Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 27253 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L   Num. 27253  Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 9250-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso  la  sentenza  n.  866/2023  della  CORTE  D’APPELLO  di MILANO, depositata il 09/10/2023 R.G.N. 582/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/09/2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Fatti di causa
Oggetto
Retribuzione
rapporto
privato
RNUMERO_DOCUMENTON.NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud 11/09/2025
CC
La Corte d’Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa sede che, in accoglimento del ricorso proposto da NOME COGNOME, dipendente di RAGIONE_SOCIALE con mansioni di train manager , aveva accertato il suo diritto all’inclusione, nella retribuzione dovuta durante le ferie, dell’indennità di riserva, di permanenza a bordo treno, dell’indennità di efficientamento e provvigioni nonché della indennità di trattamento per servizio fuori distretto e condannato la società al pagamento di euro 3.812,12 per differenze retributive maturate dal gennaio 2013 al 31 dicembre 2021.
La Corte territoriale ha, in primo luogo, ritenuto che sull’eccezione di nullità del ricorso di primo grado, per insufficienza delle allegazioni dell’originario ricorrente, vi era stato un rigetto implicito da parte del Tribunale avendo deciso nel merito della controversia; ha, poi, richiamato la giurisprudenza, propria e di questa Corte, che, con riguardo alla retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE, per come interpretata dalla Corte di Giustizia, ha ritenuto che sussiste una nozione europea di retribuzione che comprende qualsiasi importo pecuniario che si ponga in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore; ha ribadito che occorre verificare se la retribuzione corrisposta possa costituire una dissuasione dal godimento delle ferie e in tale prospettiva ha accertato che una sensibile diminuzione è effettivamente idonea a dissuadere i lavoratori dal bene ficiarne; ha confermato l’accertamento della stretta connessione tra le indennità in questione e le mansioni e lo status del lavoratore; ha, infine, considerato, rigettando la
relativa eccezione sollevata dalla società, che i crediti oggetto di causa, sorti successivamente alla entrata in vigore della legge n. 92/2012, non fossero prescritti.
RAGIONE_SOCIALE  ha  proposto ricorso per cassazione con tre motivi, illustrato con memoria, cui  ha  resistito  con  controricorso  il  lavoratore,  il  quale  ha anche depositato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
Ragioni della decisione
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione ed errata applicazione dell’art. 414 n .n. 3, 4 e 5 cpc, perché la Corte territoriale, pur in presenza di una errata indicazione delle disposizioni contrattuali collettive da parte dell’originario ricorrente, ha considerato non viziato di nullità l’atto introduttivo del giudizio, così violando il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, avendo essa svolto indagini onde verificare le modalità concrete di espletamento della prestazione lavorativa.
Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della Direttiva CE 88/2003 e dell’art. 10 del D.lgs. n. 66 del 2003, oltreché dell”art. 36 della Costituzione e dell’art. 2109 cod. civ., in relazione alla disciplina da applicarsi in tema di ferie retribuite e alla definizione ed al concetto di ‘ferie retribuite; si lamenta inoltre la violazione e falsa applicazione della normativa contrattuale di riferimento in RAGIONE_SOCIALE e, in particolare, degli artt. 19, punto 12 e 21, punto 1.2 del contratto collettivo aziendale (CCAL Mobilità) del 2011 e dell’art. 21, punto 4 del
contratto collettivo aziendale del 2019. Si sostiene che la Corte territoriale ha erroneamente applicato i principi sanciti dalla giurisprudenza comunitaria, poiché ha erroneamente incluso le voci indennitarie (indennità di riserva, indennità di servizio svolto al di fuori del distretto, indennità di efficientamento e provvigioni) sulla base di calcolo utile a definire la retribuzione feriale, in quanto le prime tre erano erogate in funzione delle giornate effettive di presenza, la quarta (indennità di efficienza) perché di natura variabile e la quinta (relativa alle ‘provvigioni’) in quanto corrisposta solo in caso di presenza e di lavoro effettivo; inoltre, si rappresenta che la Corte di appello non ha considerato la diversità fattuale delle fattispecie e strutturale dei compensi analizzati dalla CGUE rispetto alla fattispecie e ai compensi oggetto di causa, diversità che impediva di applicare tali precedenti al diverso caso qui in esame, vertendosi in una ipotesi di incidenza, in termini di percentuale, irrisoria sulla retribuzione dell’originario ricorrente; si negava pertanto che si era realizzata quella funzione disincentivante all’effettivo godimento delle ferie che poteva derivare dalla corresponsione di un retribuzione, in tale periodo, priva degli elementi variabili.
Con il terzo motivo parte ricorrente si duole della violazione e  falsa  applicazione  dell’art.  2948  cod.  civ.,  in  relazione all’art. 18 della legge n. 300 del 1970, come novellato dalla legge  n.  92/2012  in  materia  di  prescrizione  dei  crediti ex adverso rivendicati  dal  dipendente  per  i  titoli  dedotti  in giudizio.
Il  primo  motivo  presenta  profili  di  inammissibilità  e  di infondatezza.
È inammissibile poiché l’interpretazione dell’atto di parte spetta al giudice di merito e non sono denunziati vizi ermeneutici sub specie di violazione dei criteri di interpretazione di cui all’art. 1362 ss. c.c. In più occasioni, anche in sede nomofilattica, questa Corte ha già affermato che in tema di interpretazione dei provvedimenti giurisdizionali si deve fare applicazione, in via analogica, dei canoni ermeneutici di cui all’art. 12 ss. disp. prel. cod. civ., in ragione dell’assimilabilità di tali provvedimenti, per natura ed effetti, agli atti normativi, mentre nell’interpretazione degli atti processuali delle parti occorre fare riferimento ai criteri di ermeneutica di cui all’art. 1362 ss. c.c., che valorizzano l’intenzione delle parti e che, pur essendo dettati in materia di contratti, hanno portata generale (Cass. ord. n. 25826/2022; Cass. n. 4205/2014; Cass. sez. un. n. 11501/2008).
È, poi, infondato perché la Corte territoriale si è attenuta ai principi affermati in sede di legittimità secondo cui (cfr. Cass. n. 817/99 e le altre pronunce richiamate nella gravata sentenza), nel rito del lavoro, per aversi nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per mancata determinazione dell’oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto che ne costituiscono il fondamento, non è sufficiente che taluno di tali elementi non venga formalmente indicato, ma è necessario che ne sia impossibile l’individuazione attraverso l’esame complessivo dell’atto (che è di competenza del giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità esclusivamente per vizi di motivazione) e secondo cui (Cass. n. 17991/2018), in tema di domanda giudiziale, non è necessario che l’allegazione di un fatto costitutivo,
come di altra circostanza rilevante ai fini del decidere, venga formulata nel contenuto narrativo del ricorso o della memoria di  costituzione  del  convenuto,  potendo  essere  individuata attraverso un esame complessivo dell’atto, senza che occorra l’uso di formule sacramentali o solenni, desumendola anche dalle  deduzioni  istruttorie  e  dalle  produzioni  documentali, secondo una interpretazione riservata al giudice del merito.
E proprio con  un  accertamento  di  merito,  svolto  con motivazione esente dai vizi di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc e, pertanto non  sindacabile in questa sede, la Corte meneghina ha ritenuto che il ricorso introduttivo di COGNOME fornisse elementi sufficienti per evincere le pretese azionate sia con riguardo all’ an che al quantum debeatur tanto è che la stessa società si era difesa nonostante l’erronea indicazione della clausola contrattuale impugnata  e la parziale visibilità dei conteggi.
Alcuna violazione delle norme denunciate è, quindi, ravvisabile.
Anche il secondo articolato motivo non è fondato.
Tutti  gli  aspetti  oggetto  di  censura  concernono,  sotto diversi profili e angolazioni, l’interpretazione dell’art. 7 della Direttiva CE 88/2003, operata dai giudici di merito alla luce della  giurisprudenza  in  materia  della  Corte  di  Giustizia dell’Unione eur opea.
Essi non sono fondati, per i motivi espressi in numerosi precedenti  di  questa  Corte,  cui  si  rinvia,  anche  ai  sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c. (tra le molte pronunce, Cass. nn. 15604,  13321,  11760,  11758,  2963,  2682,  2680,  2431, 1141/2024;  nn.  35578,  33803,  33793,  33779,  19716, 19711, 19663, 18160/2023; Cass. 19991, 19992, 25840/2024; Cass. n. 15323/2025).
Questa Corte ha in più occasioni affermato che la nozione di retribuzione da applicare durante il periodo di godimento delle ferie subisce la decisiva influenza dell’interpretazione data dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale ha precisato c ome l’espressione «ferie annuali retribuite» contenuta nell’art. 7, n. 1, della direttiva n. 88 del 2003 faccia riferimento al fatto che, per la durata delle ferie annuali, deve essere mantenuta la retribuzione che il lavoratore percepisce in via ordinaria (Cass. n. 18160/2023 e successive conformi, con richiamo a CGUE 20.1.2009, C350/06 e C-520/06, COGNOME, nonché, con riguardo al personale navigante dipendente di compagnia aerea, Cass. n. 20216/2022).
I principi informatori di tale indirizzo giurisprudenziale sono nel senso di assicurare, a livello retributivo, una situazione sostanzialmente equiparabile a quella ordinaria del lavoratore nei periodi di lavoro, sul rilievo che una diminuzione della retribuzione può essere idonea a dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie, in contrasto con le prescrizioni del diritto dell’Unione (cfr. CGUE 15.9.2011, C-155/10, COGNOME; CGUE 13.12.2018, C385/17, COGNOME).
In questo senso, si è precisato nelle pronunce indicate che qualsiasi incentivo o sollecitazione che risulti volto ad indurre i  dipendenti  a  rinunciare  alle  ferie  è  incompatibile  con  gli obiettivi del legislatore europeo, che si propone di assicurare ai  lavoratori  il  beneficio  di  un  riposo  effettivo,  anche  per un’efficace tutela della loro salute e sicurezza (cfr. in questo senso anche la recente CGUE 13.1.2022, C-514/20, DS c. Koch).
Conseguentemente, è stato ribadito che la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE, per come interpretata dalla Corte di Giustizia, comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore (Cass. n. 13425/2019, n. 37589/2021); atteso che, per giurisprudenza consolidata di questa Corte, le sentenze della Corte di Giustizia UE hanno efficacia vincolante e diretta nell’ordinamento nazionale, i giudici di merito non possono prescindere dall’interpretazione data dalla Corte europea, che costituisce ulteriore fonte del diritto dell’Unione europea, non nel senso che esse creino ex novo norme UE, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito dell’Unione (cfr. Cass. n. 13425/2019, n. 22577/2012).
Pertanto, a fronte della rivendicazione di voci non corrisposte nel periodo feriale, è necessario accertare il nesso intrinseco  tra  l’elemento  retributivo  e  l’espletamento  delle mansioni affidate e, quindi, se l’importo pecuniario si ponga in rapporto di c ollegamento funzionale con l’esecuzione delle mansioni e sia correlato allo status personale e professionale di quel lavoratore (cfr. Cass. n. 13425/2019 cit., così come, per  il  caso  del  mancato  godimento  delle  ferie,  Cass.  n. 37589/2021).
Va premesso che i CCAL di categoria, regolanti il rapporto di lavoro tra le parti, sono contratti collettivi aziendali per cui il  sindacato  di  legittimità  su  tale  tipologia  di  contratti  può essere esercitato soltanto con riguardo ai vizi di motivazione del provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, comma
1, n. 5, c.p.c. (nella specie, nel testo antecedente al d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. nella l. n. 134 del 2012 “ratione temporis” applicabile), ovvero ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, per violazione delle norme di cui agli artt. 1362 e segg. cod. civ., a condizione, per detta ipotesi, che i motivi di ricorso non si limitino a contrapporre una diversa interpretazione rispetto a quella del provvedimento gravato, ma prospettino, sotto molteplici profili, l’inadeguatezza della motivazione anche con riferimento alle norme del codice civile di ermeneutica negoziale come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e congruità della motivazione stessa (cfr. Cass. n. 21888/2016).
Orbene, nella controversia in esame, viene in discussione la cd. indennità di riserva, l’indennità di permanenza a bordo treno, l’indennità di efficientamento, le ‘provvigioni’ e l’indennità di trattamento per servizio fuori distretto.
L’indennità di trattamento per servizio fuori distretto, in quanto voce diretta a compensare il disagio dell’attività tipica del dipendente viaggiante derivante dal non avere un luogo fisso di lavoro, è stata già ritenuta da questa Corte come voce da includere nella retribuzione feriale, allorché si è esaminata analoga controversia che aveva come parte datoriale la società RAGIONE_SOCIALE (tra le molte, Cass. nn. 2963, 2682, 2680, 2431, 1141/2024; nn. 35578, 33803, 33793, 33779, 19716, 19711, 19663, 18160/2023).
La  corresponsione,  in  forma  continuativa,  di  una  simile indennità è immediatamente collegata alle mansioni tipiche dei dipendenti con mansioni di train manager (Capo Treno o Capo  Servizio  Treno  per  RAGIONE_SOCIALE),  essendo  destinata  a compensare il  disagio  dell’attività  derivante  dal  non  avere
una  sede  fissa  di  lavoro  e  dall’essere  continuamente  in movimento, lontano dalla sede formale di lavoro.
In base alla medesima ratio (collegamento funzionale con le mansioni tipiche) sono fondate le domande collegate alla parte variabile dell’indennità di permanenza a bordo treno e di riserva, in quanto voci ordinariamente corrisposte per i periodi di lavoro, la cui erogazione in misura ridotta nel periodo di ferie, in base a una verifica ex ante , è potenzialmente dissuasiva al godimento delle stesse, tenuto conto della continuatività dell’erogazione nel corso dell’anno e dell’incidenza sul trattamento econom ico mensile.
Sono ugualmente fondate le rivendicazioni relative all’indennità di efficientamento e alle provvigioni di cui all’art. 38 del CCAL di categoria per RAGIONE_SOCIALE, in quanto voci retributive di fatto continuative per tale personale mobile, correlate al disagio intrinseco della mansione e a compiti specifici ad essa attribuiti.
Nell’interpretazione delle norme collettive che regolano gli istituti di cui è stata chiesta l’inclusione nella retribuzione feriale è necessario tenere conto della finalità della direttiva, recepita dal legislatore italiano, di assicurare un compenso che non possa costituire per il lavoratore un deterrente all’esercizio del suo diritto di fruire effettivamente del riposo annuale. Tale effetto deterrente può, infatti, realizzarsi qualora le voci che compongono la retribuzione nei giorni di ferie siano limitate a determinate voci, escludendo talune indennità di importo variabile (previste dalla contrattazione collettiva nazionale o aziendale) che sono comunque intrinsecamente collegate a compensare specifici disagi derivanti dalle mansioni normalmente esercitate.
La giurisprudenza UE ha, invero, chiarito che il lavoratore, in occasione della fruizione delle ferie, deve trovarsi in una situazione che, a livello retributivo, sia paragonabile ai periodi di lavoro; ciò in quanto il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite va considerato come un principio particolarmente importante del diritto sociale UE, al quale non si può derogare e la cui attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla stessa direttiva.
È stato affermato che ‘la retribuzione delle ferie annuali deve essere calcolata, in linea di principio, in modo tale da coincidere con la retribuzione ordinaria del lavoratore’ (sent. CGUE COGNOME cit., § 21); che ‘l’ottenimento della retribuzione ordinaria durante il periodo di ferie annuali retribuite è volto a consentire al lavoratore di prendere effettivamente i giorni di ferie cui ha diritto’, e che ‘quando la retribuzione versata a titolo del diritto alle ferie annuali retribuite previsto all’artico lo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 (…) è inferiore alla retribuzione ordinaria ricevuta dal lavoratore durante i periodi di lavoro effettivo, lo stesso rischia di essere indotto a non prendere le sue ferie annuali retribuite, almeno non durante i periodi di lavoro effettivo, poiché ciò determinerebbe, durante tali periodi, una diminuzione della sua retribuzione’ (sent. CGUE COGNOME COGNOME cit., § 44); che il giudice nazionale è tenuto a interpretare la normativa nazionale in modo conforme all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, con la precisazione che ‘una siffatta interpretazione dovrebbe comportare che l’indennità per ferie retribuite versata ai lavoratori, a titolo delle ferie minime previste da tale disposizione, non sia inferiore alla media della retribuzione ordinaria percepita da
questi ultimi durante i periodi di lavoro effettivo’ (sent. CGUE COGNOME COGNOME cit., § 52); che ‘occorre dichiarare che, sebbene la struttura della retribuzione ordinaria di un lavoratore di per sé ricada nelle disposizioni e prassi disciplinate dal diritto degli Stati membri, essa non può incidere sul diritto del lavoratore (…) di godere, nel corso del suo periodo di riposo e di distensione, di condizioni economiche paragonabili a quelle relative all’esercizio del suo lavoro’ (sent. CGUE COGNOME cit., § 23 ), sicché ‘qualsiasi prassi o omissione da parte del datore di lavoro che abbia un effetto potenzialmente dissuasivo sulla fruizione delle ferie annuali da parte di un lavoratore è incompatibile con la finalità del diritto alle ferie annuali retribuite’ (s ent. CGUE Koch cit., § 41). 27. In tale prospettiva, osserva il Collegio che non può ritenersi che l’incidenza dell’effetto dissuasivo possa essere apprezzata raffrontando la differenza retributiva mensile con quella annuale, dal momento che, per il lavoratore dipendente, la possibile induzione economica alla rinuncia al proprio diritto alle ferie deriva dall’incidenza sulla retribuzione che ogni mese, e quindi anche in quello di ferie, egli può impegnare per garantire a sé o alla sua famiglia le ordinarie condizioni economiche di vita. Deve perciò essere ribadito che la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE, per come interpretata dalla Corte di Giustizia, comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass. n. 13425/2019, n. 37589/2021).
A questi principi si è attenuta la Corte di merito che ha proceduto,  correttamente,  ad  una  verifica ex  ante della
potenzialità dissuasiva dell’eliminazione di voci economiche dalla retribuzione erogata durante le ferie al godimento delle stesse, senza trascurare di considerare la pertinenza di tali compensi rispetto alle mansioni proprie della qualifica rivestita; ha, inoltre, verificato che durante il periodo di godimento delle ferie per il lavoratore vi era una perdita economica di circa euro 422,00, superiore al 10% rispetto all’ammontare medio della retribuzione non feriale del dipendente: accertamento, questo, di merito, adeguatamente motivato e, pertanto, insindacabile in sede di legittimità.
In conclusione, in concordanza all’interpretazione conforme alla citata giurisprudenza dell’Unione europea e di legittimità delle norme collettive che regolano gli istituti di cui è stata chiesta l’inclusione nella retribuzione feriale, le doglianze in esame devono essere rigettate, perché la pronuncia impugnata si pone in linea con la finalità della direttiva, recepita dal legislatore italiano, di assicurare nel periodo feriale un compenso che non possa costituire per il lavoratore un deterrente all’eserci zio del suo diritto di fruire effettivamente del riposo annuale.
Il terzo motivo non è parimenti fondato.
Questa Corte ha affermato, in ordine alla questione della decorrenza della prescrizione dei crediti maturati nel corso del rapporto di lavoro, che, per effetto delle modifiche apportate dalla legge n. 92/2012 e poi dal d.lgs. n. 23/2015, nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato è venuto meno uno dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata; conseguentemente, per tutti quei diritti che, come nella specie, sono sorti dopo l’entrata in vigore del la legge n.
92/2012 o non sono prescritti al momento della sua entrata in  vigore,  il  termine  di  prescrizione  decorre,  a  norma  del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4, e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro (Cass. n. 26246/2022).
Il Collegio intende dare continuità ai principi espressi con la sentenza n. 26246/2022, confermati in numerosi provvedimenti successivi (v., tra le molte, Cass. n. 4321/2023, n. 4186/2023, n. 29831/2022, n. 30957/2022, n. 30958/2022);
Il principio è stato affermato a seguito della ricostruzione del  quadro  normativo  sviluppatosi  con  l’entrata  in  vigore della legge n. 92/2012 e del d. lgs n. 23/2015 e del rilievo che,  in  ragione  delle  predette  riforme,  l’individuazione  del regime  di stabilità sopravviene  solo a seguito di  una qualificazione  definitiva  del  rapporto  per  attribuzione  del giudice,  e,  quindi,  solo  all’esito  di  un  accertamento  in giudizio, ex post.
Invero, la varietà delle ipotesi di tutela contemplate nel rinnovato art. 18 legge n. 300/1970 e la concreta possibilità che le stesse non necessariamente garantiscano il ripristino del rapporto di lavoro in caso di illegittimo recesso, evidenzia come il regime di stabilità del rapporto, in precedenza assicurato, sia venuto meno nella sua integralità; a tale evidente rinnovata situazione deve quindi conseguire che la prescrizione dei crediti del lavoratore decorre, in assenza di un regime di stabilità reale, dalla cessazione del rapporto di lavoro e rimane sospesa in costanza dello stesso.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza, con liquidazione come da dispositivo e distrazione in favore del difensore del controricorrente dichiaratosi antistatario;
sussistono le condizioni processuali di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
PQM
La  Corte  rigetta  il  ricorso.  Condanna  la  ricorrente  al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore del Difensore del controricorrente dichiaratosi antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da  parte  della  ricorrente,  dell’ulteriore  importo  a  titolo  di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, l’11.9.2025
La Presidente AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME