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Retribuzione dirigenziale: CCNL prevale su piani rientro

Una dirigente sanitaria ha ottenuto il riconoscimento della corretta retribuzione dirigenziale prevista dal CCNL. La Cassazione ha stabilito che le normative regionali sui piani di rientro dal disavanzo sanitario non possono derogare alla contrattazione collettiva nazionale, che disciplina il trattamento economico dei dipendenti pubblici, rientrando nella competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile. L’appello dell’Azienda Sanitaria è stato respinto.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Retribuzione dirigenziale: il CCNL prevale sui piani di rientro regionali

Con l’ordinanza n. 5748/2024, la Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale nel diritto del lavoro pubblico: la retribuzione dirigenziale è disciplinata dalla contrattazione collettiva nazionale (CCNL), la quale non può essere derogata da normative regionali, nemmeno se emanate per far fronte a piani di rientro dal disavanzo sanitario. Questa decisione chiarisce i confini tra la competenza legislativa dello Stato e quella delle Regioni in materia di pubblico impiego.

Il caso: una disputa sulla retribuzione

Una dirigente assunta da un’Azienda Sanitaria Locale (ASL) si è vista corrispondere uno stipendio inferiore a quello previsto dal CCNL di categoria. L’ASL giustificava tale riduzione sulla base di un decreto del Commissario ad acta, emanato nell’ambito del piano di rientro dal disavanzo sanitario della Regione. La dirigente ha quindi agito in giudizio per ottenere il riconoscimento del suo diritto a percepire l’intera retribuzione, inclusa la componente di posizione.

Mentre il Tribunale in primo grado ha respinto la domanda della lavoratrice, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione, accogliendo le ragioni della dirigente. L’Azienda Sanitaria ha quindi proposto ricorso per Cassazione, basandolo su tre motivi principali.

I motivi del ricorso e la retribuzione dirigenziale

L’Azienda Sanitaria ha sostenuto che:
1. Le norme regionali sui piani di rientro imponessero non solo di ottenere un parere positivo per l’assunzione, ma anche di attenersi a specifiche indicazioni economiche dettate dal Commissario ad acta, in deroga al CCNL.
2. I decreti del Commissario ad acta avessero valore normativo e potessero prevalere sulla contrattazione collettiva, in virtù della potestà legislativa concorrente delle Regioni in materia di sanità e finanza pubblica.
3. La contrattazione collettiva applicabile ai dirigenti a tempo determinato, come nel caso di specie, escludesse il diritto alla retribuzione di posizione, limitando il compenso al solo trattamento economico fondamentale.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso dell’Azienda Sanitaria, fornendo chiarimenti cruciali sulla gerarchia delle fonti nel pubblico impiego.

I giudici hanno innanzitutto specificato che la disciplina del rapporto di lavoro pubblico, inclusa la determinazione della retribuzione dirigenziale, rientra nella materia dell'”ordinamento civile”, riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, come sancito dall’art. 117 della Costituzione. Le Regioni non possono, pertanto, legiferare in modo da modificare il trattamento economico e giuridico dei dipendenti, che è definito dalle leggi statali e dalla contrattazione collettiva.

La Corte ha affermato che le normative sui piani di rientro possono legittimamente imporre procedure di autorizzazione per le assunzioni al fine di controllare la spesa, ma non possono spingersi fino a determinare il contenuto del contratto individuale di lavoro, modificando la retribuzione stabilita dal CCNL. Un atto unilaterale della Pubblica Amministrazione che riduce il compenso pattuito è da considerarsi illegittimo, poiché il rapporto di lavoro si fonda su un contratto e si svolge su un piano di parità tra le parti.

Infine, la Cassazione ha respinto anche l’interpretazione restrittiva del CCNL proposta dall’ASL, chiarendo che il riferimento alla contrattazione collettiva per i dirigenti a tempo determinato deve intendersi come un richiamo integrale, comprensivo di tutte le sue componenti, inclusa la retribuzione di posizione legata alla funzione svolta.

Conclusioni: il primato della contrattazione collettiva

La sentenza consolida un principio cardine: le esigenze di bilancio e i piani di contenimento della spesa pubblica, seppur legittimi, non possono violare le fonti sovraordinate che regolano il rapporto di lavoro. La retribuzione dirigenziale e, più in generale, il trattamento economico dei dipendenti pubblici, trovano la loro fonte nel contratto collettivo nazionale. Qualsiasi deroga a tale disciplina da parte di una legge regionale o di un atto amministrativo, come il decreto di un Commissario, è illegittima perché invade una competenza esclusiva dello Stato e viola i principi fondamentali dell’ordinamento civile.

Una normativa regionale su un piano di rientro dal disavanzo può ridurre la retribuzione dirigenziale prevista dal contratto collettivo nazionale (CCNL)?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la disciplina del rapporto di lavoro pubblico, compreso il trattamento economico, rientra nella materia “ordinamento civile”, di competenza legislativa esclusiva dello Stato. Le normative regionali, anche se finalizzate al contenimento della spesa, non possono derogare alla contrattazione collettiva nazionale.

I decreti di un Commissario ad acta nominato per la sanità possono derogare alle leggi statali e alla contrattazione collettiva in materia di lavoro?
No. La Corte ha stabilito che un decreto del Commissario ad acta, pur essendo un atto emanato nell’ambito di poteri straordinari, non può violare o prevalere sulle fonti normative gerarchicamente superiori, come le leggi dello Stato e la contrattazione collettiva che regolamentano i rapporti di lavoro.

Ai dirigenti sanitari assunti a tempo determinato spetta la retribuzione di posizione oltre a quella fondamentale?
Sì. La sentenza chiarisce che il riferimento normativo alla contrattazione collettiva per questa categoria di dirigenti deve essere inteso come un richiamo all’applicazione integrale del CCNL, che include anche la componente della retribuzione di posizione collegata alla graduazione delle funzioni, e non solo il trattamento economico fondamentale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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