Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31983 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31983 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
La Corte di appello di Napoli ha rigettato il gravame proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Benevento, che lo aveva condannato a restituire alla Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura (di seguito C.C.I .A.A.) Irpinia Sannio la somma di € 100.228,13, che gli era stata liquidata quale Segretario Generale dell’ente, in quanto maggiore di quella a lui spettante a titolo di retribuzione di risultato per il periodo 2010-2014.
La C.C.IRAGIONE_SOCIALE. aveva chiesto la suddetta restituzione sostenendo di avere errato nella quantificazione della retribuzione di risultato corrisposta al Coppola nel suddetto periodo, in quando gli aveva liquidato anche la quota di retribuzione spettante per gli altri incarichi ad interim relativi a due aree dirigenziali, in violazione del principio di omnicomprensività del trattamento economico spettante al dirigente previsto dall’ art. 24 d.lgs. n. 165/2001, e delle disposizioni di cui all’art. 9 d.l. n. 78/2010 sul contenimento della spesa pubblica.
La Corte territoriale ha rilevato che nel periodo dal 2010 al 2014 al Segretario Generale era stata illegittimamente liquidata la retribuzione di risultato anche per gli incarichi ricoperti ad interim di dirigente dell’Area Anagrafe Economica e di dirigente dell’Area Economico Finanziaria e Servizi Interni , in violazione del principio di onnicomprensività; richiamati l’art. 20 della legge n. 580/1993, lo Statuto camerale ed il Regolamento di organizzazione, ha ritenuto che la possibilità di svolgere gli incarichi assunti ad interim fosse ricompresa nelle funzioni di vertice dell’amministrazione ed ha , pertanto, escluso che al COGNOME spettasse una retribuzione ulteriore.
Il giudice di appello ha inoltre osservato che l’art. 9 del d.l. n. 78/2010 detta disposizioni di contenimento della spesa pubblica e cristallizza il trattamento accessorio nell’importo corrispondente a quello dell’anno 2010.
Ha poi richiamato e condiviso le statuizioni del Tribunale riguardanti le modalità di costituzione e di ripartizione del fondo che riservava l’80% alla retribuzione di posizione e il 20% alla retribuzione di risultato; quest’ultima quota era suddivisa fra il Segretario generale (60%) e gli altri due dirigenti (20% ciascuno).
Ha escluso che la quota spettante al Segretario dovesse essere pari almeno al 20% dell’intero fondo ed ha ritenuto inapplicabile e comunque inconferente l’articolo 27 del C.C.N.L. del 1999 che, in ogni caso, non può prevalere sulla disposizione, sopravvenuta, di contenimento della spesa, che prevede la cristallizzazione del trattamento accessorio nell’importo corrispondente a quello dell’anno 2010.
Ha ritenuto legittima l’azione di ripetizione di indebito, in quanto la Pubblica Amministrazione è tenuta al recupero degli importi illegittimamente erogati in eccesso; ha infine evidenziato che in sede penale il COGNOME era stato assolto perché il fatto non costituisce reato, in difetto di prova del necessario elemento soggettivo, ma il giudice penale aveva rilevato che l’imputato aveva beneficiato della retribuzione di risultato non dovuta.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
La RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
DIRITTO
1.Con il primo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 16, 19 e 24 del d.lgs. n. 165 del 2001, e dell’art. 20 della legge n. 580 del 1993, nonché degli artt. 132 e 156 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale ritenuto prevalente, senza alcuna motivazione, l’importo della retribuzione di risultato determinato unilateralmente dalla Giunta Camerale anziché quello indicato nel contratto individuale di lavoro sottoscritto tra le parti in causa.
Lamenta l’apparenza della motivazione, in quanto la Corte territoriale non ha indicato la norma o il principio di diritto che attribuisce prevalenza alla deliberazione unilaterale della Giunta camerale rispetto al contratto individuale.
Addebita alla corte territoriale di avere del tutto svalutato il contratto individuale che, per i dirigenti di livello generale, ai quali è equiparato il Segretario Generale, deve prevalere sulle disposizioni della contrattazione collettiva che valgono solo per i dirigenti di uffici generali.
Sostiene, pertanto, che ai fini della quantificazione della retribuzione di risultato spettante al Coppola avrebbe dovuto essere ritenuta prevalente la previsione contenuta nel contratto individuale, che aveva previsto la somma di € 63.250,83 (pari al 20% del fondo) a titolo di retribuzione di risultato.
Con il secondo motivo, il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 15, 16, 23 e 24 del d.lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 27 del CCNL comparto Regioni Enti Locali area dirigenza 1998 -2001 del 23 dicembre 1999, in relazione a ll’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.
Assume che alla luce delle previsioni contenute nell’art. 27, comma 9, del CCNL comparto Regioni Enti Locali area dirigenza 1998 -2001 del 23 dicembre 1999, era superfluo verificare il rispetto del principio di omnicomprensività, atteso che tale valutazione era stata effettuata a monte in sede di contrattazione collettiva.
Sostiene che la retribuzione di risultato doveva essere incrementata della quota corrispondente alle posizioni vacanti.
Con il terzo motivo, il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del d.l. n. 78/2010, in relazione all’art. 27, comma 9 del CCNL 1999, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che, in applicazione dell’art. 9, comma 2 bis, d.l. n. 78/2010, nel 2011 il fondo per la retribuzione accessoria dei dirigenti dovesse essere ridotto all’importo effettivamente dovuto al Coppola nel 2010.
Evidenzia che la norma assume come parametro di riferimento l’ammontare delle spese destinate al trattamento accessorio, e non delle risorse effettivamente utilizzate nel 2010.
Deduce che le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 bis dell’art. 9 d.l. n. 78/2010 trovano applicazione dal 1° gennaio 2011 e addebita alla Corte territoriale di avere ritenuto inapplicabile anche al 2010 l’art. 27, comma 9, del CCNL in forza dell’art. 29, comma 7, del CCNL.
Sostiene che la retribuzione di risultato costituisce un effetto derivante da eventi straordinari della dinamica retributiva, essendo collegata al raggiungimento di determinati obiettivi e potendo variare di anno in anno a seconda del maggiore o minore obiettivo raggiunto; richiama sul punto la circolare MEF n. 12 del 15.4.2011.
Con il quarto motivo, il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c. e degli artt. 40 e 40 bis del d.lgs. n. 165 del 2001, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto legittimo il recupero, in assenza di un presupposto normativo.
Evidenzia che la regolarità del fondo è garantita dall’organo di controllo interno e che l’unica ipotesi di recupero è quella prevista dall’art. 40, comma 2 quinquies, del d.lgs. n. 165/2001, secondo cui in caso di accertato superamento di vincoli finanziari da parte delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, del Dipartimento della funzione pubblica o del Ministero dell’economia e delle finanze, è fatto obbligo di recupero nell’ambito della sessione negoziale successiva.
Sostiene che nel caso in cui l’indebita erogazione delle somme sia stata, come nel caso di specie, conseguenza diretta di un’errata costituzione del fondo per la retribuzione accessoria, l’art. 40, comma 2 quinquies, d.lgs. n. 165/2001, in deroga all’ art. 2033 cod. civ. prevede una particolare forma di recupero delle somme mediante la riduzione del fondo nell’anno successivo.
Aggiunge che i fondi relativi agli anni dal 2011 al 2014 erano stati certificati dal Collegio dei Revisori dei Conti (richiama sul punto i relativi verbali e la sentenza di primo grado) e che rispetto a tale certificazione non era intervenuto alcun accertamento di irregolarità da parte degli organi di controllo esterno.
Il primo motivo è inammissibile.
Non è configurabile l’apparenza della motivazione, in quanto la sentenza impugnata con un percorso argomentativo chiaro, completo ed univoco, ha dato contezza delle ragioni per le quali ha ritenuto che al Segretario Generale spettasse il 60% della quota del fondo destinata alla retribuzione di risultato, corrispondente all’importo spettante al Segretario Generale, come previsto dalla
delibera della Giunta camerale n. 144 del 21.12.2010, e non il 20% del fondo, come previsto dal contratto individuale.
Inoltre la censura, nel sostenere che per i dirigenti di livello generale (ai quali è equiparato il Segretario Generale) il contratto individuale definisce a monte gli importi per l’intera retribuzione accessoria, sia di posizione che di risultato, e che nel caso di specie doveva pertanto prevalere sulla delibera della Giunta camerale n. 144 del 2010, non coglie il decisum .
La sentenza impugnata ha infatti escluso che al Segretario Generale potessero essere liquidati anche gli importi della retribuzione di risultato spettanti alle altre due posizioni dirigenziali vacanti, in quanto sarebbero state violate le disposizioni contenute nell’art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 165/2001 e n ell’art. 9 d.l. n. 78/2010.
Quanto al primo profilo, ha evidenziato che il principio di onnicomprensività della retribuzione opera inderogabilmente in tutti i casi in cui l’attività svolta sia riconducibile a funzioni e poteri connessi all’ufficio ricoperto, relativi a mansioni cui il dirigente è obbligato e che rientrano nei normali compiti di servizio, salvi i soli incarichi retribuiti a titolo professionale dall’Amministrazione sulla base di una norma espressa che gliene attribuisca il potere, e sempre che ciò non costituisca comunque espletamento di compiti d’istituto; ha inoltre affermato che nel caso di specie la possibilità di svolgere gli incarichi assunti ad interim era ricompresa nelle funzioni di vertice dell’amministrazione.
Riguardo al secondo profilo, ha ritenuto che l’art. 9 del d.l. n. 78/2010 deve essere interpretato nel senso che oggetto della decurtazione dei fondi è l’intero importo corrispondente al trattamento economico, fondamentale e accessorio, destinato a remunerare i dipendenti non in servizio ed ha escluso che possa essere utilizzato per incrementare le risorse destinate al trattamento accessorio di quelli in servizio; ha inoltre rilevato che il Tribunale, sulla scorta della verifica effettuata dal Collegio dei revisori dei conti nel 2016, aveva ricostruito le modalità di calcolo della retribuzione accessoria percepita dal Segretario Generale dal 2010 al 2014, accertando che il COGNOME aveva percepito somme maggiori di quelle a lui spettanti, in quanto gli era stata erroneamente attribuita
una doppia retribuzione di risultato derivante dall’assunzione ad interim anche delle funzioni dirigenziali dei due settori vacanti.
La Corte territoriale ha inoltre precisato che la Giunta decide in autonomia l’attribuzione delle somme all’interno del Fondo dirigenti, distribuendole tra retribuzione di posizione e retribuzione di risultato , e che nell’ambito dell’intero fondo stanziato per la retribuzione accessoria dei dirigenti per un certo anno, l’80% è destinato alla retribuzione di posizione ed il restante 20% a quella di risultato; ha dunque escluso che al Segretario Generale spettasse il 20% del fondo destinato alla retribuzione di risultato di tutti i dirigenti, come previsto dal contratto individuale.
La sentenza impugnata ha dunque escluso che al COGNOME dovesse essere corrisposta la retribuzione di risultato nella misura prevista dal contratto individuale, in quanto era stata determinata contra legem .
6. Il secondo motivo è infondato.
L’art. 27, comma 9, del CCNL comparto Regioni Enti Locali area dirigenza 1998 -2001 del 23 dicembre 1999 prevede: ‘ 9. Le risorse destinate al finanziamento della retribuzione di posizione devono essere integralmente utilizzate. Eventuali risorse che a consuntivo risultassero ancora disponibili sono temporaneamente utilizzate per la retribuzione di risultato relativa al medesimo anno e quindi riassegnate al finanziamento della retribuzione di posizione a decorrere dall’esercizio finanziario successivo ‘ .
Tale disposizione si coordina dunque con l’art. 26 (che disciplina il finanziamento della retribuzione di posizione e di risultato) e con l’art. 28 (che disciplina il finanziamento della retribuzione di risultato).
In particolare, l’art. 28 del CCNL comparto Regioni Enti Locali area dirigenza 1998 -2001 del 23 dicembre 1999 stabilisce : ‘1 . Al fine di sviluppare, all’interno degli enti, l’orientamento ai risultati anche attraverso la valorizzazione della quota della retribuzione accessoria ad essi legata, al finanziamento della retribuzione di risultato è destinata una quota, definita dai singoli enti, delle risorse complessive di cui all’art. 26 e comunque in misura non inferiore al 15%. (…) 2. Le risorse destinate al finanziamento della retribuzione di risultato devono essere integralmente utilizzate nell’anno di riferimento. Ove ciò non sia possibile,
le eventuali risorse non spese sono destinate al finanziamento della predetta retribuzione di risultato nell’anno successivo. 3. La percentuale indicata nel comma 1 si realizza, anche progressivamente, utilizzando le risorse già destinate dagli enti alla r etribuzione di risultato nonché quelle integrative previste dall’art. 26 per la parte che eventualmente residua dopo il prioritario finanziamento della retribuzione di posizione di cui all’art. 27, commi 3 e 4.
Tale meccanismo contabile di imputazione temporanea non comporta dunque l’automatico aumento della retribuzione di risultato in caso di residui del fondo destinato alla retribuzione di posizione; deve pertanto ritenersi infondata la pretesa del ricorrente di vedersi attribuire tutta la quota di trattamento accessorio che sarebbe spettata alle posizioni dirigenziali vacanti e ricoperte ad interim dal COGNOME.
L’art. 32 del medesimo CCNL, prevede a sua volta: ‘ 1. Le somme acquisite dagli enti a seguito dell’adeguamento dei rispettivi ordinamenti al principio di onnicomprensività del trattamento economico dei dirigenti previsto dall’art. 24, comma 3, del D.Lgs.n. 29 del 1993, integrano le risorse destinate al finanziamento della retribuzione di posizione e di risultato secondo la disciplina dell’art. 26. 2. Le risorse di cui al comma 1, correlate agli incarichi previsti dal citato art. 24 D. Lgs. n. 29 del 1993, sono utilizzate per: a) determinare, ai sensi dell’art. 27, i valori economici delle funzioni dirigenziali nei limiti in cui si tratti di compensi aventi carattere di stabilità e continuità; b) incrementare, ai sensi dell’art. 29, la retribuzione di risultato dei dirigenti che abbiano contribuito alla loro acquisizione, quando si tratti di compensi aventi carattere episodico’.
Il principio di onnicomprensività del trattamento economico è richiamato anche dall’art. 20 CCNL 22.2.2010, il quale stabilisce: ‘1 . Il trattamento economico dei dirigenti, ai sensi dell’art. 24, comma 3, del D.Lgs. n.165 del 2001, ha carattere di onnicomprensività in quanto remunera completamente ogni incarico conferito ai medesimi in ragione del loro ufficio o comunque collegato alla rappresentanza di interessi dell’Ente. 2. In aggiunta alla retribuzione di posizione e di risultato, ai dirigenti possono essere erogati direttamente, a titolo di retribuzione di risultato, solo i compensi previsti da specifiche disposizioni di legge, come espressamente recepite nelle vigenti
disposizioni della contrattazione collettiva nazionale e secondo le modalità da queste stabilite: art. 92, comma 5 D.Lgs. n. 163 del 12.4.2006; art. 37 del CCNL del 23.12.1999; art. 3, comma 57 della legge n. 662 del 1996; art. 59, comma 1, lett. p) del D.Lgs. n. 446/97 (recupero evasione ici); art.12, comma 1, lett. b) del D.L. n.437 del 1996, convertito nella legge n. 556 del 1996. L’ente definisce l’incidenza delle suddette erogazioni aggiuntive sull’ammontare della retribuzione di risultato sulla base criteri generali oggetto di previa concertazione sindacale, ai sensi dell’art. 6 del CCNL del 22.2.2006 (…)’
Questa Corte ha ripetutamente affermato che il principio di onnicomprensività di cui all’art. 24 del d. lgs. n. 165/2001 non consente in alcun modo di riconoscere plurimi compensi in ragione della pluralità di incarichi o funzioni che la medesima amministrazione attribuisca al dirigente, a nulla rilevando il fatto, in qualche misura insito nella pluralità di incarichi, che le mansioni, rispetto alle singole funzioni, possano essere differenziate o presentare tratti di più o meno spiccata autonomia (v. Cass. n. 3905/2020)
E’ infatti consolidato il principio secondo cui « nel pubblico impiego privatizzato vige il principio di onnicomprensività della retribuzione dirigenziale, in ragione del quale il trattamento economico dei dirigenti remunera tutte le funzioni e i compiti loro attribuiti secondo il contratto individuale o collettivo, nonché qualsiasi incarico conferito dall’amministrazione di appartenenza o su designazione della stessa » (Cass. n. 836/2019; Cass. n. 3094/2018 rispetto al caso di conferimento di una reggenza; Cass. n. 8261/2017; Cass. n. 23274/2017; Cass. n. 5698/2017).
Si è inoltre escluso che la normativa si ponga in contrasto con l’art. 36 Cost., con riferimento alla necessità che la remunerazione sia coerente con la « quantità e qualità » del lavoro prestato, in quanto la previsione espressa, di cui all’art. 24, comma 3, d. lgs. n. 165/2001, di un trattamento retributivo correlato « alle funzioni attribuite, alle connesse responsabilità e ai risultati conseguiti » esprime una flessibilità che naturalmente consente le debite graduazioni dell’unica retribuzione, senza necessità di ricorrere a duplicazioni di poste e compensi.
Non può dunque essere avallata la spettanza di una duplicazione nella remunerazione del dirigente, non riconosciuta come tale dalla legge.
7. Il terzo motivo è inammissibile.
La sentenza impugnata ha escluso l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 27, comma 9 del CCNL 1999 sulla base di due rationes decidendi (il principio di onnicomprensività di cui all’ art. 24 d.lgs. n. 165/2001 e lo ius superveniens costituito dal d.l. n. 78/2010); l’infondatezza della censura alla prima ratio decidendi rende pertanto inammissibile la censura alla seconda.
Infatti, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012; Cass. Sez. 5 – , Ordinanza n. 11493 del 11/05/2018; Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 22753 del 03/11/2011; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12372 del 24/05/2006).
8. Anche il quarto motivo è infondato.
La censura presenta profili di inammissibilità, in quanto richiamando le certificazioni del Collegio dei Revisori dei Conti, sollecita un giudizio di merito sul rispetto delle procedure di controllo interno.
Nella restante parte la censura è infondata.
Non è infatti condivisibile l’assunto secondo cui al di fuori dell’ipotesi prevista dall’art. 40 del d.lgs. n. 165/2001 non vi sarebbe spazio per l’azione di ripetizione, azione che, invece, è sempre esperibile ai sensi dell’ art. 2033 cod. civ. ( cfr. in motivazione Cass. n. 17648/2023).
Si deve in proposito rammentare che il datore di lavoro pubblico, a differenza di quello privato, è tenuto a ripetere le somme corrisposte sine titulo (v. per tutte Cass. n. 12108/2022 e la giurisprudenza ivi richiamata).
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per i l ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed in € 6.000,00 per competenze professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge;
ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1- quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte