Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1220 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1220 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 11/01/2024
La Corte di Appello di Bologna ha rigettato il gravame proposto dall’Azienda USL di Bologna avverso la sentenza del Tribunale della stessa città, che aveva accolto il ricorso dei dirigenti non medici indicati in epigrafe, condannandola al pagamento delle differenze rivendicate sulla retribuzione di risultato, conseguenti alla quantificazione del relativo fondo, asseritamente errata.
La Corte territoriale ha preliminarmente respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione ed ha ritenuto che ai fini della quantificazione del fondo non potessero rilevare gli accordi decentrati, atteso che si era in presenza di diritti soggettivi perfetti non suscettibili di affievolimento e venivano in discussione atti successivi alla contrattualizzazione dei rapporti di lavoro.
Per quanto attiene alle modalità di costituzione del fondo ha rinviato ad un proprio precedente, confermato da Cass. n. 18462/2012, ed ha ritenuto che la locuzione ‘quote storiche spettanti’ contenuta nell’art. 61 del CCNL del 1996 si riferisca al c.d. fondo virtuale, e non già a quello concretamente erogato.
Avverso tale sentenza l’Azienda USL di Bologna ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria, cui hanno resistito i dirigenti indicati in epigrafe con controricorso, anch’esso illustrato da memoria.
DIRITTO
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 360 n. 1 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale ritenuto la giurisdizione del giudice ordinario in relazione alle pretese antecedenti al 30 giugno 1998.
Il motivo è infondato.
In via preliminare va rilevato che il Collegio è delegato a trattare la questione di giurisdizione – posta dal primo motivo del ricorso principale – in virtù del decreto del Primo Presidente in data 10 settembre 2018, in quanto essa rientra, nell’ambito delle materie di competenza della Sezione lavoro, tra le questioni indicate nel richiamato decreto sulle quali si è consolidata la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte.
Ciò premesso, è consolidato nella giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte l’orientamento secondo cui in tema di pubblico impiego contrattualizzato la sopravvivenza della giurisdizione del giudice amministrativo, regolata dall’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, nelle intenzioni del legislatore costituisce ipotesi assolutamente eccezionale sicché, per evitare il frazionamento della tutela giurisdizionale, quando il lavoratore deduce un inadempimento unitario dell’Amministrazione, la protrazione della fattispecie oltre il discrimine temporale del 30 giugno 1998 radica la giurisdizione presso il giudice ordinario anche per il periodo anteriore a tale data, non essendo ammissibile che sul medesimo rapporto abbiano a pronunciarsi due giudici diversi, con possibilità di differenti risposte ad una stessa istanza di giustizia (Cass. S.U. sentenza n. 7305/2017).
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 41 d. lgs. n. 104/2010, e dell’art. 21 legge n.1034/71.
Sostiene che il ricorso avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile per intervenuta decadenza dall’impugnazione della delibera di Giunta Regionale n. 1039 del 1991.
Evidenzia che tale atto si colloca a monte rispetto ai provvedimenti dell’Azienda USL di Bologna e non costituisce un atto gestorio del rapporto di lavoro, ma un atto di macro-organizzazione adottato dalla Regione.
Il motivo è infondato.
Questa Corte ha infatti chiarito che il potere del giudice ordinario di disapplicare l’atto amministrativo resta escluso soltanto se la sua legittimità sia stata affermata dal giudice amministrativo nel contraddittorio della parte e con autorità di giudicato, non anche nel caso in cui l’atto non sia stato tempestivamente impugnato dinanzi al giudice amministrativo, concernendo l’istituto della inoppugnabilità la tutela degli interessi legittimi e non quella dei diritti soggettivi (Cass. n. 3390/2007).
Orbene, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, la posizione giuridica fatta valere dai dirigenti sanitari e volta ad ottenere la corretta determinazione della retribuzione di risultato e la corresponsione delle differenze di retribuzione, è di diritto soggettivo (Cass. S.U. n. 14829/2011, richiamata da Cass. n. 16163/2021, resa in una fattispecie analoga; negli stessi termini più di recente Cass. S.U. n. 33365/2022).
5. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art.47, comma 4, d. lgs. n.165/2001, dell’accordo di interpretazione autentica sottoscritto il 7 dicembre 2001 sull’art.61, comma 2, lett.a) del CCNL per la dirigenza sanitaria, professionale, tecnica e amministrativa del 5.12.1996, nonché la violazione dell’art.61, comma 2, lett.a) del CCNL parte normativa 1994-1997 per la dirigenza sanitaria, professionale, tecnica e amministrativa del 5.12.1996, per come richiamato dall’art.52 del CCNL del 8.6.2000 CCNL parte normativa 19982001, l’omessa applicazione dell’art.5 della l. n. 407/1990 e dell’art.2 del d.l. n.332/1992 e dell’art.47 del d.l. n. 384/1992.
Addebita alla Corte territoriale di non avere tenuto conto dell’accordo regionale che aveva quantificato i fondi e di avere valorizzato il «fondo virtuale» anziché quello reale, non avendo ritenuto applicabili l’art. 5 della legge n. 407/1990, l’art. 2 del d.l. n. 333/1992 e l’art. 7 de d.l. n. 384/1992.
6. Il motivo è fondato.
Va innanzitutto evidenziato che le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 30222/2017 hanno espresso il principio di diritto secondo cui «’per quote storiche spettanti’ di cui all’art. 61, comma 2, CCNL 1994/97 relativo alla dirigenza sanitaria, professionale, tecnica ed amministrativa del SSNN del
5.12.1996 si intendono quelle determinate secondo quanto previsto dal D.P.R. n. 384/1990 sulla base del valore unitario del plus orario determinato ex art. 61 comma settimo, moltiplicato per il numero massimo delle ore di plus orario consentito (ex art. 61 comma secondo) e per le unità di personale impegnato nell’attività incentivata: la riduzione del 30% prevista dall’art. 8 L. 1993 si deve applicare una volta determinata la quota massima spendibile ricostruita alla luce dei criteri prima indicati»; hanno dunque superato l’orientamento espresso da Cass. n. 24248/2007, Cass. n. 3304/2012 e Cass. n. 18463/2012, secondo cui le parti collettive avrebbero inteso riferirsi al fondo cosiddetto ‘virtuale’, ossia quantificato ai sensi degli artt. 57 e 58 del d.p.r. n. 384 del 1990, a prescindere dai limiti massimi di plus orario e dal numero dei dirigenti in servizio nell’anno di riferimento.
La successiva ordinanza n. 3134/2019 di questa Corte ha poi circoscritto la valenza degli accordi regionali volti alla rideterminazione del Fondo per la retribuzione di risultato precisando che: a) occorre limitare l’applicazione degli accordi regionali sino al 30 giugno 1997 e soltanto ai dirigenti sanitari ancora governati dal vecchio regime dell’incentivazione al plus orario ; b) oltre i suddetti limiti temporali e soggettivi occorre applicare la pertinente normativa statale sulla retribuzione di risultato facendo riferimento alla ‘quota massima spendibile’, determinata secondo i criteri stabiliti dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 30222 del 2017.
Tali principi sono stati rimeditati dalla sentenza di questa Corte n. 9319 del 2021, la quale, dopo un’attenta ricostruzione della disciplina dei fondi di produttività, sul rilievo fondamentale che il nuovo fondo per la retribuzione di risultato è determinato in un importo pari alla somma dei precedenti fondi di produttività, ha in sintesi evidenziato che dalla norma di interpretazione autentica risulta che le ‘quote storiche’ non fanno riferimento a quanto ‘speso’ dalle Aziende nell’anno 1993 e che la ‘quota storica’ dell’ex gruppo B non deve essere determinata in misura astratta, ma secondo il criterio del ‘massimo spendibile’, come risulta dalla pronuncia delle Sezioni Unite, restando aperta la diversa questione della rilevanza degli accordi regionali intervenuti, negli anni 1990/1993, a ridurre l’importo del fondo.
Con specifico riferimento all’incidenza degli accordi regionali ha rilevato che la norma contrattuale utilizza la espressione ‘quote storiche’, definite dall’accordo di interpretazione autentica del 12 luglio 2001 come quote «originariamente determinate ai sensi degli articoli 57 e seguenti del DPR 384/1990, applicati immediatamente prima del passaggio al nuovo sistema della retribuzione di risultato», con tecnica regolativa già utilizzata dalle leggi intervenute a contenere l’importo dei fondi dopo il d.P.R. n. 384 del 1990 (art. 2, comma 3, del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, conv. con modif. dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, nonché art. 8, comma 3, della legge 24 dicembre 1993, n. 537), assumendo come riferimento il monte in precedenza ‘stanziato’ in ciascuna azienda nell’anno 1991 ai fini del pagamento dell’emolumento.
Ha inoltre rimarcato che con la medesima tecnica il c.c.n.l. 1994/1997 ha inteso fare riferimento a quanto assegnato a ciascun gruppo di personale sotto il profilo ‘storico’ e, dunque, anche in attuazione degli accordi regionali vigenti in ciascuna azienda prima della applicazione dell’art. 61, mentre una diversa interpretazione comporterebbe che, in applicazione dell’art. 61 del c.c.n.l. 1994/1997, si dovrebbe procedere, ora per allora, ad un nuovo calcolo delle somme da destinare ai fondi di cui agli artt. 57 e ss. del d.P.R. n. 384 del 1990, con recupero ex post delle economie sino ad allora realizzate (effetto che è stato escluso dalle parti collettive appunto con il prevedere il riferimento alle quote ‘storiche’).
Ha, poi, valorizzato l’interpretazione autentica da cui risulta, in premessa, il riferimento delle parti collettive «all’accordo decentrato ed alle clausole ivi previste, vigente nell’azienda immediatamente prima dell’applicazione dell’articolo 61 del CCNL»; evidenziando il dato testuale del dispositivo, secondo cui le quote storiche spettanti sono le quote «originariamente determinate ai sensi degli articoli 57 e seguenti DPR 384/1990, applicati prima del passaggio al nuovo sistema della retribuzione di risultato»; ha pertanto ritenuto che il riferimento è dunque all’applicazione degli artt. 57 e ss. del d.P.R. n. 384 del 1990 avvenuta immediatamente prima del passaggio al nuovo sistema.
Ha dunque affermato il seguente principio di diritto: «Con riferimento alla formazione del fondo per la retribuzione di risultato, di cui all’articolo 61, comma
due, lettera a) CCNL dell’area della dirigenza sanitaria, tecnica, professionale, amministrativa del Comparto Sanità, per quote storiche spettanti a ciascun ruolo si intendono quelle determinate sulla base degli accordi regionali vigenti in ciascuna azienda immediatamente prima dell’applicazione del suddetto articolo 61».
Questa Corte ha dato continuità a tale principio con la sentenza n. 18379/2023, evidenziando che nella richiamata decisione delle Sezioni Unite non è stata affrontata la specifica questione della rilevanza degli accordi regionali (come correttamente evidenziato nella citata pronuncia n. 9319 del 2021 e come emerge dal quesito sottoposto al Supremo Consesso, chiamato a dirimere il differente aspetto della perimetrazione del fondo alla quota ‘spendibile’, in luogo di ‘virtuale’), e che non era dunque prospettabile il censurato contrasto con il principio di diritto stabilito dalle Sezioni Unite.
E’ stata inoltre esclusa la violazione dell’art. 61 del c.c.n.l. secondo l’accordo di interpretazione autentica; si è in particolare evidenziato quanto annotato nella pronuncia n. 9319 del 2021: «A volere attribuire rilevanza all’accordo di interpretazione autentica, esso deporrebbe, anzi, in senso opposto. Nella premessa, infatti, detto accordo fa salve le pattuizioni decentrate nel frattempo intervenute, nei seguenti termini: ‘che, pertanto, le parti ritengono che nel ricorso in atto si debba fare soprattutto riferimento all’accordo decentrato ed alle clausole ivi previste, vigente nell’azienda immediatamente prima dell’applicazione dell’art. 61 del CCNL’», e si è pertanto ritenuto che le parti sociali abbiano piuttosto inteso richiamare la valenza degli accordi decentrati vigenti prima del nuovo sistema.
E’ stata parimenti esclusa la violazione dell’esclusiva competenza dei contratti collettivi nazionali di lavoro (e conseguente inapplicabilità degli accordi regionali), sul rilievo (pure espresso nella decisione cui si intende dare continuità) che trattasi di contrattazione decentrata che non riguardava i dirigenti già passati al regime della retribuzione di risultato – né si era svolta in epoca successiva al 30 giugno 1997- ma che era intervenuta nel regime pubblicistico, in epoca anteriore al c.c.n.l. 1994/1997, cui occorre tenere conto
per determinare i fondi per l’anno 1993 ai sensi del d.P.R. n. 384 del 1990, ai quali rinvia l’art. 61, comma 2, lett. a), del c.c.n.l. 1994/1997.
Si è pertanto rilevato che l’interpretazione già espressa da questa Corte nella sentenza n. 9319 del 2021 in ordine alla rilevanza degli accordi regionali vigenti in ciascuna azienda immediatamente prima dell’applicazione dell’art. 61 in commento non si pone in contrasto con l’accordo di interpretazione autentica, ma risulta anzi avallata dalla lettera del citato accordo e pienamente in linea con il precedente di questa Corte a Sezioni Unite nella parte in cui si è inteso ribadire, sul piano letterale oltre che logico, l’opzione ermeneutica per cui «le parti sociali fossero ben consapevoli che il passaggio ad un diverso criterio di valorizzazione della produttività, anche per i dirigenti non medici, non avrebbe comportato un aggravio di spesa poiché il nuovo fondo si sarebbe determinato in base alle quote storiche a loro volta determinate nel rispetto dei limiti e dei massimali previsti».
Si è dunque ritenuto che l’uso della locuzione ‘quote storiche spettanti’ siccome ‘originariamente determinate’ ai sensi degli artt. 57 e seguenti del d.P.R. n. 384 del 1990, applicati immediatamente prima del passaggio al nuovo sistema della retribuzione di risultato, e il richiamo alla decurtazione di cui alla legge n. 537 del 1993, confortano l’assunto che le parti sociali intendevano perseguire l’obiettivo fondamentale della riduzione dell’impatto economico della promozione della produttività della dirigenza sanitaria, a ciò conseguendo che il fondamentale obiettivo del contenimento della spesa pubblica per il personale corrobora ulteriormente l’interpretazione che attribuisce rilievo agli accordi regionali intervenuti immediatamente prima dell’attuazione della riforma, per rispettare i tetti previsti nella determinazione delle quote storiche e assicurare le necessarie coperture di spesa.
La sentenza impugnata, che ha valorizzato il fondo virtuale, non ha tenuto in alcun conto l’accordo regionale che aveva quantificato i fondi e non ha ritenuto applicabili l’art. 5 della legge n. 407/1990, l’art. 2 del d.l. n. 333/1992 e l’art. 7 del d.l. n. 384/1992, non si è attenuta ai principi enunciati dalle pronunce sopra richiamate e qui ribaditi e va, pertanto, cassata sul punto.
In conclusione, deve essere accolto il terzo motivo e vanno rigettati gli altri motivi; la sentenza impugnata va dunque cassata in relazione al motivo accolto,
con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame, attenendosi a quanto sopra enunciato e provvedendo anche al regolamento delle spese del giudizio di cassazione.
Non sussistono le condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, ai fini del raddoppio del contributo unificato.
PQM
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso e rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Bologna in diversa composizione.
Così deciso nella Adunanza camerale del 7 dicembre 2023.