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Retribuzione di anzianità: no dopo la riforma PA

Alcuni dipendenti pubblici, promossi a dirigenti, chiedevano l’adeguamento della retribuzione di anzianità secondo una vecchia legge regionale. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che la riforma del pubblico impiego ha trasferito la disciplina della retribuzione alla contrattazione collettiva, superando le leggi precedenti. La data di decorrenza economica della promozione è il momento decisivo per individuare la normativa applicabile.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Retribuzione di Anzianità nel Pubblico Impiego: la Riforma Contrattuale Supera le Vecchie Leggi

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4257/2024, torna a pronunciarsi su un tema cruciale per i dipendenti pubblici: la retribuzione di anzianità. La questione centrale riguarda la sopravvivenza di benefici economici previsti da vecchie leggi regionali dopo la fondamentale riforma che ha “contrattualizzato” il pubblico impiego. La decisione chiarisce che la fonte regolatrice della retribuzione è ormai la contrattazione collettiva, con importanti conseguenze per i lavoratori promossi a qualifiche superiori.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dal ricorso di alcuni dipendenti di un ente regionale, promossi alla qualifica dirigenziale. Sebbene la decorrenza giuridica della promozione fosse stata fissata al 1983, quella economica era stata riconosciuta solo a partire dal 1° agosto 2003. I lavoratori lamentavano che il loro salario di anzianità continuava a essere calcolato sulla base della precedente e inferiore qualifica funzionale (l’VIII), anziché su quella dirigenziale effettivamente acquisita.

La loro pretesa si fondava su specifiche leggi regionali degli anni ’80 e ’90 che disciplinavano e incrementavano tale emolumento. Sia in primo grado che in appello, tuttavia, le loro richieste erano state respinte. I giudici di merito avevano sostenuto che, al momento della decorrenza economica (2003), quelle leggi regionali non erano più in vigore, essendo state superate dalla riforma del pubblico impiego che ha affidato la regolamentazione dei rapporti di lavoro e della retribuzione alla contrattazione collettiva.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso dei lavoratori inammissibile, confermando la decisione della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno stabilito che le pretese dei ricorrenti, basate su una normativa regionale ormai superata, non potevano trovare accoglimento. La Corte ha ribadito un principio fondamentale: nel nuovo assetto del pubblico impiego, la disciplina economica del rapporto di lavoro va ricercata nei contratti collettivi nazionali, non più nelle leggi statali o regionali, salvo eccezioni non presenti in questo caso.

Le Motivazioni: la centralità della contrattazione collettiva e della decorrenza economica

Il fulcro del ragionamento della Cassazione, ovvero la ratio decidendi, si basa su due pilastri interconnessi.

1. La data di riferimento è quella economica: La Corte ha chiarito che, per individuare la normativa applicabile in materia retributiva, non si deve guardare alla decorrenza giuridica della qualifica (1983), ma a quella economica (2003). È infatti da quest’ultima data che sorge il diritto a percepire il trattamento economico superiore, ed è a quel momento storico che bisogna valutare le norme in vigore.

2. La prevalenza della contrattazione collettiva sulla legge: Al 1° agosto 2003, la riforma del pubblico impiego era pienamente operativa. Questa riforma ha segnato il passaggio da un regime pubblicistico, regolato per legge, a un regime privatistico, governato dal Codice Civile e, soprattutto, dalla contrattazione collettiva. Di conseguenza, le leggi regionali invocate dai ricorrenti (in particolare la l.r. Puglia n. 13 del 1988) non erano più applicabili perché la materia retributiva era stata interamente devoluta alla negoziazione tra sindacati e parte pubblica.

La Corte ha inoltre analizzato il contratto collettivo nazionale applicabile ai dirigenti per il biennio di riferimento (2002-2003), rilevando che esso non conteneva alcuna disposizione che facesse salvo o riproducesse il diritto alla retribuzione individuale di anzianità. In assenza di una previsione contrattuale che ne garantisse la continuità, tale voce retributiva non poteva essere pretesa.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale ormai stabile e offre importanti indicazioni pratiche. Innanzitutto, conferma che la “contrattualizzazione” ha definitivamente archiviato il sistema precedente basato sulla regolamentazione unilaterale per legge. Per i dipendenti pubblici, i diritti e gli obblighi di natura economica devono essere cercati all’interno dei CCNL di comparto. In secondo luogo, la distinzione tra decorrenza giuridica ed economica di una promozione assume un’importanza cruciale: è la seconda a determinare il quadro normativo e contrattuale di riferimento per le pretese economiche. I lavoratori e le amministrazioni devono quindi fare riferimento alla normativa e ai contratti collettivi in vigore al momento in cui una data voce retributiva diventa esigibile, non al momento in cui è maturato astrattamente il diritto alla qualifica.

Dopo la riforma del pubblico impiego, le vecchie leggi regionali sulla retribuzione di anzianità sono ancora valide?
No, la Corte ha stabilito che, a seguito della riforma e della contrattualizzazione del pubblico impiego, la materia retributiva è stata devoluta alla contrattazione collettiva, la quale ha superato le precedenti disposizioni di legge regionale.

Per stabilire la normativa applicabile a una promozione, conta la decorrenza giuridica o quella economica?
Secondo la Corte, il dato temporale di riferimento per valutare le pretese retributive è la decorrenza economica della promozione, poiché è da quella data che il diritto all’emolumento diventa concreto ed esigibile.

L’attuale contrattazione collettiva per i dirigenti pubblici prevede il salario individuale di anzianità?
L’ordinanza specifica che il contratto collettivo applicabile al caso in esame (relativo al biennio 2002-2003 e sottoscritto nel 2006) non conteneva alcuna disposizione che preservasse il diritto alla retribuzione individuale di anzianità per i dirigenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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