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Retribuzione di risultato e vincoli di bilancio P.A.

La Corte di Cassazione interviene sul tema della retribuzione di risultato nel pubblico impiego. Un dirigente universitario aveva citato in giudizio l’Ateneo per la riduzione della sua retribuzione accessoria a seguito dell’aumento del numero di dirigenti a parità di fondi. La Suprema Corte ha stabilito che la retribuzione di risultato non è un diritto automatico, ma è subordinata a una valutazione positiva degli obiettivi e soggetta ai vincoli di bilancio dell’ente. Di conseguenza, la riduzione della quota individuale di retribuzione variabile di posizione è legittima se il fondo complessivo rimane invariato per legge e il numero di beneficiari aumenta. La richiesta di pagamento per annualità future è stata respinta.

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Pubblicato il 2 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Retribuzione di Risultato: La Cassazione sui Limiti per i Dirigenti Pubblici

La retribuzione di risultato nel pubblico impiego non è un diritto acquisito e automatico, ma una componente salariale strettamente condizionata al raggiungimento di obiettivi e ai vincoli di bilancio imposti dalla legge. Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha delineato con chiarezza i paletti che regolano l’erogazione di questo emolumento, offrendo importanti spunti di riflessione per tutti i dirigenti del settore pubblico.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine dal ricorso di un dirigente di seconda fascia di un’Università statale. Il dirigente lamentava un taglio illegittimo del suo trattamento economico accessorio, in particolare della retribuzione di posizione (parte variabile) e della retribuzione di risultato. La causa scatenante era stata un incremento della dotazione organica dei dirigenti dell’Ateneo, avvenuto senza un contestuale e proporzionale aumento del fondo destinato a finanziare le retribuzioni accessorie. Di conseguenza, l’amministrazione aveva ridotto la quota individuale spettante a ciascun dirigente per far quadrare i conti.

La Decisione dei Giudici di Merito

In primo grado, il Tribunale aveva dato ragione al dirigente, condannando l’Università al pagamento delle differenze retributive maturate. La Corte d’Appello, successivamente, aveva non solo confermato la decisione, ma l’aveva estesa anche agli anni futuri, ritenendo illegittima la sospensione e la riduzione unilaterale della retribuzione da parte dell’ente. L’Ateneo, sostenendo la legittimità del suo operato alla luce dei vincoli di bilancio imposti dalla normativa nazionale (in particolare dal D.Lgs. 75/2017), ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

L’Analisi della Cassazione sulla Retribuzione di Risultato

La Suprema Corte ha ribaltato la decisione della Corte d’Appello, accogliendo i motivi del ricorso dell’Università. I giudici hanno chiarito un principio fondamentale: la retribuzione di risultato non è una componente fissa e garantita dello stipendio. La sua erogazione è subordinata a una precisa procedura che prevede:
1. La fissazione annuale di obiettivi specifici da parte dell’amministrazione.
2. Una successiva verifica e valutazione positiva del grado di raggiungimento di tali obiettivi da parte del dirigente.

Estendere automaticamente il diritto a percepire la retribuzione di risultato per gli anni futuri, come aveva fatto la Corte d’Appello, è stato ritenuto un errore. Tale diritto non può essere presunto, ma deve essere accertato anno per anno. In assenza di questo processo di valutazione, il dirigente non può reclamare direttamente il pagamento, ma potrebbe, al massimo, agire per il risarcimento del danno da “perdita di chance”, dimostrando che l’inerzia dell’amministrazione gli ha impedito di conseguire un risultato economico altrimenti probabile.

Retribuzione di Posizione e Vincoli di Bilancio

Anche riguardo alla retribuzione di posizione (parte variabile), la Cassazione ha dato ragione all’Ateneo. Il D.Lgs. 75/2017 ha imposto alle pubbliche amministrazioni un tetto di spesa per il trattamento accessorio del personale, ancorandolo all’importo erogato nel 2016. Questo vincolo normativo prevale sulla contrattazione collettiva.

Se l’amministrazione, nell’esercizio della sua discrezionalità organizzativa, decide di aumentare il numero di dirigenti ma il fondo per la loro retribuzione accessoria rimane bloccato per legge, è inevitabile e del tutto legittimo che la quota individuale di retribuzione variabile di posizione venga ridotta. Si tratta di una semplice operazione matematica: la stessa torta deve essere divisa in più fette, che risulteranno necessariamente più piccole.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sulla base di due pilastri giuridici. Il primo è la natura condizionale e non automatica della retribuzione di risultato. Essa non remunera la semplice funzione dirigenziale, ma la qualità della prestazione e il conseguimento di specifici target di produttività. Pertanto, senza la procedura di fissazione e valutazione degli obiettivi, il diritto al pagamento non sorge.

Il secondo pilastro è il principio della prevalenza dei vincoli di finanza pubblica. La normativa che impone un tetto alla spesa per il personale (lo ius superveniens rappresentato dal D.Lgs. 75/2017) agisce come un limite invalicabile per l’autonomia della contrattazione collettiva e per le pretese individuali. L’incremento dell’organico è una scelta organizzativa dell’ente che, in presenza di un fondo vincolato, produce l’effetto legittimo di redistribuire le risorse disponibili su un numero maggiore di persone, con conseguente riduzione pro-quota.

Le Conclusioni

La sentenza stabilisce con fermezza che i dirigenti pubblici non possono considerare la retribuzione di risultato una componente scontata del loro stipendio, specialmente per le annualità future. Il suo riconoscimento è legato a un processo valutativo che deve essere espletato ogni anno. Inoltre, i vincoli di bilancio imposti per legge alle amministrazioni pubbliche sono un fattore determinante che può legittimamente portare a una riduzione delle componenti accessorie della retribuzione, come la parte variabile della retribuzione di posizione, qualora aumenti il numero dei dipendenti a parità di risorse disponibili.

La retribuzione di risultato è un diritto automatico per un dirigente pubblico?
No, la Corte di Cassazione chiarisce che non è un diritto automatico. La sua erogazione è condizionata alla previa fissazione di obiettivi specifici e a una successiva verifica positiva del loro raggiungimento. Non può essere presunta per le annualità future.

Un’amministrazione pubblica può ridurre la retribuzione di posizione variabile di un dirigente se assume nuovo personale?
Sì, può farlo legittimamente se il fondo complessivo destinato alla retribuzione accessoria è bloccato da un vincolo di legge (come quello che lo fissa ai livelli del 2016). In questo caso, l’aumento del numero di dirigenti comporta inevitabilmente una riduzione della quota individuale per ciascuno.

Cosa può fare un dirigente se l’amministrazione non avvia la procedura per valutare i suoi risultati?
Secondo la sentenza, il dirigente non può chiedere direttamente il pagamento della retribuzione di risultato. L’unica azione esperibile sarebbe quella per il risarcimento del danno da “perdita di chance”, dimostrando che l’inadempimento dell’amministrazione (cioè la mancata valutazione) gli ha precluso la concreta possibilità di ottenere un vantaggio economico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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