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Retribuzione avvocati pubblici: decide il contratto

La Corte di Cassazione ha stabilito che la retribuzione degli avvocati pubblici è determinata esclusivamente dalla contrattazione collettiva. I giudici non possono riconoscere un trattamento economico superiore basandosi sulla specificità delle mansioni professionali, se queste rientrano nella categoria di inquadramento. Il caso riguardava alcuni funzionari avvocati di un ente regionale che chiedevano una maggiorazione stipendiale, richiesta che è stata definitivamente respinta.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Retribuzione Avvocati Pubblici: la Parola Finale alla Contrattazione Collettiva

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale nel pubblico impiego: la retribuzione avvocati pubblici e, in generale, di tutti i dipendenti pubblici, è materia riservata alla contrattazione collettiva. I giudici non hanno il potere di intervenire per aumentare lo stipendio di un lavoratore, anche se svolge mansioni di elevata professionalità come quella legale, se tali compiti rientrano già nella sua categoria di inquadramento. Analizziamo insieme questa importante decisione.

Il Caso: La Richiesta dei Funzionari Avvocati

Alcuni funzionari di un ente regionale, inquadrati nell’area D e iscritti all’albo degli avvocati, svolgevano attività di patrocinio legale per l’amministrazione. Pur essendo inquadrati correttamente, ritenevano che la loro specifica professionalità e l’iscrizione all’albo giustificassero un trattamento economico superiore a quello degli altri funzionari della stessa area. Nello specifico, chiedevano il riconoscimento della retribuzione di posizione, tipica dei dirigenti di staff, in aggiunta al loro stipendio.

La Corte d’Appello aveva inizialmente dato loro ragione, affermando che la peculiarità delle mansioni legali imponesse un trattamento economico differenziato, da determinare da parte del giudice in applicazione dell’articolo 36 della Costituzione sul diritto a una retribuzione proporzionata.

La Decisione della Cassazione sulla Retribuzione Avvocati Pubblici

La Corte di Cassazione ha completamente ribaltato la decisione di secondo grado, accogliendo il ricorso dell’ente regionale. Gli Ermellini hanno chiarito che, nel settore del pubblico impiego, la determinazione dello stipendio è rigidamente vincolata alle previsioni dei contratti collettivi.

Il Principio di Esclusività della Contrattazione Collettiva

La normativa di settore (in particolare il D.Lgs. 165/2001) riserva alla contrattazione collettiva la definizione del trattamento economico fondamentale e accessorio. Ciò significa che né il datore di lavoro pubblico né, tantomeno, il giudice possono attribuire trattamenti diversi o più favorevoli rispetto a quanto stabilito dai contratti. L’unica eccezione prevista è quella dello svolgimento di mansioni superiori, ma nel caso di specie i lavoratori non chiedevano un inquadramento superiore, bensì un’integrazione economica all’interno della loro stessa categoria.

Limiti all’Applicazione dell’Art. 36 della Costituzione

Sebbene il diritto a una retribuzione equa e proporzionata sia un principio costituzionale, nel pubblico impiego si presume che la retribuzione definita dalla contrattazione collettiva sia già conforme a tali parametri. Il giudice non può disapplicare le norme contrattuali per creare una ‘giustizia del caso singolo’. Questo sistema è pensato per garantire uniformità di trattamento e sostenibilità finanziaria per la pubblica amministrazione. La Corte ha inoltre osservato che la professionalità degli avvocati era già riconosciuta e compensata, ad esempio, attraverso la partecipazione alla ripartizione dei compensi liquidati nelle cause vinte dall’ente.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha motivato la sua decisione sottolineando la netta distinzione tra impiego pubblico e privato. Nel pubblico impiego, il rapporto di lavoro è condizionato da vincoli di interesse pubblico e di compatibilità finanziaria. La legge ha quindi delegato in via esclusiva alle parti sociali (sindacati e rappresentanti dei datori di lavoro pubblici) il compito di definire la struttura delle retribuzioni. Qualsiasi intervento del giudice volto a modificare tale struttura costituirebbe un’indebita ingerenza in una materia riservata alla contrattazione. La Corte ha specificato che la legge stessa prevede strumenti per valorizzare le professionalità specifiche, come quelle che richiedono l’iscrizione ad albi (art. 40, D.Lgs. 165/2001), ma sempre all’interno del perimetro della negoziazione collettiva. In assenza di una specifica previsione contrattuale, non può essere il giudice a creare nuove voci retributive.

Le Conclusioni

In conclusione, la Cassazione ha cassato la sentenza d’appello e, decidendo nel merito, ha respinto l’originaria domanda dei lavoratori. Questa ordinanza rafforza il principio della centralità della contrattazione collettiva nella determinazione della retribuzione avvocati pubblici e di tutti i dipendenti pubblici. La professionalità e le responsabilità specifiche devono trovare riconoscimento e adeguata remunerazione attraverso gli strumenti previsti dai contratti di categoria, senza che il giudice possa sostituirsi alle parti sociali nella definizione del trattamento economico.

Un giudice può aumentare la retribuzione di un avvocato pubblico se la ritiene non adeguata alla sua professionalità?
No. Secondo la Corte di Cassazione, nel pubblico impiego la determinazione del trattamento economico è riservata in via esclusiva alla contrattazione collettiva. Il giudice non può creare o modificare voci retributive, neanche in applicazione del principio di equa retribuzione dell’art. 36 Cost., se le mansioni svolte rientrano nella categoria di inquadramento del dipendente.

La contrattazione collettiva è l’unica fonte per determinare lo stipendio nel pubblico impiego?
Sì, per quanto riguarda la definizione del trattamento economico fondamentale e accessorio. La legge (D.Lgs. 165/2001) stabilisce che la contrattazione collettiva determina la struttura della retribuzione e il datore di lavoro pubblico non può attribuire trattamenti diversi, neanche se più favorevoli, salvo i casi espressamente previsti dalla legge come il compenso per mansioni superiori.

L’iscrizione a un albo professionale dà automaticamente diritto a una retribuzione superiore rispetto ad altri colleghi della stessa categoria?
No, non automaticamente. La legge prevede che la contrattazione collettiva possa definire discipline distinte per le figure professionali che richiedono l’iscrizione ad albi. Tuttavia, in assenza di una specifica previsione nel contratto collettivo di riferimento, la sola iscrizione all’albo non è sufficiente per rivendicare in via giudiziale un trattamento economico superiore a quello previsto per la propria categoria di appartenenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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