Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 26911 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 26911 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso 33862-2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO;
– controricorrente –
Oggetto
Retribuzione pubblico impiego
R.G.N. 33862/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 09/10/2024
CC
nonché contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Centrale dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso elettivamente dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2654/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/09/2019 R.G.N. 1729/2015; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/10/2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE:
con sentenza n. 6886/2011 della Corte di appello di Roma resa il 13.10.2011 veniva dichiarata l’improcedibilità dell’appello principale e l’inefficacia di quello incidentale, proposti, rispettivamente, dal RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE (in seguito RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE) e da NOME COGNOME avverso la sentenza di primo grado la quale aveva dichiarato che la retribuzione di quest’ultimo, sulla quale calcolare l’ammontare dei contributi, era quella determinata nelle sentenze del Tribunale di Roma n. 26351/03 e n. 16390/03 e del TAR Lazio n. 6901/01, con conseguente obbligo del RAGIONE_SOCIALE di procedere alla dovuta integrazione;
proposto ricorso per cassazione dal RAGIONE_SOCIALE, questa Corte, con ordinanza n. 3290/2015, rilevava che la sentenza di primo grado era stata pronunciata fra più parti in causa inscindibile, sicché il giudice di
appello aveva errato nel non ordinare la rinnovazione della notifica nei confronti dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, donde l’accoglimento del primo motivo di ricorso e la declaratoria di nullità della sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Roma per l’integrazione del contraddittorio nei confronti del litisconsorte necessario;
riassunto quindi il giudizio dal COGNOME, il giudice del rinvio accoglieva l’appello principale e, previo assorbimento dell’incidentale, rigettava l’originaria domanda di NOME COGNOME;
premesso che COGNOME aveva prestato la propria attività lavorativa nella città di Belgrado sulla base di contratto individuale di impiego con l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, il giudice del rinvio rilevava che il rapporto del personale a contratto assunto all’estero da rappresentanze diplomatiche e consolari rivestiva carattere privatistico;
osservava che per il personale assunto a contratto dagli uffici all’estero, secondo le disposizioni di cui al titolo VI del d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18, relativo all’Ordinamento della Amministrazione RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, si applica la disciplina stabilita dall’art. 165 di quel testo normativo, il quale prevede che i contributi assicurativi dovuti all’ente previdenziale sono commisurati a una retribuzione convenzionale da stabilirsi con decreto dei RAGIONE_SOCIALE per RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE Lavoro e la Previdenza RAGIONE_SOCIALE per gli RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e per il Tesoro, sentito l’ente assicuratore interessato, disposizione questa confermata anche dal successivo d.lgs. 7 aprile 2000, n. 103;
evidenziava che tale norma speciale non poteva dirsi implicitamente abrogata per effetto della disciplina contributiva posta dalla legge n. 153/1969, articolo 12, ed aggiungeva che la Corte cost., con sent. n. 369/1985, non aveva affermato esistesse una regola di assoluta identità di regime previdenziale tra coloro che lavorano all’estero e quelli che rendono le loro prestazioni nel territorio nazionale;
escludeva, con riferimento agli artt. 3, 35, 36 3 38 Cost., la fondatezza dei dubbi di costituzionalità della normativa di cui agli artt. 2 comma 3 d.lgs. n. 103/2000 e 165 comma 4 d.P.R. n. 18/1967;
avverso tale sentenza il COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di unico motivo assistito da memoria, cui si oppongono con controricorso il RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO CHE:
1. nell’unico motivo si lamenta che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in una rilevante violazione del regime contributivo di cui all’art. 2 comma 3 del d.lgs. n. 103/2000 laddove a tale testo normativo – la cui ratio era la copertura contributiva per l’intera retribuzione contrattuale del personale a contratto di cui all’art. 2 comma 2 del medesimo d.lgs. n.103/00 – viene attribuito l’erroneo significato che i ministri concertanti potrebbero con loro decreto stabilire la retribuzione convenzionale impon ibile ‘scriteriatamente’ in una misura inferiore (nella specie di oltre il 50%, essendo pari a €. 2.172,50) a quella che è l’effettiva retribuzione contrattuale (per il COGNOME di €. 5.918,27 mensili a decorrere dal 1.1.2002);
il ricorrente si duole che la sentenza impugnata avrebbe negato l’applicazione, quale tertium comparationis , del regime contributivo del limite minimo di contribuzione di importo pari alla retribuzione contrattuale previsto, a favore della generalità RAGIONE_SOCIALE omologhi lavoratori di diritto privato, dall’art. 1 comma 1 della legge n. 389/1989;
laddove fosse d’ostacolo all’accoglimento del ricorso l’art. 2 comma 3 del d.lgs. n. 103/2000, si solleva questione di legittimità costituzionale per violazione del parametro della ragionevolezza e uguaglianza di trattamento contributivo di cui all’art. 3 comma 1 Cost.
-rispetto alla generalità RAGIONE_SOCIALE omologhi lavoratori di diritto privato – e di sufficienza e proporzionalità del trattamento previdenziale ex art. 36 comma 1 Cost., oltre che per lesione del requisito dell’adeguatezza dei mezzi previdenziali alle esigenze di vita del lavoratore ex art. 38 comma 2 Cost.;
il motivo è inammissibile, avendo la Corte di merito deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità e non offrendo l’esame dei motivi elementi per rimeditare l’orientamento già espresso (art. 360 bis comma 1 cod. proc. civ.);
2.1 è stato infatti affermato, con argomentazioni del tutto condivisibili (Cass. n. 24592 del 20/11/2006 e Cass. n. 8755 del 13/4/2010) che «Al personale assunto a contratto dagli uffici all’estero , secondo le disposizioni di cui al titolo VI del d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18, si applica la disciplina stabilita dall’art. 165 di questo testo normativo, che prevede per detti dipendenti l’assicurazione per invalidità, vecchiaia e superstiti con contratti stipulati in base a convenzioni concluse con l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, sancendosi espressamente, al comma 4, che i contributi assicurativi dovuti all’ente previdenziale sono commisurati ad una retribuzione convenzionale da stabilirsi con decreto dei RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, sentito l’ente assicuratore interessato, disposizione questa confermata dal successivo d.lgs. 7 aprile 2000, n. 103, che ha espressamente riaffermato la regola di commisurazione dei contributi assicurativi ad una retribuzione convenzionale»;
2.2 tale specifica disciplina non può ritenersi implicitamente abrogata per effetto della regolamentazione contributiva posta dalla legge n. 153 del 1969, art. 12, secondo il principio della territorialità dell’obbligo contributivo nell’interpretazione data dalla Corte costituzionale con la
sentenza n. 369 del 1985, poiché «con quest’ultima pronuncia non è stata, comunque, affermata una regola di assoluta identità di regime previdenziale tra coloro che lavorano all’estero e quelli che rendono le loro prestazioni nel territorio nazionale» (così testualmente Cass. n. 24592 del 2006 cit.);
a tale orientamento, qui condiviso, hanno dato continuità le successive pronunce di questa Corte n. 8576 del 2010 e n. 4401 del 2012;
2.3 ciò posto, non può dubitarsi del carattere speciale della normativa posta dal d.P.R. n. 18 del 1967, art. 165, per il personale a contratto rispetto alla disciplina generale della legge n. 153 del 1969, art. 12; normativa speciale del resto confermata con l’entrata in vigore del successivo d.lgs. 7 aprile 2000, n. 103, che regola nuovamente la materia, mentre anche le modificazioni alla legge n. 153 del 1969, art. 12, apportate con il d.lgs. 2 settembre 1997, n. 314, art. 6, comma 1 (a sua volta confermativo delle disposizioni dettate dalla legge n. 389/1989), hanno ribadito, in linea generale, la perdurante validità delle disposizioni «in materia di retribuzioni convenzionali per determinate categorie di lavoratori»;
2.4 i dubbi di legittimità costituzionale della normativa in questione, già sollevati nei giudizi di cui alle pronunce di legittimità sopra citate, vanno disattesi, dovendosi rilevare la non conferenza del riferimento, quale tertium comparationis , all’art. 1 comma 1 della legge n. 389/1989, attesa la totale disomogeneità della ipotesi disciplinata da tale ultima disposizione (i.e., lavoratori di diritto privato operanti nel territorio nazionale) rispetto a quella dei lavoratori in servizio all’est ero che, a parità di inquadramento giuridico ed economico, godono di un diverso trattamento retributivo che può
giustificare la scelta discrezionale della sostituzione del minimale contributivo con la c.d. retribuzione convenzionale fissata con decreti interministeriali, peraltro in ossequio alla normativa di fonte primaria (art. 165 d.P.R. n. 18/1965 e art. 2 comma 3 d.lgs. n. 103/2000);
in tale contesto, la Corte cost. ha altresì precisato (sent. n. 171/1982) che il giudizio di uguaglianza postula che sussista omogeneità tra le situazioni messe a confronto con la conseguenza che esso non può essere invocato quando le stesse siano intrinsecamente eterogenee ovvero quando, pur originando da presupposti comuni, differiscano comunque tra di loro per aspetti distintivi particolari (cfr. Corte Cost., sent. n. 111/1981); la manifesta infondatezza della questione per quanto attiene, da un lato, al sistema di calcolo dei contributi previsto dal d.P.R. n. 18 d
2.5 del pari va affermata el 1967, che non lede di per sé alcuna garanzia costituzionale, e, dall’altro, l’irrilevanza RAGIONE_SOCIALE ulteriori profili attinenti all’incidenza di tale sistema sulla entità della prestazione previdenziale assicurata ai lavoratori, che resta estranea all’oggetto della controversia, e in relazione alla quale non è stato fornito alcun elemento di valutazione (cfr. Cass. n. 24592 del 2006, cit.);
al riguardo, non si è mancato di precisare nella giurisprudenza costituzionale (sent. n. 104/2018) che «…non è delineato un rapporto di indefettibile corrispondenza tra le pensioni e le retribuzioni e tra le pensioni e l’ammontare della contribuzione versata, ma una tendenziale correlazione, che salvaguardi l’idoneità del trattamento previdenziale a soddisfare le esigenze di vita. Ciò che appare indispensabile è ‘una valutazione globale e complessiva, che non si esaurisca nella parziale considerazione del le singole componenti’ (sentenza n. 259 del 2017, punto 3.1 del Considerato in diritto)»; questo perché nel nostro ordinamento non esiste un principio costituzionale che imponga al
legislatore di disporre che il versamento dei contributi sia calcolato sull’intero importo della retribuzione, fermo restando il limite dell’adeguatezza della pensione alle esigenze di vita dell’assicurato;
il ricorso va quindi dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte: dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida, in favore del COGNOME, in €. 4.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito, e, in favore del l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE in €. 4.000,00 per compensi ed €. 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di