Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31804 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31804 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 10/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21689/2022 R.G. proposto da NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2989/2022 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 5.7.2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22.10.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La ricorrente, già dirigente biologa presso l’RAGIONE_SOCIALE Roma 2 dal 1994 al 2019, convenne in giudizio l’ ex datrice di lavoro per chiederne la condanna al pagamento delle differenze retributive asseritamente maturate, previo accertamento del fatto di avere svolto dal 21.7.2006 al 23.5.2017 funzioni e attività proprie di un incarico di fascia C1 (secondo la graduazione adottata con la delibera aziendale n. 1492 del 26.10.2000) e, successivamente a tale data, di un incarico di fascia P3 (secondo la nuova graduazione adottata con la delibera n. 980 del 23.5.2017).
Il Tribunale di Roma accolse parzialmente la domanda, riconoscendo alla ricorrente il diritto a percepire la retribuzione corrispondente a un incarico P3 a decorrere dal 24.5.2017 e negando, invece, il diritto a differenze retributive per il periodo precedente.
La sentenza di primo grado venne impugnata dall’Azienda sanitaria e la lavoratrice, costituendosi, propose a sua volta appello incidentale.
La Corte d’Appello di Roma accolse l’appello principale e rigettò quello incidentale, dal che conseguì l’integrale rigetto delle domande della lavoratrice, condannata anche alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio (in solido con altro collega che, insieme alla ricorrente, aveva svolto analoga, scindibile, domanda e che ora non è più parte del processo, non avendo egli impugnato la sentenza della Corte d’Appello ed essendo nel frattempo ampiamente spirato il relativo termine: art. 332 c.p.c.).
Il ricorso per cassazione della lavoratrice contro la sentenza della Corte territoriale è affidato a un unico motivo.
L ‘Azienda si è difesa con controricorso.
Il ricorso è trattato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unic o motivo di ricorso la ricorrente denuncia «violazione e falsa applicazione dell ‘art. 36 Costituzione , dell’art. 52 del d.lgs. 165 del 2011 e dell’art. 27 d el CCNL SPTA, il tutto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.».
La Corte d’Appello di Roma, premesso che non spetta al giudice sostituirsi al datore di lavoro nell’ assegnare un incarico superiore al di fuori di ogni procedura di conferimento, ha ritenuto incompatibile e contraddittorio rispetto a tale premessa (di per sé condivisa anche nella sentenza di primo grado) il riconoscimento alla dirigente , foss’anche a titolo risarcitorio, di diritti retributivi corrispondenti a quelli previsti per l’incarico non conferito.
La ricorrente ravvisa in tale decisione una violazione del principio per cui al lavoratore deve sempre essere riconosciuto il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro. Principio di rilevanza costituzionale in forza dell’art. 36 Cost.
2. Il ricorso è infondato.
2.1. La ricorrente è stata dirigente biologa alle dipendenze dell’A. U.RAGIONE_SOCIALE Roma 2 e ha percepito il trattamento economico previsto dalla contrattazione collettiva per la sua qualifica dirigenziale.
Come è noto, ai sensi dell’art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001, la retribuzione dei dirigenti nel pubblico impiego è omnicomprensiva e remunera tutte le funzioni ed i compiti
attribuiti in ragione dell ‘ ufficio ricoperto (Cass. nn. 32617/2022; 27385/2019; 3094/2018; 8261/2017).
La giurisprudenza citata nel ricorso (Cass. nn. 9328/2007; 13597/2009; 27887/2009) non riguarda casi di dirigenti -assunti e retribuiti come tali -che avessero chiesto il riconoscimento di una diversa pesatura del loro incarico, bensì casi di impiegati -non dirigenti -cui erano state attribuite, di fatto, funzioni dirigenziali. A costoro la giurisprudenza ha riconosciuto (e riconosce) il diritto a percepire, per tutto il periodo di esercizio effettivo e prevalente delle funzioni superiori, il trattamento economico riservato ai dirigenti, in conformità a quanto previs to dall’art. 5 2, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001 e quantunque non trovi applicazione, nel pubblico impiego, il diritto alla conservazione delle mansioni superiori, tipico del lavoro privato (art. 2103 c.c.; nel medesimo senso, più di recente, Cass. nn. 30811/2018; 2695/2024).
2.2. Nell’ambito della qualifica dirigenziale , la graduazione degli incarichi compete alla pubblica amministrazione (art. 24, comma 1, d.lgs. n. 165 del 2001) e, come correttamente osservato nella sentenza impugnata, rappresenta un atto di autonomia negoziale sindacabile soltanto in caso di violazione del principio di correttezza nell’esecuzione del contratto (art. 1375 c.c., arricchito, in quanto l’attività privatistica è posta in essere da una pubblica amministrazione, dall’art. 97 Cost. ), non invece sindacando nel merito le scelte discrezionali adottate dal datore di lavoro.
La Corte territoriale ha altresì evidenziato che il criterio preponderante nella graduazione delle funzioni dirigenziali non guarda tanto alle capacità personali richieste in capo al singolo dirigente, quanto all’importanza dell’incarico in relazione alle scelte di organizzazione aziendale. Né può essere stimato
determinante il parametro del grado di autonomia con cui opera il dirigente, posto che l’esercizio di funzioni in autonomia è caratteristica intrinseca alla dirigenza in sé e, quindi, non specifica di determinati incarichi dirigenziali.
2.3. In definitiva , da un lato, nell’ambito delle attività qualificate come dirigenziali, non vi è luogo a discorrere, in senso tecnico, dell’esercizio di funzioni superiori ; dall’altro lato, la graduazione delle funzioni è attività discrezionale della amministrazione datrice di lavoro, sindacabile giudizialmente solo nel caso in cui violi i limiti del legittimo e corretto esercizio dell’autonomia negoziale .
Inoltre, l’effettiva e costante percezione di un trattamento economico previsto per i dirigenti dalla contrattazione collettiva esclude di per sé la violazione dell’art. 36 Cost.
2.4. Tali sono i condivisibili principi affermati nella sentenza impugnata, che la ricorrente ha inutilmente cercato di attaccare applicando altri principi, validi per una diversa fattispecie, ovverosia quella dell’esercizio di funzioni dirigenziali da parte di pubblici impiegati non inquadrati come dirigenti.
Rigettato il ricorso, le spese legali per il presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che, in base all’esito del ricorso, sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese relative al giudizio di legittimità , liquidate in € 4.000 per compensi, oltre alle spese generali al 15%, a € 200 per esborsi e agli accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della