Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11750 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11750 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 14239-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO NOME COGNOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME, tutti elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1145/2021 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 10/12/2021 R.G.N. 301/2019;
Oggetto
R.G.N.14239/2022
COGNOME
Rep.
Ud.11/02/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Fatti di causa
La Corte d’appello di Lecce pronunziando sul gravame proposto da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME ha rigettato l’appello condannando l’appellante al pagamento delle spese processuali con distrazione.
A fondamento della sentenza la Corte d’appello ha affermato anzitutto che il tribunale di Lecce aveva condannato la società a pagare ai ricorrenti le differenze retributive maturate dal 2010 al 2014 sul trattamento retributivo per il periodo feriale in virtù della inclusione di quanto spettante per le indennità di trasferta, diaria ridotta, percorrenza, duplici mansioni, fuori nastro, guida 1 e 2 e autosnodato, ordinariamente percepite.
3.- Ha ricordato la Corte d’appello che quanto all’onere della prova a carico dei lavoratori, fin dalla costituzione in primo grado era stato contestato il diritto dei ricorrenti alla riquantificazione della retribuzione nel periodo feriale. Ha affermato che i lavoratori avevano assolto all’onere della prova a loro carico producendo fin dal primo grado i prospetti paga elaborati dalla parte datoriale dove vengono elencate le indennità percepite mensilmente che rispecchiano fino a prova contraria la qualità e quantità del lavoro svolto. Ha richiamato la nozione di retribuzione feriale europea, che coincide con la retribuzione ordinaria per garantire al lavoratore un introito paragonabile a quello assicurato nel periodo lavorativo, così com’è individuata dalla Corte di cassazione n. 22401/2020 conformemente alla sentenza n. 13425/ 2019. Assodati la ratio ed il contenuto della direttiva nel senso indicato dalla giurisprudenza nazionale e sovranazionale, occorreva quindi
verificare in concreto se nella retribuzione feriale fossero incluse le indennità riconosciute dal primo giudice.
4.- Fatta quindi una specifica disamina delle singole indennità alla luce degli accordi aziendali e della disciplina contrattuale collettiva nazionale di riferimento, la Corte di merito ha affermato che tutte le indennità riconosciute dalla sentenza impugn ata rientravano nella nozione di ‘retribuzione ordinaria’ da corrispondersi durante il periodo di fruizione delle ferie e che, a differenza della ‘retribuzione normale’ prevista dalla contrattazione collettiva, ricomprendeva proprio quelle voci retributive che, seppure erogate in misura variabile, andavano a compensare specifiche penosità del lavoro e risultavano tutte collegate all’esecuzione delle mansioni e allo status professionale del lavoratore.
Ha aggiunto la Corte che la circostanza che gli appellati avessero effettivamente fruito delle ferie, e che pertanto non fossero stati dissuasi dal riposo, fosse unicamente indicativa del fatto che l’esercizio del diritto non sia stato loro impedito sotto un primo aspetto, quello della fruizione, ma non permetteva di ritenerli soddisfatti sotto il secondo aspetto, quello della retribuzione.
5.- Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE con sette motivi di ricorso ai quali hanno resistito con controricorso i lavoratori indicati in epigrafe. A seguito della proposta di definizione anticipata del ricorso RAGIONE_SOCIALE ha chiesto che lo stesso venisse deciso in applicazione dell’art. 380bis, 3 comma c.p.c. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo di ricorso per cassazione si deduce la violazione o falsa applicazione dell’articolo 36, comma 3 Cost.;
dell’articolo 2109, comma 2 c.c., degli articoli 10 e 18-bis decreto legislativo 66/2003 in relazione all’articolo 7 della direttiva 2003/88/CE come interpretato dalla CGUE, ai sensi dell’articolo 360 numero 3 c.c. per avere la sentenza illegittimamente incluso nella retribuzione spettante per il periodo feriale le indennità oggetto di giudizio per evitare un effetto dissuasivo all’esercizio del diritto alle ferie in violazione delle norme indicate.
2.Con il secondo motivo si deduce violazione o falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c. e dell’articolo 115 c.c. ed in relazione all’art 7 della direttiva 2003/88/CE come interpretato dalla CGUE, ai sensi dell’articolo 360 numero 3 c.p.c.; in quanto, in via gradata al motivo che precede, la sentenza impugnata meritava di essere cassata per avere la Corte incluso nella retribuzione spettante per il periodo feriale le indennità oggetto di giudizio in violazione dell’articolo 2697 c.c. e dell’articolo 115 c.p.c.; infatti la Corte di giustizia nelle citate pronunce sull’articolo 7 della Direttiva cit. ha sottolineato come in presenza di una retribuzione composta da una parte fissa e da una variabile, nella base di calcolo della retribuzione spettante durante le giornate di ferie, le voci variabili devono essere prese in considerazione laddove sussista un rapporto di funzionalità (il c.d. nesso intrinseco) con le mansioni e ne compensino un incomodo, ovvero siano correlate allo status personale o professionale del lavoratore.
3.- Con il terzo motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli articoli 1362 e 1363 c.c. in relazione agli accordi aziendali 3 febbraio 1990; 26 aprile 1972; 3 febbraio 1998; 8 settembre 2005; 7 luglio 1997; 9 giugno 1998 ed in forza dell’art 7 d ella direttiva 2003/88/CE come interpretato dalla CGUE, ai sensi dell’articolo 360 numero 3 c.p.c., per avere la sentenza impugnata errato ad includere nella retribuzione spettante per
il periodo feriale le indennità oggetto di giudizio in violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale applicati agli accordi aziendali indicati, tenuto conto delle previsioni dell’articolo 7 e della direttiva cit. come interpretato dalla CGUE.
4.- Con il quarto motivo violazione o falsa applicazione degli articoli 20 e 21 CCNL 23 luglio 1976 in relazione all’art 7 della direttiva 2003/88/CE come interpretato dalla CGUE, ai sensi dell’articolo 360 numero 3 c.p.c. , per avere incluso nella retribuzione spettante per il periodo feriale l’indennità di trasferta e di diaria ridotta in violazione delle previsioni citate tenuto conto dell’interpretazione della CGUE.
Con il quinto motivo si prospetta violazione o falsa applicazione degli articoli 5 e 6 CCNL 23 luglio 1976; 1, 9 e 10 del CCNL 12 marzo 1980 in relazione all’art 7 della direttiva 2003/88/CE come interpretato dalla CGUE, ai sensi dell’articolo 360 numero 3 c.p.c., per aver incluso nella retribuzione spettante per il periodo feriale le indennità oggetto del giudizio in violazione delle disposizioni indicate.
6.- Con il sesto motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione degli articoli 36 e 39 Costituzione e dell’articolo 12 CCNL 27 novembre 2000 in relazione all’art 7 della direttiva 2003/88/CE come interpretato dalla CGUE, ai sensi dell’articolo 360 numero 3 c.p.c per avere la sentenza impugnata incluso nella retribuzione spettante per il periodo feriale le indennità oggetto di giudizio in primo luogo in violazione degli artt. 36 e 39 della Costituzione posto che anche nel nostro ordinamento non esiste un principio di omnicomprensività della retribuzione utile al computo dei vari istituti economici tantomeno tale principio opera con riferimento alla retribuzione feriale; la determinazione della cosiddetta retribuzione parametro da porre a base del calcolo di ciascuno degli istituti di retribuzione indiretta o differita è devoluta di regola alla contrattazione
collettiva che è pertanto libera di individuare le diverse voci retributive e di assoggettare ognuna di essa a specifiche regole sotto il profilo retributivo, nonché rispetto all’incidenza di queste su istituti riflessi quale esempio l’istituto delle ferie .
7.- Con il settimo si sostiene violazione o falsa applicazione dell’articolo 10 comma 1 CCNL 12 marzo 1980 e dell’articolo 5 CCNL 27 novembre 2000 in relazione dell’art 7 della direttiva 2003/88/CE come interpretato dalla CGUE, ai sensi dell’articolo 360 numero 3 c.p.c La sentenza ha violato e falsamente applicato le norme indicate in quanto pur avendo rilevato che la nozione europea di retribuzione feriale è commisurata alla misura minima di 4 settimane annue ha poi riconosciuto il diritto dei ricorrenti al ricalcolo della retribuzione feriale commisurandolo alle maggiori ferie godute dai ricorrenti in violazione delle previsioni di cui all’art. 10 comma 1 CCNL 12 marzo 1980 e art. 5 CCNL 27 novembre 2000.
8. I motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per connessione, nonostante le osservazioni contenute nella memoria della ricorrente, attentamente esaminate, sono infondati nei sensi espressi dai precedenti di questa Corte pronunciati in analoghi contenziosi (ordinanze n. 11758/24, n. 11760/24 e n. 13321/24) su sovrapponibili motivi di ricorso ed ai quali si rinvia, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.; la soluzione presa da questa Corte in tema di retribuzione feriale risulta rafforzata i n sede di pubblica udienza, nell’ambito di un procedimento ex art. 420 bis c.p.c. (v. Cass. n. 34088 del 2024), dove si è pure sottolineato che, una volta che l’interpretazione della regula iuris è stata enunciata con l’intervento nomofilattico della Corte regolatrice essa ‘ha anche vocazione di stabilità, innegabilmente accentuata (in una corretta prospettiva di supporto al valore delle certezze del diritto) dalle novelle del 2006 (art. 374 c.p.c.) e 2009 (art. 360
bis c.p.c., n. 1)’ (Cass. SS.UU. n. 15144 del 2011), essendo da preferire – e conforme ad un economico funzionamento del sistema giudiziario – l’interpretazione sulla cui base si è, nel tempo, formata una pratica di applicazione stabile (cfr. Cass. SS.UU. n. 10864 del 2011); invero, la ricorrente affermazione nel senso della non vincolatività del precedente deve essere armonizzata con l’esigenza di garantire l’uniformità dell’interpretazione giurisprudenziale attraverso il ruolo svolto dalla Corte di Cassazione (Cass. SS.UU. n. 23675 del 2014), atteso che, in un sistema che valorizza l’affidabilità e la prevedibilità delle decisioni, il quale influisce positivamente anche sulla riduzione del contenzioso, vi è l’esigenza ‘dell’osservanza dei precedenti e nell ‘ammettere mutamenti giurisprudenziali di orientamenti consolidati solo se giustificati da gravi ragioni’ (in termini: Cass. SS.UU. n. 11747 del 2019; conf. Cass. n. 2663 del 2022; Cass. n. 6668 del 2023.); esigenza ancora di recente ribadita dalle Sezioni unite di questa Corte, affermando che la “conoscenza” delle regole e, quindi, a monte, l’affidabilità, prevedibilità ed uniformità della relativa interpretazione costituisce imprescindibile presupposto di uguaglianza tra i cittadini (cfr. Cass. SS.UU. n. 8486 del 2024; in senso conforme: Cass. SS.UU. n. 29862 del 2022 e Cass. n. 33012 del 2022);
I primi sei motivi possono essere esaminati congiuntamente, per reciproca connessione, dichiarando la loro infondatezza alla stregua della giurisprudenza di legittimità che si è andata consolidando (cfr. Cass. nn. 18160, 19663, 19711, 19716 del 2023; in conformità: Cass. n. 35146 del 2023; Cass. n. 2963 del 2024; Cass. n. 2431 del 2024; v., altresì, in precedenza, Cass. n. 20216 del 2022); è stato più volte ribadito dal predetto indirizzo che la nozione di retribuzione durante il periodo di godimento delle ferie è influenzata dalla interpretazione data
dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenze COGNOME del 2006; COGNOME e altri, 20.1.2009, cause C350/06 e C520/06; COGNOME e altri, 13.12.2018, C-155/10; To.He., 13.12.2018, C-385/17), la quale ha inteso assicurare al lavoratore una situazione che, a livello retributivo, sia sostanzialmente equiparabile a quella ordinaria erogata nei periodi di lavoro, sul rilievo che una diminuzione della retribuzione potrebbe essere idonea a dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie, il che sarebbe in contrasto con le prescrizioni del diritto dell’Unione; qualsiasi incentivo o sollecitazione che risulti volto ad indurre i dipendenti a rinunciare alle ferie è infatti incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo che si propone di assicurare ai lavoratori il beneficio di un riposo effettivo, anche per un’efficace tutela della loro salute e sicurezza (cfr., in questo senso, C.G.U.E. 13.1.2022, C514/20); è poi pacifico che le sentenze della Corte di Giustizia dell’UE hanno efficacia vincolante, diretta e prevalente sull’ordinamento nazionale, così come confermato dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 168/1981 e n. 170/1984, ed hanno perciò ‘valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito della Comunità’ (cfr. Cass. n. 13425 del 2019 e Cass. n. 22577 del 2012); di tali principi si è fatta interprete questa Corte che, in più occasioni, ha sancito che la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE, per come interpretata dalla Corte di Giustizia, comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo “status” personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass. n. 13425 del 2019; Cass. n. 37589 del 2021).
10. Da questi arresti non si è discostata la Corte di merito che, confermando la decisione di primo grado, ha proceduto ad una verifica ex ante della potenzialità dissuasiva dell’eliminazione di voci economiche dalla retribuzione erogata durante le ferie al godimento delle stesse senza trascurare di considerare la pertinenza di tali compensi rispetto alle mansioni proprie della qualifica rivestita; ha, poi, verificato che durante il periodo di godimento delle ferie al lavoratore non erano erogati dalla società compensi le indennità in discorso connessi ad attività ordinariamente previste dal contratto collettivo; ha accertato la continuatività della loro erogazione e l’incidenza tutt’altro che residuale sul trattamento economico mensile; posto, poi, che l’in terpretazione delle norme collettive aziendali, che regolano gli istituti di cui era stata chiesta l’inclusione nella retribuzione feriale, in ragione della efficacia limitata di tali contratti (diversa da quella propria degli accordi collettivi nazionali di cui al n. 3 dell’art. 360 c.p.c.) è riservata alla competenza del giudice del merito (tra molte, Cass. n. 22401 del 2020), nella specie l’esegesi offerta dalla Corte territoriale, oltre ad essere del tutto plausibile, è in linea con la finalità della direttiva, recepita dal legislatore italiano, di assicurare un compenso che non possa costituire per il lavoratore un deterrente all’esercizio del suo diritto di fruire effettivamente del riposo annuale;
11.- Quanto alla idoneità della mancata erogazione di tali compensi ad integrare una diminuzione della retribuzione idonea a dissuadere il lavoratore dal godere delle ferie, trattasi di valutazione in concreto appartenente al giudice di merito.
12.L’ultimo motivo è inammissibile per il suo carattere di novità, in quanto a fronte della conferma in appello della sentenza di primo grado, parte ricorrente non illustra come la questione del numero di giorni di ferie su cui computare l’inclusione del le indennità richieste fosse stata devoluta al
giudice del gravame; si tratta pure di questione di diritto involgente la prospettazione di fatti o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio; e che deve ritenersi pertanto preclusa in sede di ricorso per cassazione ove mai sollevata nelle precedenti fasi di merito.
13.Il ricorso deve essere rigettato in sostanziale corrispondenza con la proposta di definizione anticipata ex art. 380-bis c.p.c. con spese regolate secondo soccombenza, liquidate come da dispositivo, con attribuzione all’Avv. NOME che si è dichiarato antistatario;
Riguardo alle sanzioni previste dall’ultimo comma dell’art. 380bis c.p.c., stante l’esito giudiziale conforme alla proposta di definizione accelerata, nel senso ivi indicato, occorre applicare il terzo ed il quarto comma dell’art. 96 c.p.c. Alla pres ente pronuncia di rigetto del ricorso fa quindi seguito la condanna del ricorrente al pagamento di una somma equitativamente determinata ai sensi del terzo comma dell’art. 96 cod. proc. civ., nonché della sanzione di cui al successivo quarto comma, da versare alla Cassa delle Ammende, entrambe liquidate come in dispositivo.
15.Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, d ell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
16.- In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c. e sono da distrarsi a favore dell’Avv. NOME COGNOME COGNOME che ha dichiarato di averle anticipate.
17.- Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in euro 4.200,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre accessori dovuti per legge, da distrarsi a favore de ll’Avv. NOME COGNOME Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controparte di una somma di € 2.100 ex art. 96, 3° comma c.p.c., nonché a pagare in favore della cassa delle ammende la somma di € 2.100 ex art. 96, 4 comma c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio 11.2.2025