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Retribuzione di posizione: no senza qualifica formale

Un ex dipendente di un ente esterno, impiegato presso un’Amministrazione Regionale con contratti a termine, ha richiesto la parte fissa della retribuzione di posizione prevista per i dirigenti. La Corte di Cassazione ha respinto la domanda, stabilendo che l’equiparazione economica prevista dalla legge non conferisce la qualifica formale di dirigente, requisito indispensabile per ottenere tale indennità, la quale è strettamente legata a una nomina formale e all’assunzione delle relative responsabilità.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Retribuzione di Posizione: La Nomina Formale è Indispensabile

L’equiparazione economica non equivale a un inquadramento formale. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha chiarito un punto cruciale nel diritto del pubblico impiego: il diritto a percepire la retribuzione di posizione è indissolubilmente legato alla qualifica formale di dirigente e non può derivare da una mera parificazione del trattamento economico. Questa pronuncia offre spunti fondamentali per comprendere la distinzione tra status giuridico e trattamento economico nel rapporto di lavoro con la Pubblica Amministrazione.

I Fatti del Caso: La Richiesta del Lavoratore

Il caso ha origine dalla domanda di un lavoratore, ex dipendente di un ente esterno, transitato in utilizzazione presso un Dipartimento di un’Amministrazione Regionale tramite contratti a tempo determinato. Il lavoratore chiedeva il riconoscimento del suo diritto a percepire la parte fissa della retribuzione di posizione, un emolumento previsto dalla contrattazione collettiva per i dirigenti regionali, a partire dal 1° gennaio 2006.

La sua richiesta si basava su una legge regionale (art. 48 L.R. Sicilia n. 21/2001) che aveva disposto un’integrazione economica per il personale come lui, al fine di rendere omogeneo il trattamento retributivo con quello dei dipendenti regionali a parità di qualifica e anzianità. In primo grado, il Tribunale aveva accolto la sua richiesta. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione, respingendo la domanda. Il lavoratore ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte e la questione sulla retribuzione di posizione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del lavoratore, confermando la sentenza della Corte d’Appello. Il fulcro della decisione risiede nel principio di diritto, già affermato in un precedente del 2024, secondo cui l’indennità di posizione, nella sua componente fissa, non spetta in assenza di un atto formale di nomina a dirigente.

La Corte ha specificato che l’erogazione di tale indennità presuppone non solo il possesso della qualifica formale, ma anche l’effettivo svolgimento dei compiti dirigenziali con l’assunzione delle correlate responsabilità. La legge regionale invocata dal ricorrente, pur prevedendo un’integrazione per equiparare il trattamento economico, non aveva l’effetto di conferire la qualifica dirigenziale, che può essere ottenuta solo attraverso specifiche procedure, come un concorso pubblico.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte Suprema ha motivato la sua decisione sottolineando una netta distinzione tra il piano del trattamento economico e quello dello status giuridico-professionale. La norma sull’equiparazione (art. 48 L.R. Sicilia n. 21/2001) mirava a corrispondere un importo pari alla differenza tra il trattamento economico previsto dal CCNL di provenienza (edili) e quello dei dipendenti regionali. Questo meccanismo di adeguamento retributivo, tuttavia, non implica un inquadramento automatico nella qualifica dirigenziale.

I giudici hanno evidenziato che la retribuzione di posizione fissa è un elemento fondamentale del trattamento economico dei dirigenti, strettamente connesso al loro inquadramento e non alla mera attribuzione di un incarico. Per avere diritto a tale emolumento, è necessario un atto formale di nomina a dirigente. Nel caso di specie, il lavoratore non solo non possedeva tale qualifica formale, ma non era neppure emerso che avesse mai assunto le responsabilità tipiche di un dirigente.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

La decisione della Cassazione rafforza un principio fondamentale del pubblico impiego: le qualifiche e gli status non possono essere attribuiti implicitamente o per effetto di mere equiparazioni economiche. L’accesso alla dirigenza pubblica e ai relativi trattamenti economici fondamentali, come la retribuzione di posizione, richiede sempre un percorso formale e trasparente, come una procedura concorsuale.

Per i lavoratori, questa sentenza chiarisce che le norme volte a parificare la retribuzione non possono essere interpretate estensivamente fino a includere elementi salariali strettamente legati a una qualifica non posseduta. Per le Pubbliche Amministrazioni, viene ribadita la necessità di una gestione rigorosa degli inquadramenti e delle nomine, evitando ambiguità che possano generare contenzioso.

Un lavoratore il cui stipendio è equiparato a quello di un dirigente ha automaticamente diritto alla retribuzione di posizione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’equiparazione del trattamento economico non comporta l’attribuzione automatica della qualifica formale di dirigente, che è un requisito indispensabile per avere diritto alla retribuzione di posizione.

Cosa è necessario per ottenere la parte fissa dell’indennità di posizione?
È necessario possedere la qualifica formale di dirigente, ottenuta tramite un atto formale di nomina, e che a tale nomina si accompagni l’effettivo svolgimento dei compiti dirigenziali con l’assunzione delle relative responsabilità.

La legge di equiparazione economica può sostituire una nomina formale a dirigente?
No. La legge che prevede l’equiparazione economica serve a colmare le differenze retributive, ma non sostituisce né conferisce la qualifica formale di dirigente, la quale può essere acquisita solo attraverso le procedure previste dalla legge, come un concorso pubblico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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