Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 12496 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 12496 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16419-2024 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
REGIONE ABRUZZO, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 68/2024 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 26/01/2024 R.G.N. 481/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
RETRIBUZIONE
PUBBLICO IMPIEGO
R.G.N.16419/2024
COGNOME
Rep.
Ud.10/01/2025
CC
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RILEVATO
che, con sentenza del 26 gennaio 2024, la Corte d’Appello di L’Aquila confermava la decisione resa dal Tribunale di Pescara e rigettava la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti della Regione Abruzzo, alle cui dipendenze la COGNOME prestava servizio con inquadramento ‘Assistente Tecnico cat. C dal 1° aprile 1981, domanda avente ad oggetto il riconoscimento del trattamento economico di anzianità che la Regione originariamente, con la previsione di cui all’art. 43 della L.R. n. 6/2005 ((introduttivo del comma 2 bis nel testo della L.R. n.1118/1998), aveva disposto in favore di tutti i propri dipendenti, commisurandolo al trattamento economico di anzianità che alcuni di essi avevano maturato presso altro ente pubblico e che in virtù del ‘trascinamento’ mantenevano quale trattamento più favorevole una volta assunti dalla Regione a seguito di concorso e che aveva poi modificato, con la previsione di cui all’art. 1, comma 2, della L.R. n. 16/2008, commisurandolo all’ammontare maggiore da quei dipendenti percepito, a parità di anzianità di servizio, al momento dell’inquadramento in ruolo regionale, nella qualifica attualmente ricoperta, domanda qui riproposta dopo che, essendo stata in un primo tempo avanzata in sede giudiziaria, a fronte del mancato adeguamento della retribuzione dell’istante da parte della Regione ed avendo trovato accoglimento in primo ed in secondo grado, era stata disattesa dalla Corte di Cassazione a seguito della sentenza della Corte costituzionale che con sentenza n. 211/2014 aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 43 L.R. n. 6/2005 come sostituito dall’art. 1, comma 2, L.R. n. 16/2008, nella parte in cui introduce il comma 2 bis nell’art. 1 L.R. n. 118/1998;
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che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto di dover escludere che l’art. 43 citato espunto a seguito di intervento della Corte costituzionale fosse meramente ricognitiva di un principio immanente all’ordinamento, sopravvissuto all’intervento della Consulta che ha rilevato, nel caso della RIA, l’ecc esso di competenza del legislatore regionale, di dover disattendere la tesi per cui gli effetti retroattivi dell’art. 43 avrebbero radicato nel dipendente un diritto decorrente da ll’immissione in servizio, diritto diverso dalla RIA, ma che trarrebbe dalla RIA un criterio di quantificazione, il solo ad essere colpito dalla declaratoria di incostituzionalità, insussistente il legittimo affidamento sull’applicazione dell’art. 43 quale diritto soggettivo consolidatosi in ragione della sua efficacia retroattiva nel patrimonio della persona in quanto smentito dall’aver la stessa COGNOME ammesso il non essere quella norma mai stata applicata nei suoi confronti, insuscettibile la pretesa azionata di trovare fondamento nel comma 2 ter, non inciso dalla pronunzia di incostituzionalità, che continua a prevederne la copertura finanziaria da ritenersi inefficace per la caducazione del beneficio che garantiva;
che per la cassazione di tale decisione ricorre la Visioni, affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, la Regione Abruzzo
CONSIDERATO
che, con il primo motivo, la ricorrente, nel denunciare violazione e falsa applicazione del comma 2 bis, dell’art. 1 L.R. n. 118/1998 introdotto dall’art. 43 L.R. n. 6/2005 e degli artt. 112, 113 e 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 13, 15, 24 e 11 Cost., lamenta il carattere meramente apparente della motivazione resa dalla Corte territoriale non avendo questa considerato che
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le disposizioni dichiarate costituzionalmente illegittime non sarebbero automaticamente espunte dall’ordinamento, ma continuerebbero ad avere effetto per i rapporti costituitisi prima della sentenza della Corte costituzionale, che l’art. 43 citato avrebbe inserito solo formalmente i commi 2 bis e 2 ter dell’art. 1 della legge Regione Abruzzo n. 118 del 1998 limitandosi a disciplinare solo un criterio automatico di riconoscimento, che il principio perequativo introdotto dall’art. 43 in esame avrebbe inciso sulla retribuzione, diventando elemento della stessa e diritto soggettivo patrimoniale perfetto, personale e sociale e che, in ogni caso, il comma 2 ter, successivo al menzionato 2 bis, sarebbe sopravvissuto alla dichiarazione di illegittimità costituzionale (pur se abrogato nel 2011);
che, con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 113 c.p.c. nonché il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio imputa alla Corte l’essersi pronunziata in contrasto con il principio del legittimo affidamento per essere il diritto di cui all’art. 43 in ragione della sua retroattività entrato nel patrimonio della ricorrente e la mancata considerazione di documentazione attestante il riconoscimento da parte della Regione del diritto patrimoniale perfetto della ricorrente;
che entrambi i motivi, i quali, in quanto strettamente connessi, possono esser qui trattati congiuntamente, si rivelano inammissibili;
che, in primo luogo, si osserva che questa Sezione della Corte di cassazione, con sentenza n. 19095 del 25 settembre 2015, ha cassato la decisione di appello che aveva dichiarato il diritto di alcuni dipendenti della Regione Abruzzo, fra cui l’attuale ricorrente, alla perequazione della retribuzione individuale di anzianità a quella percepita da altri dipendenti inquadrati in pari
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ruolo a norma degli artt. 1 legge Regione Abruzzo n. 16 del 2008, 43 legge Regione Abruzzo n. 6 del 2005 ed 1 legge Regione Abruzzo n. 118 del 1998 fino all’abrogazione sopravvenuta per effetto della legge Regione Abruzzo n. 24 del 2011, con condanna della Regione a corrispondere le differenze retributive maggiorate degli interessi legali a decorrere dalle rispettive date di entrata in vigore delle citate leggi regionali; che la S.C., in tale occasione, decidendo nel merito la causa e rigettando la domanda in esame, ha affermato, in motivazione, richiamando il precedente conforme di Cass., Sez. L, n. 26320 del 15 dicembre 2014, che ‘la Corte costituzionale con sentenza n. 211 del 2014 investita dal Tribunale di Teramo della questione di legittimità costituzionale dell’art. 43 della L.R. Abruzzo 8 febbraio 2005 n. 6 (Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2005 e pluriennale 2005-2007 della Legge Regione Abruzzo – Legge finanziaria regionale 2005), come sostituito dall’art. 1, comma 2, della L.R. Abruzzo 21 novembre 2008, n. 16 (Provvedimenti urgenti ed indifferibili) in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione e dal momento che la disciplina del trattamento economico dei dipendenti regionali rientrerebbe nella materia dell’ordinamento civile che appartiene alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 43 della predett a L.R Abruzzo 8 febbraio 2005 n. 6 come sostituito dall’art. 1, comma 2, della L.R. Abruzzo 21 novembre 2008 n. 16 nella parte in cui introduce il comma 2bis nell’art. 1 della L.R. Abruzzo 13 ottobre 1998 n. 118 (Riconoscimento agli effetti economici della anzianità di servizio prestato presso lo Stato, Enti Pubblici, Enti Locali e Regioni, nei confronti del personale inquadrato nel ruolo regionale a seguito di pubblici concorsi ed estensione dei benefici previsti dalla L. n.
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144 del 1989 al personale ex L. n. 285 del 1977). Tanto perché l’art. 43 della citata l.r. n. 6 del 2005, nel disciplinare la retribuzione individuale di anzianità dei dipendenti regionali, allineandone l’ammontare a quello percepito dai dipendenti che, provenendo da altre amministrazioni, sono transitati nei ruoli regionali, incide sul trattamento economico dei dipendenti regionali prevedendone un incremento allorché ricorrano le condizioni previste e, quindi eccede dall’ambito di competenza riservato al legislatore regionale invadendo la materia dell’ordinamento civile, riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato’
che da qui concludeva che, secondo i precedenti richiamati, per effetto della declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 43 della legge Regione Abruzzo n. 6 del 2005, come sostituito dall’art. 1, comma 2, della legge Regione Abruzzo n. 16 del 2008, nella parte in cui introduce il comma 2 bis nell’art. 1 della legge Regione Abruzzo n. 118 del 1998 – su cui si fondava la domanda del dipendente – il ricorso per cassazione doveva essere accolto e la sentenza impugnata cassata;
che, pertanto, il giudicato formatosi in seguito alla sentenza di questa Sezione della Corte di cassazione, n. 19095 del 25 settembre 2015, preclude l’accoglimento di ogni domanda della ricorrente fondata sull’art. 43 della legge Regione Abruzzo n. 6 del 2 005, come sostituito dall’art. 1, comma 2, della legge Regione Abruzzo n. 16 del 2008, nella parte in cui introduce il comma 2 bis nell’art. 1 della legge Regione Abruzzo n. 118 del 1998;
che a questa affermazione consegue l’impossibilità di ritenere che un diritto soggettivo perfetto si sia radicato in capo alla detta ricorrente sulla base della menzionata normativa, seppure per il tempo antecedente alla sentenza della
Corte
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costituzionale n. 211 del 2014, atteso che il diritto qui reclamato non era mai stato riconosciuto finora, né dalla Regione Abruzzo né in sede giudiziaria in via definitiva;
che neppure può ipotizzarsi che il citato comma 2 bis avrebbe solo codificato un principio già esistente nell’ordinamento, giacchè, se così fosse, la ricorrente avrebbe dovuto quantomeno indicarne il fondamento normativo che, invece, è rimasto del tutto sconosciuto;
che d’altronde, se mai si volesse ammettere che vi fosse un diritto soggettivo personale e sociale della dipendente alla perequazione – che, invero, non si ritiene sussista -, e prescindendo dal fatto che non fosse stato accertato in precedenza, non sarebbe ravvisabile un criterio di quantificazione della pretesa che, per la medesima ricorrente, avrebbe dovuto essere quello riportato nel comma 2 bis dichiarato ormai costituzionalmente illegittimo;
che del tutto priva di valore è la menzione del comma 2 ter in quanto, anche a volere ignorare il giudicato del 2015 sfavorevole alla dipendente, tale disposizione era chiaramente strumentale a quella del precedente comma 2 bis e, quindi, non può servire a fondare un diritto che non può più basarsi su tale comma 2 bis;
che adeguata è, quindi, la motivazione della sentenza impugnata, che ha esaminato tutti i fatti rilevanti posti a fondamento della pretesa della ricorrente;
che, infine, nessuna lesione dell’affidamento della lavoratrice vi è stata avendo esattamente, la corte territoriale rilevato che la Regione Abruzzo non aveva mai applicato la norma oggetto di causa, con l’effetto che non aveva potuto ingenerare l’affidame nto circa la spettanza del diritto in capo alla lavoratrice, atteso che le somme in questione non erano mai
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entrate nella sua sfera patrimoniale, soprattutto dopo le sentenze della Corte costituzionale n. 211 del 2014 e della Corte di cassazione n. 19095 del 25 settembre 2015; che, infatti, non può esservi un valido affidamento su una norma dichiarata costituzionalmente illegittima; che, peraltro, la stessa ricorrente aveva agito in giudizio per ottenere quello che considerava il riconoscimento di un suo diritto e, quindi, l’esito sfavorevole del processo è prova che non vi erano i presupposti per parlare di un legittimo affidamento; che se, poi, volesse ipotizzarsi la presenza di un affidamento preesistente a tutte le disposizioni de quibus , non si comprenderebbe il motivo per il quale la dipendente, invece di farlo valere da subito, abbia agito sulla base di una regolamentazione della quale, adesso, prospetta la sostanziale inutilità. Al contrario, ciò palesa come nessun affidamento vi fosse da parte sua, almeno fino al passaggio in giudicato delle pronunce giudiziarie a lei contrarie; che il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.500,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.