Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 17958 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 17958 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/07/2025
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso n. 19198/2023 proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME e domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione;
-ricorrente –
Contro
ASL Napoli 1 Centro, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avv. NOME COGNOME;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Napoli n. 594/2022, pubblicata il 15 marzo 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
R.G.N.
19198/2023
Ud.
21/05/2025
CC
Con ricorso depositato l’11 gennaio 2018 presso il Tribunale di Napoli NOME COGNOME ha chiesto il pagamento di € 256.554,14, oltre accessori, per differenze retributive vantate in relazione all’incarico di Direttore Responsabile dell’Unità Operativa Complessa, svolto in modo ininterrotto, continuativo e sistematico dal 2010 al 2018.
Il Tribunale di Napoli, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 6214/2019, ha rigettato la domanda.
NOME COGNOME ha proposto appello che la Corte d’appello di Napoli, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 594/2023, ha rigettato.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi. La ASL si è difesa con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 502 del 1992, degli artt. 15, 15 bis e 15 ter, comma 5, dell’art. 2103 c.c., commi 1 e 7, c.c., degli artt. 3 e 36 Cost., del CCNL dell’8 giugno 2000, artt. 26, 27 e 28, del CCNL del 6 maggio 2010, art. 5.
Il giudice del merito non avrebbe tenuto conto dei principi di effettività delle prestazioni e di proporzionalità della retribuzione.
Il ricorrente critica, inoltre, il prevalente indirizzo giurisprudenziale di legittimità in materia.
Egli sostiene che l’art. 19, comma 1, d.lgs. n. 165 del 2001 non escluderebbe il diritto del dirigente pubblico a essere retribuito secondo le superiori funzioni effettivamente svolte.
Si dovrebbe distinguere, piuttosto, fra l’art. 2103, comma 1, c.c., concernente il diritto del dirigente ad ottenere l’assegnazione definitiva dell’incarico, e il successivo comma 7, per il quale il medesimo dirigente avrebbe diritto alla retribuzione per le attività svolte.
La contrattazione collettiva non avrebbe disciplinato la dirigenza medica come un unicum indistinto, caratterizzato da perfetta equivalenza di funzioni, e il principio di omnicomprensività non avrebbe escluso il diritto del Dirigente a una
retribuzione proporzionata alle funzioni effettivamente svolte e alle responsabilità concretamente assunte.
Egli cita, a sostegno della sua ricostruzione, giurisprudenza di legittimità, soprattutto Cass., Sez. L, n. 34541 del 2019.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c. e l’art. 12 delle Preleggi in relazione all’art. 18, commi 4 e 7, CCNL 2000.
Contesta, in particolare, l’interpretazione della disposizione collettiva, alla luce dei criteri da lui indicati.
Con il terzo motivo il ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del CCNL del 18 giugno 2000, in quanto non gli sarebbe stata riconosciuta la retribuzione di posizione.
Con il quarto motivo il ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2041 e 2042 c.c., in quanto la corte territoriale avrebbe errato ad escludere l’applicazione delle due disposizioni menzionate perché la fattispecie sarebbe stata sussumibile sotto l’art. 18 del CCNL 2000.
Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 35 e 36 Cost. e degli artt. 1322 e 1418 c.c., chiedendo l’intervento additivo / manipolativo del giudice secondo gli artt. 2, 3, 35 e 36 Cost., stante la manifesta iniquità dell’art. 18, commi 4 e 7, CCNL del 2000.
Le doglianze, che possono essere trattate congiuntamente stante la stretta connessione, sono manifestamente infondate, quanto alle prime tre, e inammissibili, per ciò che concerne la quarta e la quinta.
La giurisprudenza ormai univoca di questa Suprema Corte è orientata nel senso che ‘In materia di pubblico impiego contrattualizzato, la sostituzione nell’incarico di dirigente medico del RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’art. 18 del c.c.n.l. dirigenza medica e veterinaria dell’8 giugno 2000, non si configura come svolgimento di mansioni superiori poiché avviene nell’ambito del ruolo e livello unico della dirigenza sanitaria, sicché non trova applicazione l’art. 2103 c.c. e al sostituto non spetta il trattamento accessorio del sostituito, ma solo la prevista indennità cd. sostitutiva, senza che rilevi, in senso contrario, la prosecuzione dell’incarico oltre il termine di sei mesi (o di dodici, se prorogato) per
l’espletamento della procedura per la copertura del posto vacante, dovendosi considerare adeguatamente remunerativa l’indennità sostitutiva specificamente prevista dalla disciplina collettiva e, quindi, inapplicabile l’art. 36 Cost.’ (Cass., Sez. L, n. 2875 del 2024; Cass., Sez. L, n. 21565 del 2018, alle cui motivazioni si rinvia ex art. 118 disp. att. c.p.c.).
Si tratta di un indirizzo ormai da anni non più in discussione, che ha definitivamente superato quello, difforme e rimasto da subito praticamente isolato, espresso da Cass., Sez. L, n. 13809 del 6 luglio 2015.
Nessun pregio ha, poi, il richiamo di Cass., Sez. L, n. 34541 del 2019.
La giurisprudenza ha, infatti, rivalutato l’orientamento, espresso da Cass., Sez. L, n. 24373 del 2008 e Cass., Sez. L, n. 34541 del 2019, secondo cui il dirigente medico maturerebbe il diritto a percepire la retribuzione di posizione corrispondente all’incarico svolto di fatto.
L’inoperatività dell’art. 2103 c.c. con riguardo alla dirigenza, sancita in via generale dal d.lgs. n. 165 del 2001, art. 19, trova origine nel fatto che la qualifica dirigenziale non esprime una posizione lavorativa caratterizzata dallo svolgimento di determinate mansioni, bensì esclusivamente l’idoneità professionale a ricoprire un incarico dirigenziale (Cass., Sez. L, n. 91 del 2019). Per la dirigenza sanitaria, il principio è ribadito dal d.lgs. n. 502 del 1992, art. 15 (come sostituito dall’art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 229 del 1999) – secondo cui la dirigenza sanitaria è collocata in un unico ruolo, distinto per profili professionali ed in un unico livello – ed art. 15 ter (aggiunto dal medesimo art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 229 del 1999), comma 5 – secondo cui il dirigente preposto ad una struttura complessa è sostituito, in caso di sua assenza o impedimento, da altro dirigente della struttura o del dipartimento individuato dal responsabile della stessa struttura ed alle predette mansioni superiori non si applica l’art. 2103, comma 1, c.c. Trova, dunque, applicazione l’art. 24 del d.lgs. n. 165 del 2001, che, in tutte le versioni succedutesi nel tempo, ha delegato alla contrattazione collettiva il trattamento economico dei dirigenti, precisando che il trattamento accessorio deve essere correlato alle funzioni attribuite. Il comma 3 del medesimo articolo fissa il principio di onnicomprensività della retribuzione dei dirigenti, stabilendo che il trattamento economico «remunera tutte le funzioni
ed i compiti attribuiti ai dirigenti in base a quanto previsto dal presente decreto nonché qualsiasi incarico ad essi conferito in ragione del loro ufficio o comunque conferito dall’amministrazione presso cui prestano servizio o su designazione della stessa».
La materia delle sostituzioni è stata espressamente disciplinata dalle parti collettive che, all’art. 18, comma 7, del CCNL 8 giugno 2000 hanno innanzitutto ribadito, in linea con la previsione del d.lgs. n. 502 del 1992, art. 15 ter, comma 5, che «le sostituzioni (…) non si configurano come mansioni superiori in quanto avvengono nell’ambito del ruolo e livello unico della dirigenza sanitaria» e hanno, quindi, previsto una speciale indennità, da corrispondersi solo in caso di sostituzioni protrattesi oltre sessanta giorni, rapportata al livello di complessità della struttura diretta.
Il comma 4 della disposizione contrattuale in esame prevede che, qualora la necessità della sostituzione sorga in conseguenza della cessazione del rapporto di lavoro del dirigente interessato, e, pertanto, della vacanza della funzione dirigenziale, la stessa è consentita per il tempo strettamente necessario all’espletamento delle procedure concorsuali e può avere la durata di mesi sei, prorogabili a dodici; le parti collettive non hanno fatto cenno alle conseguenze che, sul piano economico, possono derivare dall’omesso rispetto del termine. L’omissione non può essere ritenuta casuale, atteso che la norma contrattuale ha tenuto ad affermare, come principio di carattere generale, che la sostituzione non implica l’espletamento di mansioni superiori.
Il termine di cui al comma quattro, quindi, svolge senz’altro una funzione sollecitatoria, ma il suo mancato rispetto non può legittimare la rivendicazione dell’intero trattamento economico spettante al dirigente sostituito, impedita proprio dall’incipit del comma 7 che, operando unitamente al principio della onnicomprensività al quale si è già fatto cenno, esclude qualsiasi titolo sul quale la pretesa possa essere fondata.
Si tratta di principi nella sostanza esposti da Cass., Sez. L, n. 4153 del 2022 e riconfermati, di recente, da Cass., Sez. L, n. 2875 del 2024 (non significativo deve essere considerato il richiamo presente in Cass., Sez. L, n. 3368 del 2024 e citato nella memoria conclusiva del ricorrente, il quale è un semplice obiter
all’interno di una motivazione che, nel suo complesso, contrasta, comunque, con la tesi complessiva prospettata dal lavoratore).
L’odierno controricorrente, per l’incarico di direzione di unità operativa complessa ottenuto in via di fatto, aveva, pertanto, diritto esclusivamente al pagamento della detta indennità sostitutiva ex art. 18, unico importo che le corti di merito avrebbero potuto riconoscergli, ove già non corrisposto dalla P.A. ricorrente.
Se ne ricava il rigetto dei primi tre motivi di ricorso.
Proprio la possibilità di chiedere la particolare indennità di cui al citato art. 18 rende inammissibile, poi, la quarta censura, proposta dal ricorrente ai sensi degli artt. 2041 e 2042 c.c., atteso che l’ordinamento prevede un rimedio specifico per ristorare la sua prestazione di fatto.
Del tutto inammissibile, stante pure l’estrema genericità, è, infine, anche il quinto motivo che, peraltro, chiede a questa S.C. un’attività che esula dalle sue competenze, non essendo sindacabile nel merito, nella presente sede, il contenuto della contrattazione collettiva secondo parametri equitativi.
2) Il ricorso è rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in € 8.000,00 per compenso ed € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%;
-ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 21