Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20293 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20293 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/07/2025
Dott. NOME COGNOME
Presidente –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere rel. –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME
Consigliere –
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13194/2022 R.G. proposto da:
AVANTI COGNOME rappresentato e difeso dal prof. avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI NOME COGNOME, in persona del Rettore pro tempore , domiciliata in ROMA, INDIRIZZO PRESSO LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME e COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto: lettore madrelingua -trattamento economico ricercatore tempo definito
avverso la sentenza n. 1990/2021 della CORTE D ‘ APPELLO di BARI, depositata il 12/11/2021 R.G.N. 1116/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
L’odierno ricorrente, originariamente assunto a far data dall’anno accademico 1990/1991 in qualità di lettore di madre lingua straniera alle dipendenze dell’Università con successivi contratti a termine ex art. 28 d.P.R. n. 382/1980 dal 1985/86 al 1992/93, incardinava un primo giudizio dinanzi al Pretore di Bari volto ad ottenere il riconoscimento della natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro con l’Università.
Con sentenza n. 6519/1995, il Giudice del Lavoro di Bari accertava la nullità dei termini apposti ai singoli contratti di lettorato, dichiarando che il rapporto di lavoro dovesse considerarsi a tempo indeterminato ab origine .
Nell’ambito di altro giudizio instaurato nei confronti dell’Università (volto all’accertamento della natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro ed alla corresponsione della giusta retribuzione fino alla data del 31.10.1994) le parti sottoscrivevano in data 17.12.1998 un verbale di conciliazione che riconosceva la natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro e la retribuzione maggiore corrispondente a quella spettante al professore non di ruolo di scuola media superiore.
Successivamente, il ricorrente adiva di nuovo il Tribunale reclamando la maggiore retribuzione di ricercatore confermato per avere lo stesso superato una selezione pubblica per ‘esperto linguistico’ bandita dall’Università ed avere stipulato contratto di assunzione quale collaboratore esperto linguistico avente decorrenza 1.11.1994.
Il Tribunale, con sentenza n. 1229/2019, riconosceva il diritto del ricorrente a percepire, proporzionalmente all’impegno orario assolto, e tenuto conto che l’impegno pieno annuale corrisponde a 500 ore, il trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore a tempo definito (pieno e progressivo), con effetto dalla data di prima assunzione e condannava l’Università al pagamento della somma di euro 386.223,48 (maturata al 28.02.2019), oltre interessi, e all’accantonamento del t.f.r.
Riteneva, in sintesi, il Tribunale che: -con la stipulazione del contratto di assunzione quale collaboratore esperto linguistico avente decorrenza dal 1° novembre 1994 le parti avevano inteso superare il contratto di lettorato concluso a norma dell’art. 28 del d.P.R. n. 382 del 1980; – con riferimento al periodo successivo al 31 ottobre 1994 (quello precedente, infatti, era stato regolato dalle parti mediante la conciliazione intervenuta in un precedente giudizio), doveva applicarsi il principio, già enunciato dalla Cassazione in contenziosi analoghi, in forza del quale, in virtù della sentenza pronunciata dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee in data 26 giugno 2001, nella causa C- 212/99, nonché del d.l. n. 2 del 2004, conv. in l. n. 63 del 2004, ai collaboratori linguistici, ex lettori di madre lingua straniera, già destinatari di contratti stipulati ai sensi dell ‘ art. 28 del d.P.R. n. 382 del 1980, ancorché non dipendenti da una delle sei Università menzionate nel citato d.l. n. 2, compete, proporzionalmente all ‘ impegno orario assolto, e tenuto conto che l ‘ impegno pieno corrispondente a 500 ore, il trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di prima assunzione; – non era applicabile alla fattispecie in scrutinio la norma di interpretazione autentica dell ‘ art. 1 del d.l. n. 2 del 2004 contenuta nell ‘ art. 26, comma 3, della l. n. 240 del 2010.
La pronuncia veniva riformata in appello, ove, con sentenza n. 1990/2021, la Corte d’appello di Bari accoglieva l’impugnazione
dell’Università per quanto di ragione e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiarava il diritto di Peter Avanti a percepire dal 1° novembre 1994 al 31 dicembre 2015, proporzionalmente all’impegno orario di 500 ore annue, il trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore a tempo definito, con effetto dalla data di prima assunzione, in applicazione del meccanismo di calcolo di cui all’art. 26, comma 3, della l. n. 240 del 2010; condannava l’Università a corrispondere in favore di Avanti la (minor) somma di 199.723,83 euro, oltre interessi legali dal dovuto al saldo, nonché a provvedere ai corrispondenti accantonamenti del t.f.r . in misura proporzionata al maggiore trattamento riconosciuto.
Riteneva, diversamente dal Tribunale, che il trattamento economico spettante ad Avanti dovesse essere quello introdotto con d.l. n. 2 del 2004, come interpretato dall’art. 26 della l. n. 240 del 2010.
Escludeva, viceversa, che rilevasse, nel caso concreto, la sottoscrizione da parte di NOME COGNOME della conciliazione giudiziale intervenuta all’udienza del 17 dicembre 1998 nell’ambito del giudizio n. 925/1994 R.G. evidenziando che tale atto era stato sottoscritto dall’COGNOME nella qualità di procuratore speciale di tale NOME COGNOME (e cioè di altro lettore di lingua madre che aveva instaurato nei confronti dell’Università un contenzioso non dissimile da quello promosso da Avanti).
Rilevava che era stato determinato in favore dell’odierno appellato il trattamento retributivo individuale non riassorbibile a titolo di assegno ad personam dell’importo di 9.435,63 euro, pari alla differenza tra la retribuzione dovuta al 1° novembre 1994 quale lettore di madre lingua straniera e la retribuzione percepita ai sensi della l. n. 236 del 1995.
Riteneva corretta ed esaustiva tale determinazione richiamando Cass. n. 12877/2020, secondo cui va escluso il definitivo aggancio della retribuzione a quella dei ricercatori confermati a tempo definito e a partire dalla sottoscrizione del contratto di collaborazione linguistica la
differenza rispetto alla contrattazione collettiva è solo conservata a titolo di assegno ad personam.
Riteneva che risultassero ancora dovute a titolo di differenze retributive le somme spettanti, in applicazione del meccanismo di calcolo di cui all’art. 26, comma 3, della l. n. 240 del 2010, dal 1° novembre 1994 al 31 dicembre 2015, nonché l’accantonamento del t.f.r . in misura proporzionata al maggiore trattamento riconosciuto.
Ricorre per la cassazione di tale sentenza NOME COGNOME con tre motivi.
L’Università ha resistito con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 36 Cost.
Con il secondo motivo denuncia la violazione dei principi di diritto comunitario di cui alla sentenza CGCE n. 212/2001 e n. 276/2008.
Con il terzo motivo denuncia la violazione della legge n. 63/2004 come interpretata dalla Cassazione in vicende analoghe.
Sostiene, in sintesi, il ricorrente che la retribuzione adeguata non può che essere quella stabilita dalla citata legge n. 63/2004.
A sostegno dei rilievi richiama 22 ordinanze di questa Corte di legittimità emesse tra maggio e agosto 2016 che hanno rigettato i ricorsi proposti dall’Università avverso altrettante sentenze della Corte d’appello di Lecce che, in sede di rinvio, aveva applicato il principio di diritto di cui a Cass. n. 21856/2004 secondo il quale: ‘In forza della sentenza pronunciata dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee in data 26 giugno 2001, nella causa C -212/99, e del D.L. n. 2 del 14 gennaio 2004, come convertito con la L. 5 marzo 2004, n. 63 ai collaboratori linguistici, ex lettori di madre lingua straniera, già destinatati di contratti stipulati ai sensi del d.P .R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28, abrogato dal D.L. 21 aprile 1995, n. 120, art. 4, comma 5,
convertito, con modificazioni, dalla L. 21 giugno 1995, n. 236, ancorché non dipendenti da una delle sei Università menzionate nel citato D.L. n. 2 del 2004, conv. con la L. n. 63 del 2004, compete, proporzionalmente all’impegno orario assolto, e tenuto conto che l’impegno pieno corrisponde a 500 ore, il trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di prima assunzione’.
Ne trae la conseguenza che anche nella presente vicenda la Corte d’appello avrebbe dovuto riconoscere per l’intero rapporto la retribuzione parametrata a quella del ricercatore confermato a tempo definito.
Infine, richiama la complessa questione ancora non definita delle procedure di infrazione nei confronti dello Stato italiano intraprese dalla Commissione europea, la legge n. 167/2017, lo schema tipo di contratto integrativo di cui al d.i. 16 agosto 2019 e le iniziative legislative ancora in atto al momento della presentazione del ricorso.
I motivi, da trattare congiuntamente in quanto intrinsecamente connessi, sono infondati.
Il ricorrente richiama innanzitutto un principio di diritto affermato da questa Corte con la sentenza n. 21856/2004, risalente nel tempo e antecedente anche alla legge di interpretazione autentica dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 2 del 2004, conv. con modif. nella l. n. 63 del 2004, di cui all’art. 26, comma 3, della l. n. 240 del 2010, che così prevede: «3 . L’art. 1, comma 1, del decreto -legge 14 gennaio 2004, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2004, n. 63, si interpreta nel senso che, in esecuzione della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee 26 giugno 2001, nella causa C -212/99, ai collaboratori esperti linguistici, assunti dalle università interessate quali lettori di madrelingua straniera, il trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, in misura proporzionata all’impegno orario effettivamente
assolto, deve essere attribuito con effetto dalla data di prima assunzione quali lettori di madrelingua straniera a norma dell’articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, sino alla data di instaurazione del nuovo rapporto quali collaboratori esperti linguistici, a norma dell’articolo 4 del decreto -legge 21 aprile 1995, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1995, n. 236. A decorrere da quest’ultima data, a tutela dei diritti maturati nel rapporto di lavoro precedente, i collaboratori esperti linguistici hanno diritto a conservare, quale trattamento retributivo individuale, l’importo corrispondente alla differenza tra l’ultima retribuzione percepita come lettori di madrelingua straniera, computata secondo i criteri dettati dal citato decreto -legge n. 2 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 63 del 2004, e, ove inferiore, la retribuzione complessiva loro spettante secondo le previsioni della contrattazione collettiva di comparto e decentrata applicabile a norma del decreto -legge 21 aprile 1995, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1995, n. 236. Sono estinti i giudizi in materia, in corso alla data di entrata in vigore della presente legge» .
La sentenza impugnata è conforme all’orientamento di legittimità espresso sulle modalità di calcolo dell’assegno ad personam , ribadito da ultimo da Cass. n. 13488/2024.
In tale pronuncia, che il Collegio condivide, sono state richiamate le Sezioni Unite di questa Corte che, risolvendo un contrasto quanto all’incidenza di precedenti giudicati con i quali i contratti di lettorato di durata annuale ex art. 28 del d.P.R. n. 382/1980 erano stati convertiti in rapporti a tempo indeterminato, con più pronunce contestualmente rese, hanno affermato che:
la continuità normativa e l’analogia tra la posizione soppressa degli ex lettori e quella di nuova istituzione dei collaboratori esperti linguistici comporta che, se l’ ex lettore abbia ottenuto l’accertamento
della sussistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato per la nullità della clausola di durata con sentenza passata in giudicato, va comunque applicata la disciplina di fonte legale dettata dal d.l. n. 2/2004, come interpretato autenticamente dall’art. 26 della legge n. 240/2010, da valere anche per le Università non espressamente menzionate dal legislatore (Cass., S.U., nn. 19164 e 24963 del 2017);
la trasformazione ope legis (e quindi anche per sentenza definitiva) del rapporto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato deve essere equiparata, ai fini dell’applicazione del d.l. n. 2/2004, alla conclusione del contratto ex d.l. n. 120/1995, in quanto in entrambi i casi l’interesse perseguito è comunque quello di realizzare, dal punto di vista contenutistico e non formale la medesima finalità di stabilizzazione del rapporto (Cass., S.U., n. 24963/2017);
la pronuncia di conversione del rapporto di lettorato non rende nullo per assenza di causa il contratto individuale stipulato ai sensi della nuova normativa perché, pur a fronte di un rapporto unitario ed ininterrotto, le parti possono modificare il regolamento pattizio in quanto nel rapporto di lavoro, che è un rapporto di durata, si può parlare di diritti quesiti solo in relazione a prestazioni già rese o ad una fase già esaurita (Cass., S.U., n. 19164/2017).
Nel dare continuità ai richiamati principi, sviluppandoli in relazione alle questioni più specifiche dedotte nelle controversie portate all’attenzione del giudice di legittimità, Cass. n. 13488/2024, ha precisato che:
il trattamento di miglior favore previsto dal d.l. n. 2/2004 opera nei limiti indicati dall’art. 26, comma 3, della legge n. 240/2010 sicché dalla data di sottoscrizione del contratto in qualità di collaboratore esperto linguistico all’ ex lettore va attribuita la differenza, a titolo di assegno personale, fra la retribuzione determinata ai sensi del d.l. n. 2/2004, eventualmente maggiorata per effetto della clausola di salvaguardia, ed il trattamento retributivo previsto dalla contrattazione
collettiva di comparto e decentrata, restando escluso che la retribuzione stessa possa rimanere agganciata, anche per il periodo successivo alla stipula del contratto di collaborazione, alle dinamiche contrattuali previste per i ricercatori confermati a tempo definito (cfr. Cass. n. 20483/2023; Cass. n. 13886/2023; Cass. n. 16462/2022; Cass. n. 20765/2018);
poiché ai sensi dell’art. 1 del d.l. n. 2/2004 la retribuzione in proporzione all’impegno orario assolto, deve essere parametrata al trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, devono essere riconosciuti all’ex lettore anche gli adeguamenti triennali della retribuzione con decorrenza dal primo contratto stipulato con l’Università e sino alla data di instaurazione del nuovo rapporto (cfr. Cass. n. 18897/2019);
l’azione attribuita all’ ex lettore dal d.l. n. 2/2004, come interpretato autenticamente dalla legge n. 240/2010, ossia da disposizione normativa che il legislatore ha emanato con la specifica finalità di ottemperare alla pronuncia della Corte di Giustizia (chiaro in tal senso è l’ incipit dell’art. 1: In esecuzione della sentenza pronunciata dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee in data 26 giugno 2001 nella causa C -212/99… ), è autonoma e distinta da quella di adeguamento retributivo ex art. 36 Cost. che l’ ex lettore poteva far valere nella vigenza dell’art. 28 del d.P.R. n. 382/1980, e, pertanto, la prescrizione del relativo diritto inizia a decorrere dall’entrata in vigore della nuova normativa (cfr. Cass. nn. 13175, 14203, 15018 del 2018) ed inoltre l’azione non è impedita da un precedente giudicato sulla adeguatezza della retribuzione corrisposta all’ ex lettore, se formatosi antecedentemente all’entrata in vigore della nuova normativa (cfr. Cass. n. 20483/2023; Cass. n. 16449/2022 ed anche, a contrario Cass. n. 9822/2024 che ha ritenuto fondata l’eccezione di giudicato in quanto in quel caso il giudicato medesimo si era formato nella vigenza della normativa sopravvenuta);
il d.l. n. 2/2004, nel rinviare al trattamento retributivo previsto per il ricercatore confermato a tempo definito, ha confermato la sostanziale diversità delle prestazioni rese dall’ ex lettore divenuto collaboratore esperto linguistico, rispetto a quelle proprie dei docenti (diversità già desumibile dal tenore letterale sia dell’art. 28 del d.P.R. n. 382/1980, sia dell’art. 4 del d.l. n. 120/1995, perché le esigenze di esercitazione degli studenti e di supporto all’apprendimento della lingua straniera evocano una funzione strumentale ed accessoria rispetto all’insegnamento universitario in senso proprio connotato da specifiche competenze didattiche e scientifiche) ed « alla retribuzione del ricercatore confermato a tempo definito ha fatto riferimento solo in via parametrica, prevedendo un divisore orario (500 ore) diverso e superiore rispetto a quello previsto per la categoria dei ricercatori confermati a tempo definito (200 ore) » (Cass. n. 14108/2023 e negli stessi termini quanto alle modalità di determinazione del trattamento retributivo Cass. n. 20483/2023; Cass. n. 13886/2023; Cass. 13754/2023; Cass. n. 18711/2023).
Resta, dunque, fermo, attraverso il rinvio ai plurimi precedenti di questa Corte solo in parte citati al punto 6. lett. a) che precede, quanto all’incidenza della normativa di interpretazione autentica, che dalla data di sottoscrizione del contratto in qualità di collaboratore esperto linguistico all’ ex lettore va attribuita la differenza, a titolo di assegno personale, fra la retribuzione determinata ai sensi del d.l. n. 2/2004, eventualmente maggiorata per effetto della clausola di salvaguardia, ed il trattamento retributivo previsto dalla contrattazione collettiva di comparto e decentrata, restando escluso che la retribuzione stessa possa rimanere agganciata, anche per il periodo successivo alla stipula del contratto di collaborazione, alle dinamiche contrattuali previste per i ricercatori confermati a tempo definito.
La Corte territoriale si è correttamente attenuta a tale principio.
Le precedenti pronunce della Sezione Sesta di questa Corte di legittimità che il ricorrente invoca hanno in effetti confermato sentenze delle Corte d’appello che avevano riconosciuto il diritto a prescindere dalle modalità di calcolo chiarite dalla legge di interpretazione autentica ma, come evidenziato dalla Corte territoriale, hanno pronunciato solo sulla estinzione perché l’altra questione non era stata devoluta (e non poteva essere rilevata d’ufficio implicando anche un accertamento di fatto sulle modalità di quantificazione del dovuto).
Né questo orientamento può essere rimeditato valorizzando l’art. 11 della legge n. 167 del 2017 (più volte modificato) con il quale il legislatore non ha abrogato né il d.l. n. 2 del 2004 né la legge di interpretazione autentica, ma ha solo previsto uno stanziamento straordinario di fondi messo a disposizione delle Università per risolvere il contenzioso sorto con gli ex lettori; sull’incidenza della normativa sopravvenuta questa Corte ha già pronunciato escludendo che la contrattazione integrativa ancora in fieri possa essere apprezzata ai fini della definizione del contenzioso già pendente, in relazione al quale la pronuncia non può che tener conto delle disposizioni normative e contrattuali vigenti che riconoscono il diritto soggettivo alla ricostruzione della carriera nei limiti sopra indicati (cfr. Cass. n. 20483/2023).
Si aggiunga che, come evidenziato da Cass. n. 10104/2024, la legge n. 267 del 2017 aveva previsto, all’art. 11, solo uno stanziamento straordinario di fondi, da utilizzare, previa adozione (con decreto ministeriale) di uno ‘schema tipo di contratto’, in sede di contrattazione collettiva integrativa di Ateneo, finalizzata « al superamento del contenzioso in atto e a prevenire l’instaurazione di nuovo contenzioso nei confronti delle università statali italiane da parte degli ex lettori di lingua straniera, già destinatari di contratti stipulati ai sensi dell’articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382 ».
Anche l’art. 1, comma 305, della legge n. 234/2021, nell’apportare modifiche all’art. 11 legge n. 167/2017, cit., e i successivi decreti interministeriali, operano (a ben vedere) un rinvio ai contratti integrativi a stipularsi. In particolare l’art. 1, comma 3, lett. a) del decreto interministeriale n. 765/2019 recante ‘Adozione dello schema tipo di contratto integrativo di sede volto al superamento del contenzioso degli ex lettori di madre lingua straniera’ prevede che « la somma sarà ripartita tra gli Atenei, in proporzione al numero di ex -lettori in servizio al 31.12.2018, con riferimento alle università che entro il 31.10.2019 hanno adottato un contratto integrativo coerente con i contenuti dello schema -tipo allegato al presente decreto », il quale ultimo, a sua volta, stabilisce (v. in particolare l’art. 8 recante ‘condizione sospensiva’) che « l’efficacia del contratto integrativo è subordinata – e pertanto sospesa – sino alla sottoscrizione nelle sedi preposte di cui all’art. 2113, comma 4, del codice civile e all’acquisizione da parte dell’Ateneo, della rinuncia individuale da parte degli ex lettori interessati dall’applicazione del presente contratto collettivo integrativo agli atti e/o a ogni e qualsiasi azione giudiziaria » -già pendente o da instaurarsi -volta al riconoscimento « di un trattamento economico pari o superiore a quello previsto nel presente accordo, a fronte dell’applicazione delle condizioni ivi previste ».
Non v’è, pertanto, in tale sopravvenuta disciplina legislativa, il riconoscimento di un parametro di ricostruzione della carriera diverso da quello previsto dal d.l. del 2004, come interpretato autenticamente nel 2010.
In sede di memoria il ricorrente evidenzia che in data 26 giugno 2023 è stato pubblicato il decreto Miur n. 688 del 24 maggio 2023, recante ‘Modifica del decreto interministeriale 16 agosto 2019, n. 765, concernente l’adozione dello schema tipo di contratto integrativo di sede volto al superamento del contenzioso degli ex lettori di madre
lingua straniera e i criteri di ripartizione del cofinanziamento delle Università statali’.
L’art. 1 del nuovo decreto sostituisce integralmente l ‘ art. 1 (ed unico) del decreto interministeriale n. 765/2019, regolamentando – i successivi sette articoli – la procedura, i criteri e le sanzioni; invece rimane assolutamente invariato lo schema tipo di contratto integrativo, che prevedeva nel 2019, e prevede tutt ‘ oggi, che ai lettori competa, a decorrere dalla data di prima assunzione, il trattamento pieno e progressivo, comprensivo degli scatti di anzianità.
Evidenzia, inoltre, che in data 14 luglio 2023, la Commissione europea ha deferito l ‘ Italia, ancora una volta, alla Corte di Giustizia dell ‘ Unione europea, per non aver posto fine alla discriminazione nei confronti dei lettori stranieri, in relazione all ‘ adozione delle « misure necessarie per una corretta ricostruzione della carriera dei lettori. Ciò comprende l ‘ adeguamento della retribuzione, dell ‘ anzianità e delle corrispondenti prestazioni sociali a quelli di un ricercatore con un contratto a tempo parziale, come pure il diritto al versamento degli arretrati a decorrere dall ‘ inizio del rapporto di lavoro: di conseguenza, la maggior parte dei lettori stranieri non ha ancora ricevuto il denaro e le prestazioni cui ha diritto».
Entrambe le suddette considerazioni non consentono, però, di ritenere le pretese (ulteriori rispetto a quanto riconosciuto dalla Corte territoriale nel pieno rispetto dei principi giurisprudenziali sopra richiamati) fondate considerato che lo stesso schema integrativo di cui al decreto Miur del 2023 in più parti richiama la legge di interpretazione autentica con ciò ribadendo che il criterio della ricostruzione della carriera opera solo in quei limiti.
Da tanto consegue che il ricorso va rigettato.
La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.
18 . Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., Sez. Un., 20 febbraio 2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni
processuali richieste dall’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 -bis , se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione