Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32663 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32663 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
Oggetto: ASL Avellino – Eccedenza oraria del medico
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9424/2024 R.G. proposto da
ASL Avellino, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa da ll’ Avv. NOME COGNOME e domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione;
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avv. NOME COGNOME;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 3690/2023 pubblicata il 31 ottobre 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato presso il Tribunale di Benevento NOME COGNOME ha convenuto l’ASL Avellino, esponendo che:
era dirigente medico di I livello in servizio presso l’ASL Avellino; durante lo svolgimento del rapporto lavorativo, contrariamente a quanto accadeva per i giorni di presenza in servizio, della durata di 6 ore e 20 minuti, i giorni di assenza per ferie, malattia, festività, permessi e assenze similari erano calcolati nella misura di 6 ore al giorno;
in questo modo, vi sarebbe stato un calcolo errato del c.d. debito orario, con conseguente svolgimento di un orario di lavoro supplementare non dovuto (di 20 minuti per ogni giorno di assenza dal lavoro).
La ricorrente ha chiesto, quindi, di accertare e dichiarare illegittimo ed errato il sistema di calcolo adottato dall’ASL Avellino per determinare il c.d. debito orario assolto a seguito di assenze per ferie, malattie, festività, permessi e altre assenze similari nei periodi indicati e di condannare l’ASL Avellino a corrispondere le differenze retributive, con ordine di ripristino di un sistema di calcolo corretto.
Il Tribunale di Benevento, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 531/2021, ha accolto il ricorso.
L’ASL Avellino ha proposto appello che la Corte d’appello di Napoli, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 3690/2023, ha rigettato.
L’ASL Avellino ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo.
L’intimat a si è difesa con controricorso.
Parte ricorrente ha depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con un unico motivo l’ASL Avellino lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 d.lgs. n. 165 del 2001, 112 c.p.c e 14 del CCNL della dirigenza medica del 3 novembre 2005 nonché la contraddittorietà, illogicità e carenza della motivazione in quanto nel pubblico impiego sarebbe stato vigente il principio di onnicomprensività della retribuzione dei dirigenti pubblici, soprattutto di quelli medici.
Essa osserva che per i dirigenti medici non vi sarebbe stato un orario fisso su base settimanale in quanto l’organizzazione del loro lavoro imponeva che i loro compiti fossero espletati, per ragioni di organizzazione aziendale, attraverso un sistema di turnazione che non sempre consentiva di effettuare, in maniera sistematica, le 38 ore settimanali.
La controricorrente avrebbe espletato l’esatto orario complessivo di lavoro per il quale era stata retribuita e non sarebbe stato dimostrato che essa avesse dovuto recuperare orari non dovuti.
Ciò che avrebbe dovuto essere chiaro è che il sistema di rilevazione delle presenze non sarebbe stato collegato a quello economicoretributivo e che l’indicazione di 6 ore o 6 ore e 20 minuti per la giornata di assenza o presenza avrebbe rappresentato un dato puramente formale.
La doglianza merita accoglimento.
2.1) La questione controversa riguarda i criteri di calcolo del debito orario giornaliero dei medici turnisti il cui orario di lavoro è articolato su sei giorni per 38 ore settimanali contrattuali.
Nell’ipotesi di assenza del medico per ferie, malattie, festività, permessi, ecc., l’ASL calcolerebbe il debito orario assolto di diritto in 6 ore, anziché in 6,20 ore.
Ne consegue che il dirigente medico, per assolvere al debito orario settimanale, dovrebbe fare, ad avviso del controricorrente, non già le ordinarie 38 ore contrattuali, ma un quid pluris parametrato al numero di assenze di servizio (i.e., 20 minuti in più per ogni legittima assenza registrata nel corso della settimana) che, in quanto orario indebitamente computato, andrebbe (a suo dire) retribuito a parte.
2.2) Secondo il medico, la regola dell’orario giornaliero di ore 6,20 vale sia per l’orario assolto effettivamente sia per il servizio figurativo, legato alle assenze legittime, perché, altrimenti, si crea un indebito aumento della prestazione lavorativa, mentre la ASL obietta che la ‘flessibilità’ oraria comporta l’inutilità di un approccio che mira a determinare la durata media della giornata lavorativa, aspetto che non influisce sulla dinamica salariale del dirigente medico, il quale, comunque, avrebbe fruito per intero delle sue giornate di assenza.
2.3) Il tema del contendere sta, allora, nel vedere (da un lato) se il calcolo del debito orario è stato condotto correttamente dall’Azienda, nel rapporto tra ore assolte di diritto per assenze e ore assolte per turni di lavoro, e (dall’altro) se quel criterio di calcolo, seppure erroneo, si sia in concreto tradotto in un indebito aumento della prestazione lavorativa, da retribuire in termini di differenze retributive).
2.4) Deve osservarsi che l’art. 24 (‘Orario di lavoro dei dirigenti’) del CCNL 19 dicembre 2019, Area Sanità, dispone, al comma 7, che «Ai sensi di quanto disposto dalle disposizioni legislative vigenti, l’orario di lavoro è articolato su cinque o sei giorni, c on orario convenzionale rispettivamente di sette ore e trentasei minuti e di sei ore e venti minuti», innovando formalmente rispetto al precedente dettato del CCNL del 3 novembre 2005, applicabile ratione temporis ,
il quale stabilisce (art. 14, comma 2) che l’orario di lavoro dei dirigenti medici è confermato in 38 ore settimanali.
2.5) Il giudice di appello ha ritenuto che la richiesta di condanna dell’ASL Avellino a pagare differenze retributive andasse accolta perché si sarebbe determinato un indebito aumento della prestazione lavorativa del sanitario.
2.6) Questo approdo non può essere condiviso per le ragioni che seguono, come già ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità in recenti precedenti, fra i quali può citarsi Cass., Sez. L, n. 20796 del 25 luglio 2024, alla cui motivazione questo Collegio fa riferimento ex art. 118 disp. att. c.p.c. e che ha affermato il principio di diritto per il quale ‘Il dirigente medico che ha svolto una prestazione di lavoro eccedente gli orari stabiliti dalla contrattazione collettiva, anche se a causa di un erroneo criterio di calcolo del debito orario minimo assolto adottato dall’RAGIONE_SOCIALE, non ha diritto a un compenso supplementare, in quanto la sua retribuzione dovuta non è stabilita su base oraria, bensì mensile, ed è comprensiva di tutte le prestazioni rese, cosicché l’azione di esatto adempimento per il pagamento di differenze retributive consente di conseguire soltanto detta retribuzione, ferma restando la possibilità di fare eventualmente valere la responsabilità datoriale a titolo risarcitorio, allegando specificamente e provando, anche attraverso presunzioni semplici, un concreto pregiudizio alla salute, alla personalità morale o al riposo’.
Nel caso di specie, si rileva che l’art. 17, comma 2, CCNL del 5 dicembre 1996 per l’area della dirigenza medica e veterinaria -parte normativa quadriennio 1994-97 e parte economica biennio 1994-95 determina l’orario dei dirigenti medici in 38 ore setti manali, ma l’art. 65, comma 3, secondo periodo, dispone che «la retribuzione di risultato compensa anche l’eventuale
superamento dell’orario di lavoro di cui agli artt. 17 e 18 per il raggiungimento dell’obiettivo assegnato».
Se corrisposto il trattamento accessorio costituito dalla retribuzione di risultato (art. 63 CCNL. cit.) non è possibile, quindi, la distinzione tra il superamento dell’orario di lavoro preordinato al raggiungimento dei risultati assegnati e quello imposto da esigenze del servizio ordinario, poiché la complessiva prestazione del dirigente deve essere svolta al fine di conseguire gli obiettivi propri e immancabili dell’incarico affidatogli.
Già in epoca risalente le Sezioni Unite di questa Corte (v. Cass., SU, n. 9146 del 17 aprile 2009) avevano affermato tale regola generale, negando fosse possibile la distinzione tra il superamento dell’orario di lavoro preordinato al raggiungimento dei ris ultati assegnati e quello imposto da esigenze del servizio ordinario.
3.1) In più recenti arresti (Cass., n. 7348 del 22 marzo 2017; Cass., n. 7921 del 28 marzo 2017; Cass., n. 10322 del 26 aprile 2017; Cass., n. 17260 del 2 luglio 2018; Cass., n. 18271 dell’11 luglio 2018; Cass., n. 28942 dell’8 novembre 2019), relativi ai contratti collettivi del 5 dicembre 1996 e 8 giugno 2000, la Suprema Corte ha ribadito che l’eccedentarietà oraria non è mai suscettibile di autonoma remunerazione.
Ai principi affermati nelle decisioni di questa Corte innanzi richiamate è stata data continuità con successive pronunce (Cass., n. 16711 del 5 agosto 2020; Cass., n. 16855 del 7 agosto 2020; Cass., n. 173 del 4 gennaio 2023), integralmente condivise dal Collegio, che hanno tenuto conto delle ulteriori disposizioni contenute nel CCNL del 31 novembre 2005, le quali non hanno innovato rispetto alla disciplina dettata dai contratti collettivi del 1996 e del 2000.
3.2) Questo indirizzo giurisprudenziale è del tutto rispettoso del complessivo impianto della contrattazione collettiva in materia.
Infatti, l’art. 60 del CCNL del 3 novembre 2005 dispone che: «nelle parti non modificate o integrate o disapplicate dal presente contratto, restano confermate tutte le norme dei sotto elencati contratti ivi comprese in particolare le disposizioni riguardan ti l’orario di lavoro e l’orario notturno nonché l’art. 62, comma 1 del c.c.n.l.» (tra i contratti elencati vi sono il CCNL del 5 dicembre 1996, quadriennio 1994-1997 per la parte normativa e primo biennio 1994 1995 per la parte economica, il CCNL del 5 dicembre 1996, relativo al II biennio economico 1996-1997, il CCNL 8 giugno 2000, quadriennio 1998 – 2001 per la parte normativa e I e II biennio parte economica).
L’art. 14 del medesimo CCNL del 2005, dopo avere ribadito, al comma 1, che: «i dirigenti assicurano la propria presenza in servizio ed il proprio tempo di lavoro, articolando, con le procedure individuate dall’art. 6, comma 1 lett. B), in modo flessibile l’impegno di servizio per correlarlo alle esigenze della struttura cui sono preposti ed all’espletamento dell’incarico affidato, in relazione agli obiettivi e programmi da realizzare», ha precisato che: (i) «i volumi prestazionali richiesti all’equipe ed i relativi tempi di attesa massimi per la fruizione delle prestazioni stesse vengono definiti con le procedure dell’art. 65, comma 6 del c.c.n.l. 5 dicembre 1996 nell’assegnazione degli obiettivi annuali ai dirigenti di ciascuna unità operativa, stabilendo la previsione oraria per la realizzazione di detti programmi»; (ii) «l’impegno di servizio necessario per il raggiungimento degli obiettivi prestazionali eccedenti l’orario dovuto di cui al comma 2 è negoziato con le procedure e per gli effetti dell’art. 65 , comma 6 citato. In tale ambito vengono individuati anche gli strumenti orientati a ridurre le liste di attesa», prevedendo, al secondo comma, che: «L’orario di lavoro dei dirigenti di cui al comma 1 è confermato in 38 ore settimanali, al fine di assicurare il mantenimento del livello di efficienza raggiunto dai servizi sanitari e per favorire lo svolgimento delle attività gestionali e/o professionali, correlate all’incarico affidato e conseguente agli obiettivi di budget
negoziati a livello aziendale, nonché quelle di didattica, ricerca ed aggiornamento», ed al sesto comma che: «Ove per il raggiungimento degli obiettivi prestazionali eccedenti quelli negoziati ai sensi dei commi 1 e 5, sia necessario un impegno aggiuntivo, l’azienda, sulla base delle linee di indirizzo regionali di cui all’art. 9, comma 1, lettera g) ed ove ne ricorrano i requisiti e le condizioni, può concordare con l’equipe interessata l’applicazione dell’istituto previsto dall’art. 55, comma 2 del c.c.n. l. 8 giugno 2000 in base al regolamento adottato con le procedure dell’art. 4, comma 2, lett. G)».
3.3) L’interpretazione della contrattazione collettiva offre, dunque, una ricostruzione complessiva del sistema retributivo scelto per compensare l’attività dei dirigenti medici, anche non apicali (v. Cass., n. 8958 del 4 giugno 2012; Cass., n. 21010 del 16 ottobre 2015), che depone in senso univoco per la non configurabilità del lavoro eccedentario da parte di tutti i dirigenti medici, in ragione della sussistenza di un regime orario flessibile delle loro prestazioni e di un sistema di retribuzione incentivante basato sulla valorizzazione degli obiettivi perseguiti, anziché sul computo del tempo impiegato per lo svolgimento delle prestazioni lavorative.
Soprattutto, dal citato art. 14 del CCNL del 2005, che si occupa proprio dell’organizzazione dei turni di lavoro, si evince che questa disposizione non ha alcun legame con il diritto alla retribuzione del medico, la quale è stabilita, invece, su base mensile e in misura omnicomprensiva di tutte le prestazioni dal medesimo rese, conformemente al disposto dell’art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001, per il quale «Il trattamento economico determinato ai sensi dei commi 1 e 2 remunera tutte le funzioni ed i compiti attribuiti ai dirigenti in base a quanto previsto dal presente decreto, nonché qualsiasi incarico ad essi conferito in ragione del loro ufficio o comunque conferito dall’amministrazione presso cui prestano servizio o su designazione della stessa (…)».
Tale retribuzione non è computata, allora, ad ore e il suo ammontare nulla ha a che vedere con il tempo effettivo dedicato al lavoro, tanto che copre pure il periodo legittimamente non destinato all’esecuzione della prestazione in senso stretto.
Pertanto, se il dipendente ha fornito una prestazione almeno pari a quella prevista nel contratto, egli non può ottenere, a titolo retributivo, un importo maggiore di quello spettante contrattualmente.
In particolare, una simile richiesta non può essere ricollegata al superamento del limite, sopra indicato, di 38 ore che, in realtà, rappresenta non un massimo, ma un minimo prestazionale.
3.4) Orbene, da tali premesse di carattere generale e dalla formulazione della domanda come diretta a ottenere esclusivamente la corresponsione di differenze retributive collegate a un indebito aumento della prestazione lavorativa discende, come logica consegu enza, l’irrilevanza delle allegazioni dei medici.
3.5) Nella specie, il dirigente medico, che non è revocato in dubbio abbia assolto a pieno al debito orario contrattuale, sostiene di essere stata costretta, per attingere alla soglia delle 38 ore settimanali, a protrarre i tempi della prestazione di lavoro a causa dell’erroneo conteggio del debito orario giornaliero per le assenze.
Quindi, il problema non è il superamento delle 38 ore, ma il numero di ore in più svolte per raggiungere tale soglia, al fine di godere di riposi, ferie etc. Ed allora la stessa prospettazione della domanda originaria, come intesa a ottenere l’esatto ademp imento, è infondata, solo che si consideri che, come è pacifico, per le 38 ore contrattualmente previste, la controprestazione è regolarmente avvenuta.
Il problema potrebbe spostarsi dall’ambito del rapporto prestazione/controprestazione a quello, diverso, del mancato riposo nei periodi che hanno erroneamente concorso al raggiungimento
della suddetta soglia oraria: in altre parole, per periodi che non erano necessari alla prestazione dei medici – intesa come insieme di debito orario e di risultati – che, dunque, potevano riposare e non lo hanno fatto, perché la ASL ha imposto erroneamente il lavoro al fine di raggiungere la soglia oraria minima di cui al CCNL.
3.6) Tuttavia, la domanda proposta è quella di esatto adempimento e tale domanda non può condurre a ottenere nulla più che l’esatto adempimento della prestazione dovuta, ossia il pagamento della retribuzione mensile stabilita dalla contrattazione collettiva e, nella specie, pacificamente corrisposta.
Nella prospettazione del dirigente medico non si rinviene, invece, l’allegazione di altre circostanze di fatto – come, ad es., la mancata concessione di riposi giornalieri, settimanali o compensativi e/o l’insorgenza di situazioni di stress e usura psico -fisica legate a tempi prolungati della prestazione – che, in ipotesi, avrebbero potuto consentire al giudice del merito, nell’esercizio dei poteri di qualificazione della domanda a lui attribuiti, l’apprezzamento in ordine a diverse forme di tutela. L’ordin amento non è in sé privo di rimedi di efficacia dissuasiva, pur nella varia modulazione dei relativi regimi.
3.7) Neppure vengono in rilievo una superfluità delle ore svolte in più rispetto al raggiungimento dei risultati propri dei medici o una questione di superamento dei limiti di tollerabilità oraria del lavoro, per la quale, in termini generali, non sono esclusi la responsabilità datoriale e gli effetti dissuasivi ad essa riconnessi, rispetto ai comportamenti illeciti in tal senso, sia in relazione al superamento di specifici limiti (Cass., n. 12538 del 10 maggio 2019, con riferimento agli straordinari; in ordine ai riposi: Cass., n. 14710 del 14 luglio 2015; Cass., n. 16398 del 20 agosto 2004, con danno ritenuto in re ipsa per la corrispondente violazione), sia allorquando le prestazioni richieste o accettate dovessero risultare esorbitanti, per la misura
del lavoro e l’inadeguatezza dei mezzi predisposti, rispetto alla normalità e dovessero illegittimamente sacrificare l’integrità psico -fisica o la personalità morale dei dipendenti, in violazione dell’art. 2087 c.c., quale espressione, ora, dei corrispondenti diritti costituzionalmente garantiti alla salute (art. 32) ed alla dignità del lavoro (artt. 2 e 35).
Queste ipotesi, tuttavia, in alcun modo si identificano con l’azione qui dispiegata e finalizzata solo al pagamento delle ‘differenze retributive’ per le asserite prestazioni rese in esubero rispetto all’orario contrattuale (circostanza smentita dall’avven uto pagamento delle prestazioni corrispondenti alle 38 ore settimanali), né (tali ipotesi) potrebbero, in ogni caso, dirsi integrate dal mero svolgimento di un numero più elevato di ore di lavoro (Cass., n. 7921 del 2017, cit.).
4) Il ricorso è accolto.
La sentenza impugnata è cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa è decisa nel merito ex art. 384, comma 2, c.p.c. con il rigetto delle domande originarie della lavoratrice di condanna dell’ASL Avellino a pagare le differenze retributive, in applicazione del seguente principio di diritto:
«Il dirigente medico che eserciti un’azione di esatto adempimento non può ottenere nulla più della retribuzione mensile a lui spettante, la quale è stabilita, su base mensile e non oraria, in misura omnicomprensiva di tutte le prestazioni dal medesimo rese, senza che il suo ammontare abbia nulla a che vedere con il tempo effettivo dedicato al lavoro. In particolare, egli non ha diritto ad essere compensato per il lavoro eccedente rispetto all’orario indicato dalla contrattazione collettiva, pure se esso sia dipeso dall’erroneo criterio di calcolo adottato dall’ASL per determinare il debito orario minimo assolto; in tale evenienza, potrà eventualmente far valere la responsabilità datoriale a titolo risarcitorio, ove abbia patito un pregiudizio concreto alla salute, alla personalità morale o al riposo,
che dovrà specificamente allegare e provare, anche attraverso presunzioni semplici».
Per la novità e peculiarità della questione, oggetto, peraltro, di giudizi con alterni esiti dinanzi ai giudici del merito, si stima equo compensare interamente le spese dell’intero processo.
P.Q.M.
La Corte,
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda originaria della lavoratrice di condanna dell’ASL Avellino a pagare le differenze retributive;
-compensa le spese di lite dell’intero processo. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione