ad indurre i dipendenti a rinunciare alle ferie è infatti incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo che si propone di assicurare ai lavoratori il beneficio di un riposo
effettivo, anche per un’efficace tutela della loro salute e sicurezza (cfr. in questo senso anche la recente C.G.U.E. del 13/01/2022 nella causa C-514/20).
10.2. Di tali principi si è fatta interprete questa Corte che in più occasioni ha ribadito che la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE (con la quale sono state codificate, per motivi di chiarezza, le prescrizioni minime concernenti anche le ferie contenute nella direttiva 93/104/CE del Consiglio, del 23 novembre 1993, cfr. considerando 1 della direttiva 2003/88/CE, e recepita anch’essa con il d.lgs. n. 66 del 2003), per come interpretata dalla Corte di Giustizia, comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo ‘status’ personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass. 17/05/2019 n. 13425).
10.3. Anche con riguardo al compenso da erogare in ragione del mancato godimento delle ferie, pur nella diversa prospettiva cui l’indennità sostitutiva assolve, si è ritenuto che la retribuzione da utilizzare come parametro debba comprendere qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo ‘status’ personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass, 30/11/2021 n. 37589).
10.4. Proprio in applicazione della nozione c.d. ‘europea’ di retribuzione, nell’ambito del personale navigante dipendente di compagnia aerea, poi, si è chiarito che nel calcolo del compenso dovuto al lavoratore nel periodo minimo di ferie annuali di quattro settimane si deve tenere conto degli importi
erogati a titolo di indennità di volo integrativa e a tal fine si è ritenuta la nullità della disposizione collettiva (l’art. 10 del c.c.n.l. Trasporto Aereo -sezione personale navigante tecnico) nella parte in cui la esclude per tale periodo minimo di ferie evidenziandosi il contrasto con l’art. 4 del d.lgs. n. 185 del 2005 (decreto di attuazione della direttiva 2000/79/CE relativa all’Accordo europeo sull’organizzazione dell’orario di lavoro del personale di volo dell’aviazione civile) interpretando tale disposizione proprio alla luce del diritto europeo che impone di riconoscere al lavoratore navigante in ferie una retribuzione corrispondente alla nozione europea di remunerazione delle ferie, in misura tale da garantire al lavoratore medesimo condizioni economiche paragonabili a quelle di cui gode quando esercita l’attività lavorativa (cfr. Cass. 23/06/2022 n. 20216).
10.5. E’ opportuno poi rammentare, come già ritenuto nella sentenza da ultimo citata, ‘che le sentenze della Corte di Giustizia dell’UE hanno, infatti, efficacia vincolante, diretta e prevalente, sull’ordinamento nazionale’ sicché non può prescindersi dall ‘interpretazione data dalla Corte Europ ea che, quale interprete qualificata del diritto dell’unione, indica il significato ed i limiti di applicazione delle norme. Le sue sentenze, pregiudiziali o emesse in sede di verifica della validità di una disposizio ne UE, hanno perciò ‘valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito della Comunità’ (cfr. Cass. n. 13425 del 2019 ed ivi la richiamata Cass. n. 22577 del 2012).
10.6. Nell’applicare il diritto interno il giudice nazionale è tenuto ad una interpretazione per quanto possibile conforme
alle finalità perseguite dal diritto dell’Unione nell’intento di conseguire il risultato prefissato dalla disciplina Eurounitaria conformandosi all’art. 288, comma 3, TFUE. L’esigenza di un’interpretazione conforme del diritto nazionale attiene infatti al sistema del Trattato FUE, in quanto permette ai giudici nazionali di assicurare, nell’ambito delle rispettive competenze, la piena efficacia del diritto dell’Unione quando risolvono le controversie ad essi sottoposte (cfr. CGUE 13/11/1990 causa C106/89 NOME p. 8, CGUE 14/07/1994 causa C-91/92 COGNOME NOME p. 26, CGUE 10/04/1984 causa C-14/83 COGNOME p. 26, CGUE 28/06/2012 causa C-7/11 NOME p. 51, tutte citate da Cass. n. 22577 del 2012 alla cui più estesa motivazione si rinvia), obbligo che viene meno solo quando la norma interna appaia assolutamente incompatibile con quella Eurounitaria, ma non è questo il caso.
10.7. A questi principi si è attenuta la Corte di merito che, come ricordato, ha proceduto, correttamente, ad una verifica ex ante della potenzialità dissuasiva dell’eliminazione di voci economiche dalla retribuzione erogata durante le ferie al godimento delle stesse senza trascurare di considerare la pertinenza di tali compensi rispetto alle mansioni proprie della qualifica rivestita.
10.8. Rileva allora il Collegio che nell’ambito in particolare del primo motivo la ricorrente asserisce che ‘la sentenza impugnata (come molte altre) muove dall’erronea percezione che la IUP variabile di cui al comma 4 dell’art. 31 CA 2012 e 2016 (la cui i ncidenza viene rivendicata in causa) sia l’intero, il tutto, il compenso che percepisce il macchinista quando fa il suo lavoro, mentre la IUP giornaliera in misura fissa di cui al punto
5 sia solo una parte, un minus per quando il macchinista non lavora’.
10.9. Sennonché, tale specifica affermazione così attribuita alla Corte distrettuale e nel contempo censurata dalla ricorrente neppure si riscontra nel testo dell’impugnata sentenza, la quale, con precipuo riferimento all’indennità di utilizzazione professionale (in sigla IUP), ha svolto tutt’altro genere di considerazioni, legate essenzialmente all’inc idenza di tale indennità ‘sulla retribuzione feriale e, di conseguenza, sulla piena libertà di fruizione del periodo di riposo costituzionalmente garantito’; indagine, questa, che la stessa Corte ha operato accertando le decurtazioni subite a riguardo da entrambi i lavoratori all’epoca appellati (cfr. in extenso facciate 8-10 della sua decisione).
10.10. E tale accertamento è in linea con le indicazioni provenienti dalla Corte di Lussemburgo ed in sintonia con la finalità della direttiva, recepita dal legislatore italiano, che è innanzi tutto quella di assicurare un compenso che non possa costituire per il lavoratore un deterrente all’esercizio del suo diritto di fruire effettivamente del riposo annuale.
10.11. Inoltre, con riguardo specificatamente alla idoneità della mancata erogazione di tali compensi ad integrare una diminuzione della retribuzione idonea a dissuadere il lavoratore dal godere delle ferie, ritiene il Collegio che la sua valutazione in concreto appartiene al giudice di merito che nella specie ha plausibilmente dato conto delle ragioni per le quali l’ha ravvisata.
10.12. Del resto, è la stessa ricorrente ad ammettere che la IUP è comunque riconosciuta ‘per attività svolte tipiche del
macchinista’, ossia, in relazione alla qualifica rivestita da entrambi i lavoratori attuali controricorrenti.
Quanto all’indennità di assenza dalla residenza, come premesso in narrativa, la Corte di merito ne ha motivatamente ritenuto la natura ‘di componente retributiva certamente rientrante nel concetto di retribuzione, delineato dalla giurisprudenza’ in pre cedenza richiamata (cfr. in extenso facciate 10-11 della sua sentenza).
11.1. A fronte di tale argomentata qualificazione di detta indennità, la ricorrente assume essenzialmente che essa ‘costituisce un ristoro forfettizzato delle micro -spese variabili (considerato anche l’importo esiguo) che il macchinista deve sopportare qua ndo si trova fuori dall’impianto’, sicché si tratterebbe di emolumento che avrebbe ‘natura realmente indennitaria’ oppure ‘natura e funzione risarcitoria’.
11.2. Tale tesi, però, è sostenuta in termini essenzialmente assertivi, assumendosi la ‘pacifica natura giuridica’ appunto ‘indennitaria’ della voce in questione, e senza specificare da quali precisi indici letterali della precipua previsione collettiva cu i si è riferita la Corte di merito, ossia, l’art. 77, comma 2, dei CCNL Mobilità, Area Attività Ferroviaria, del 20.7.2012 e del 16.12.2016, si dovrebbe trarre ‘il valore ristorativo del compenso (rimborso forfettizzato di micro-spese, es. bottiglia di acqua) che coerentemente scatta solo dopo 3 ore di lontananza’.
Del resto, è la stessa ricorrente a far presente che il compenso per assenza dalla residenza è erogato solo per ‘… servizi che comportano complessivamente, per ciascuna
giornata di turno, un’assenza di durata non inferiore a 3 ore …’, e non già a titolo di rimborso magari forfettizzato.
11.3. La ricorrente insiste, poi, sull’assunto che l’indennità in questione non rientrerebbe nell’imponibile fiscale, ma correttamente la Corte territoriale ha ritenuto non rilevante tale profilo. La nozione di retribuzione ai fini fiscali e previdenziali non è, infatti, dirimente per accertare l’effettiva natura retributiva di un determinato emolumento al diverso scopo di stabilire se rientri nella retribuzione dovuta nel periodo feriale. Condivisibilmente, perciò, la stessa Corte a riguardo ha evidenziato la funzione sostanziale RAGIONE_SOCIALE stesso emolumento, in ‘diretta correlazione ad un disagio intrinseco alla mansione’.
Le considerazioni innanzi richiamate, espressive dell’indirizzo di questa Corte in subiecta materia , valgono a respingere anche il terzo, il quarto, il quinto, il sesto ed il settimo motivo di ricorso.
Più nello specifico, con riferimento al terzo motivo ed al quinto motivo, la Corte d’appello non ha certamente fatto un’applicazione in via generale ed astratta dei principi espressi dalla CGUE nella materia che ci occupa, ma, avuto riguardo all’orient amento delineato nelle due decisioni di questa Corte Suprema che ha richiamato, a loro volta basate su estesa considerazione della specifica giurisprudenza di detta Corte UE (cfr. facciate 5-8 della sua sentenza), e tenendo conto di conformazione, natura ed incidenza delle indennità in questione secondo la contrattazione collettiva di settore e aziendale, ha concluso che dette indennità dovessero essere incluse (integralmente, nel caso della IUP) nella retribuzione dovuta nel periodo feriale. E si è già chiarito, del resto, che precipue
disposizioni collettive, ove risultanti in contrato con la nozione ‘europea’ di retribuzione come recepita nel nostro ordinamento, possano essere giudicate nulle.
14. Contrariamente, poi, a quanto sostenuto nel quarto motivo, la Corte di merito non ha operato un’erronea lettura di Cass. n. 22401/2020 e n. 13425/2019, che ha richiamato nella propria motivazione. Come già rilevato in precedenza, infatti, ai medesimi principi di diritto già enunciati in quelle decisioni di legittimità è stata poi data continuità da questa Corte anche nel campo della mobilità/settore attività ferroviarie, che qui viene in considerazione . Né assume rilievo il dato che ‘i casi concreti decisi dalla CGE riguardano situazioni di fatto e compensi strutturalmente differenti rispetto a quelli qui in esame’.
Come evidenziato nelle recenti sent. n. 18160/2023, n. 19663/2023, n. 19711/2023, n. 19716/2023, citate all’inizio di questa motivazione, la valutazione del caso concreto, vale a dire la verifica se alcune indennità aggiuntive legate al concreto svolgimento di una determinata mansione, possano o meno essere escluse dal computo della retribuzione da erogare nei giorni per le ferie annuali, è attività riservata comunque al giudice nazionale e non ha quello europeo che vi ha provveduto applicando le direttive provenienti dalla Corte del Lussemburgo.
15. Inoltre, per quanto già osservato, la decisione gravata non ha sicuramente ‘elevato di fatto a fonte normativa generale ed astratta le sentenza della CGE rese su un caso concreto’, come invece sostenuto nel sesto e nel settimo motivo di ricorso.
E’ infine infondato anche l’ottavo motivo di ricorso in cui viene riproposta, in subordine, la questione della prescrizione dei crediti vantati dai lavoratori.
16.1. Va precisato che in giudizio sono state chieste differenze retributive maturate nel periodo da settembre 2012 al 31 dicembre 2019. Orbene questa Corte, proprio affrontando la questione della decorrenza della prescrizione dei crediti maturati nel corso del rapporto di lavoro, ha recentemente affermato che per effetto delle modifiche apportate dalla legge n. 92 del 2012 e poi dal d.lgs. n. 23 del 2015, nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato è venuto meno uno dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, di tal che questo non è assistito da un regime di stabilità. Ne consegue che per tutti quei diritti che, come nella specie, non siano prescritti al momento di entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4, e 2935 c.c. dalla cessazione del rapporto di lavoro (così Cass. 06/09/2022 n. 26246, poi seguita da altre conformi).
16.2. La sentenza gravata, pertanto, nel respingere il motivo d’appello con il quale l’allora appellante si doleva del rigetto dell’eccezione di prescrizione dalla stessa sollevata in primo grado, è conforme a tali principi.
In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e, liquidate in dispositivo, devono essere distratte in favore del difensore dei controricorrenti, dichiaratosi anticipatario. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato
atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 3.300,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e C.P.A. come per legge, e distrae in favore del difensore dei controricorrenti.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma RAGIONE_SOCIALE stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 5.3.2024.