Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 16932 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 16932 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/06/2025
SENTENZA
sul ricorso 15167-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE SASSARI, in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 140/2023 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI SEZIONE DISTACATA DI SASSARI, depositata il 18/12/2023 R.G.N. 125/2020;
Oggetto
Altre ipotesi pubblico impiego
R.G.N. 15167/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 06/05/2025
PU
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/05/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, dirigente di seconda fascia in servizio a tempo indeterminato presso l’Università degli Studi di Sassari, agiva in giudizio lamentando che l’incremento – programmato nel 2015 e poi realizzato – della dotazione organica dirigenziale dell’Ateneo, senza simultaneo adeguamento del fondo per la retribuzione di posizione e di risultato del personale dirigente, aveva comportato, a partire dal 13 febbraio 2018, un ‘taglio’ illegittimo del suo trattamento economico accessorio (i.e., retribuzione di posizione parte variabile); aggiungeva che non gli era stata corrisposta la retribuzione di risultato dell’anno 2017; chiedeva, pertanto, l’accertamento del suo diritto al trattamento accessorio rivendicato, anche per i ratei successivi maturati, se del caso a titolo di risarcimento per lesione extracontrattuale del proprio diritto di credito retributivo.
Il Tribunale accoglieva il ricorso accertando il diritto del ricorrente a percepire:
la retribuzione di risultato maturata per l’anno 2017 nella misura di 6.431,67 euro nonché ii) la retribuzione di posizione, parte variabile, maturata per l’anno 2018 e non corrisposta dal febbraio di quell’anno, pari a 15.002,13 euro, fino al 12 ottobre 2018, oltre ai ratei maturati nei successivi mesi del 2018, il tutto con ogni conseguente statuizione condannatoria.
La sentenza era impugnata dallo stesso NOME COGNOME che ne deduceva l’erroneità per l’ingiustificata limitazione della condanna dell’Ateneo al pagamento delle differenze per retribuzione di posizione, parte variabile, maturate solo fino alla fine del 2018 e al pagamento della sola retribuzione di risultato maturata per l’anno 2017, senza considerare anche il periodo successivo del rapporto destinato a durare nel tempo.
La sentenza era impugnata – in via incidentale – anche dall’Ateneo, il quale sosteneva che il rispetto dei vincoli di bilancio previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione si poneva quale limite alla contrattazione decentrata; osservava che l’Ateneo aveva ripristinato in data 30.11.2018 e per l’annualità 2018, sia pur riducendone l’ammontare alla somma di €. 7.139,00, la retribuzione di posizione (parte variabile), donde l’erroneità della sentenza impugnata laddove non aveva dichiarato cessata la materia del contendere.
La Corte d’appello di Cagliari-Sassari accoglieva l’appello principale del dirigente e respingeva quello incidentale dell’Ateneo; rilevava che l’incremento della dotazione organica dei dirigenti avrebbe imposto all’amministrazione (art. 62 co. 7 CCNL del Personale dell’Area VII della dirigenza Università 2002/2005) di (ri)valutare le risorse necessarie per sostenere i relativi (maggiori) oneri e di adeguare conseguentemente le disponibilità del fondo per la retribuzione di posizione e risultato: l’inadempimento a tale puntuale obbligo incideva illegittimamente sulla posizione retributiva del singolo dirigente, e, dunque, in una materia rientrante nelle esclusive attribuzioni della contrattazione collettiva, e ciò avveniva tramite l’adozione, in via autoritativa, dell’illegittimo D.G. n. 656/2018 di ‘sospensione’ della retribuzione di posizione, parte variabile, a decorrere dal 1.1.2018 al fine di consentire il pagamento della retribuzione di posizione, parte
fissa, ai neoassunti dirigenti; quanto alla retribuzione di risultato riconosciuta per l’anno 2017, non si rinveniva nell’appello incidentale dell’Ateneo uno specifico motivo di impugnazione, mentre la domanda al pagamento della retribuzione di risultato per gli anni successivi al 2018 poteva bensì essere accolta.
Ciò posto, la Corte d’appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, confermata nel resto, accertava il diritto del dirigente a percepire: i) la retribuzione di risultato maturata nel 2018 nella misura annuale di euro 6.431,70 «oltre i ratei successivi fino alla cessazione del rapporto o fino alla modifica del contratto» nonché ii) la retribuzione di posizione, parte variabile, maturata dal 1° gennaio 2019 nella misura riconosciuta dalla sentenza appellata, «oltre ai ratei successivi fino alla cessazione del rapporto o alla modifica del contratto».
Contro tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Ateneo sulla base di tre motivi, cui resiste con controricorso NOME COGNOME
La Procura Generale ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 26 CCNL personale dell’area VII della dirigenza università e istituzioni, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.; parte ricorrente rappresenta che il diritto del personale dirigente alla erogazione della retribuzione di risultato è subordinato, ai sensi dell’art. 26 CCNL 2006/2009 e (analogamente) dell’art. 50 del successivo CCNL 2016/2018, al conseguimento di una verifica positiva dei risultati di gestione del dirigente, ma la Corte d’appello ha sostanzialmente riconosciuto al COGNOME tale diritto tout court .
1.1 Il primo motivo è fondato nei soli limiti di cui appresso.
La Corte territoriale ha statuito (p. 22 sentenza) che «benché l’appellata amministrazione abbia concluso per la riforma integrale della sentenza di primo grado anche nella parte relativa alla retribuzione di risultato per il 2017, quest’ultima non ha formato oggetto di specifico e puntuale motivo di impugnazione relativamente alla retribuzione variabile di risultato, il cui importo deve pertanto essere confermato»: in riferimento a tale affermazione, in punto di diritto, il motivo di ricorso per cassazione appare difettare dei necessari requisiti della specificità e dell’autosufficienza (art. 366 n. 6 c.p.c.), non prendendo posizione a riguardo e non dando conto dell’erronea valutazione (da parte della Corte di merito) dei requisiti di specificità dell’appello incidentale dell’Ateneo.
Senonché, laddove i giudici di secondo grado hanno esteso automaticamente la pronuncia di accertamento (e condanna) anche alla spettanza della retribuzione di risultato, parte variabile, per le annualità successive al 2017, così accogliendo sul punto l’appello principale, la decisione non si sottrae alle censure formulate dall’Ateneo.
Anzitutto, perché sembra muovere dall’idea, errata, dell’irriducibilità di tale retribuzione: in realtà, l’indennità di risultato non costituisce una componente fissa del trattamento retributivo fondamentale ed è sottratta all’applicazione del principio di irriducibilità della retribuzione (Cass. n. 5746/2024), essendo condizionata dalla scelta degli obiettivi ad opera della P.A. e alla verifica della loro realizzazione da parte del dipendente (in tema di indennità per specifiche responsabilità, prevista dal CCNL per il personale del comparto degli enti locali, cfr. Cass., Sez. 6-L, n. 30344 del 14 ottobre 2022).
In ogni caso, tale indennità suppone l’accertamento del raggiungimento degli obiettivi: in difetto di positivo riscontro della performance di gestione del dirigente, la retribuzione di risultato non può essere erogata, se non sotto forma di ristoro del danno da perdita di chance laddove la verifica datoriale sia mancata per fatto e colpa della stessa amministrazione.
La Corte d’appello, nell’affermare la debenza della retribuzione di risultato anche per il futuro, si è discostata dall’orientamento consolidato espresso da questa Corte (da ultimo: Cass. n. 33507/2024 e Cass. n. 19792/2024) secondo cui la retribuzione di risultato, non correlata al solo svolgimento della funzione dirigenziale, presuppone l’instaurazione di una procedura che richiede la previa fissazione di specifici obiettivi e la successiva verifica del relativo grado di realizzazione, essendo finalizzata a remunerare la qualità delle prestazioni e gli obiettivi conseguiti, e riguardando l’apporto del dirigente in termini di produttività o redditività della sua prestazione (v. Cass. n. 10969/2015; Cass. n. 14638/2016); la determinazione dell’indennità di risultato è, dunque, affidata alle procedure stabilite dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
Si è in particolare chiarito che, al pari della retribuzione di posizione, la retribuzione di risultato non costituisce una voce automatica ma resta subordinata, per ciascun dirigente, a specifiche determinazioni annuali, volte a vagliare la presenza in concreto dei relativi presupposti, e da effettuarsi solo a seguito della definizione, parimenti annuale, degli obiettivi e delle valutazioni degli organi di controllo interno, oltre che al rispetto dei limiti delle risorse disponibili e della capacità di spesa dell’Amministrazione interessata (Cass. n. 21166/2019; Cass. n. 20065/2016; Cass. n. 5679/2022 e Cass. n. 14672/2022); ed è
stata di conseguenza ritenuta fondata l’azione di ripetizione di indebito in caso di liquidazione della retribuzione di risultato in assenza delle condizioni richieste dalla contrattazione collettiva (cfr. Cass. n. 11645/2021).
In conclusione, non risultando che nella fattispecie il COGNOME avesse domandato il risarcimento del danno per inadempimento contrattuale (nelle conclusioni riportate a p. 2 sentenza impugnata si parla di una richiesta di affermazione di ‘responsabilità extracontrattuale’) ed esperito, quindi, l’unica azione con la quale può essere fatto valere dal dirigente (sotto forma di perdita di chance ) l’inadempimento datoriale rispetto all’obbligo di svolgere le necessarie procedure valutative (cfr. Cass. n. 31479/2021) – peraltro qui non effettuabili in radice, trattandosi di valutazioni per annualità future e per obiettivi ancora da determinare e da conseguire – non occorre, nel cassare la pronuncia in parte qua , procedere a un rinvio per nuovo esame: dovendo qui, piuttosto, rigettarsi la domanda del dirigente diretta a ottenere la retribuzione di risultato «…per i ratei successivi fino alla cessazione del rapporto o fino alla modifica del contratto» (v. dispositivo della sentenza impugnata).
2. Con il secondo mezzo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 23, 25 e 68 del CCNL 2006/2009 per il personale dell’area VII della dirigenza università e istituzioni nonché dell’art. 23 d.lgs. 75/2017 e degli artt. 40 e 40 bis d.lgs. 165/2001, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.; l’Ateneo sostiene che dall’univoco disposto dell’art. 23 comma 1 del d.lgs. 75/2017, vigente dal 1.1.2018, che ha direttamente riguardo all’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale (« a decorrere dal 1° gennaio 2017, si desume che l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle
amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1 comma 2 del d.lgs. 30/3/2001 n. 165, e che non può superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2016»), sicché dalla indicata normativa non può evincersi alcuna ‘deroga’ o esclusione del limite per i casi in cui la necessità di integrare il fondo – destinato alla retribuzione accessoria – derivi da un incremento delle dotazioni organiche del personale; anche le previsioni della contrattazione collettiva non potevano dirsi prevalenti sui vincoli di bilancio, sicché legittimo era decretare (con decreto n. 656/2018), alla luce dello ius superveniens , la ‘sospensione’ della retribuzione di posizione parte variabile.
2.1 Il motivo è fondato.
Se l’art. 23 del d.lgs. 75/2017 impone di tenere i valori del fondo inalterati rispetto all’anno 2016 e ciò senza distinzioni di sorta e, dunque, anche se nel frattempo c’è stato un incremento dell’organico dei dirigenti, a questi ultimi non si può conseguentemente mantenere la (pregressa) retribuzione di posizione, parte variabile, e costoro non possono avere ragioni per rivendicarla a titolo di adempimento contrattuale perché tale ‘voce’ retributiva, ai sensi degli artt. 23 CCNL 2006/2009 e 59 CCNL 2002/2005, «…è definita, per ciascuna funzione dirigenziale, nell’ambito dell’85% delle risorse complessive, entro i seguenti valori annui lordi, a regime, ».
Sicché, se c’è aumento del numero di dirigenti in servizio ed il fondo resta inalterato nelle risorse disponibili ad esso assegnate, è inevitabile una riduzione dell’entità della retribuzione di posizione (parte variabile) per ciascun dirigente.
Peraltro, in linea di principio, non può dubitarsi che l’incremento dell’organico dei dirigenti (attività che rientra nelle scelte discrezionali di macro-organizzazione dell’ente) e la connessa
riorganizzazione dell’assetto amministrativo può anche impattare sulle singole responsabilità gestionali degli altri dirigenti già in servizio e (dunque) potenzialmente influire sulla graduazione delle funzioni e la pesatura degli incarichi (ex art. 24-40 d.lgs. n. 165/2001 e 58-59 CCNL 2002/2005), con possibili riflessi sulla parte variabile della stessa retribuzione di posizione la cui sospensione (temporanea) dell’erogazione potrebbe bensì essere funzionale.
Altro discorso sarebbe il risarcimento del danno da perdita di chance , laddove si sostenesse che l’amministrazione, nel programmare dal 2015 l’aumento dell’organico avrebbe dovuto tempestivamente attivarsi per adeguare le risorse del fondo dedicato; domanda risarcitoria qui, però, non formulata essendo stata la domanda nella specie limitata a una incongrua richiesta di riconoscimento di responsabilità extracontrattuale (v. supra § 1.1).
3. Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 23, 25 e 26 CCNL personale dell’area VII della dirigenza università e istituzioni in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.; parte ricorrente censura la sentenza per non avere la Corte d’appello adeguatamente considerato che la ‘sospensione’ della retribuzione di posizione, parte variabile, per l’anno 2018, contro la quale era insorto il COGNOME, risultava superata dal successivo provvedimento del 30.11.2018 con il quale l’Amministrazione aveva disposto, sempre per l’anno 2018, il pagamento dell’emolumento in contestazione, ancorché in misura più ridotta: non poteva il dirigente pretendere l’attribuzione di una retribuzione di posizione, parte variabile, nella (superiore) misura riconosciuta negli anni precedenti; in ogni caso, la domanda era circoscritta all’anno 2018 e sarebbe stata infondata una (ulteriore) domanda di quantificare per il futuro la retribuzione di posizione, la quale dipende dall’ammontare del fondo e dalla pesatura dell’incarico che può variare nel tempo.
3.1 Il terzo motivo resta assorbito a seguito dell’accoglimento del secondo (invero, si è chiarito che non spetta a titolo di adempimento contrattuale, e nella misura già erogata in precedenza, la retribuzione di posizione parte variabile).
4. In conclusione, dev’essere accolto il primo motivo, seppure solo in parte (i.e., limitatamente alle annualità di retribuzione di risultato successive a quella del 2017: quest’ultima essendo stata riconosciuta in primo grado con dictum che, secondo il giudice d’appello, è stato solo genericamente censurato) e il secondo, attinente alla retribuzione di posizione, parte variabile, non spettante, mentre va dichiarato l’assorbimento del terzo per le ragioni suesposte.
La sentenza impugnata deve essere conseguentemente cassata nei limiti delle censure accolte e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa direttamente nel merito, con rigetto delle domande di pagamento della retribuzione di risultato per le annualità successive al 2017 nonché di quelle di pagamento della retribuzione di posizione, parte variabile, ferma nel resto la sentenza impugnata (con riferimento al riconoscimento della retribuzione di risultato del 2017).
Stante l’accoglimento solo parziale della domanda e la novità della questione dibattuta in giudizio, si ravvisano ragioni per compensare le spese dell’intero processo.
P.Q.M.
La Corte: accoglie il primo motivo in parte (limitatamente alle annualità di retribuzione di risultato successive a quella del 2017) e il secondo, dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata nei limiti delle censure accolte e, decidendo nel merito, rigetta le domande di pagamento della retribuzione di risultato per le annualità successive al 2017 nonché quelle di pagamento della
retribuzione di posizione, parte variabile, ferma nel resto la sentenza impugnata; compensa le spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di