Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31653 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31653 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 09/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2924/2019 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE SARDEGNA , in persona del legale rappresentante pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’ Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
– controricorrente –
nonché contro
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME tutti elettivamente
domiciliati in Roma INDIRIZZO, presso lo studio dell ‘ avv. NOME COGNOME che li rappresenta e difende
– controricorrenti –
nonché contro
NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliate in Roma INDIRIZZO presso il dott. NOME COGNOME rappresentate e difese dagli avv. NOME COGNOME ed NOME COGNOME
– controricorrenti – avverso la sentenza n. 317/2018 de lla Corte d’Appello di Cagliari, depositata il 13.11.2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24.10.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Regione Sardegna impugna la sentenza della Corte d’Appello di Cagliari che riformando in parte qua la decisione del Tribunale della medesima città -ha riconosciuto agli attuali controricorrenti, funzionari di area D addetti all’attività di supporto agli avvocati regionali, il diritto di ricevere la retribuzione di posizione spettante ai dirigenti di staff in aggiunta al trattamento economico già percepito. Ciò a decorrere dal maggio 2007, ovverosia da quando i lavoratori -tutt i avvocati iscritti all’albo avevano iniziato a svolgere attività di patrocinio legale della Regione.
Il ricorso per cassazione è affidato a tre motivi.
I lavoratori si sono difesi con tre distinti controricorsi, come indicato in epigrafe.
I difensori dei controricorrent i (con l’eccezione d el difensore di NOME Silvio COGNOME hanno depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la
trattazione in camera di consiglio ai sensi de ll’ art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente si deve osservare che il ricorso è tempestivo, e quindi ammissibile.
Innanzitutto esso è stato validamente e tempestivamente notificato a uno dei controricorrenti (NOME COGNOME presso il suo difensore costituito in appello.
Quanto agli altri controricorrenti, una prima notifica venne effettuata a un indirizzo PEC errato, perché appartenente a una avvocata perfettamente omonima della patrocinatrice costituita in grado d’appello. La notifica venne quindi rinnovata all’indirizzo PEC corretto dopo che era spirato il termine breve decorrente dalla notificazione della sentenza (art. 325 c.p.c.); per questo i difensori dei controricorrenti interessati hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso per cassazione, in quanto tardivo.
1.1. Si deve tuttavia osservare che la seconda notifica (di cui non sono in discussione la validità e l’efficacia) ha sanato ex tunc la prima, posto che questa -perfezionata all’indirizzo PEC errato -non era inesistente, ma soltanto nulla e, dunque, sanabile mediante la costituzione in giudizio del destinatario o mediante la rinnovazione spontanea da parte del notificante oppure su ordine del giudice ex art. 291 cod. proc. civ.
È infatti principio acquisito, dopo essere stato affermato con chiarezza da Cass. S.U. n. 14916/2016, che qualsiasi vizio della notificazione -diverso dalla «mancanza di trasmissione svolta da un soggetto qualificato» o dalla «mancata consegna», intesa come mancato perfezionamento -comporta mera nullità
e non inesistenza dell ‘ atto. In particolare, il luogo (fisico o virtuale) in cui la notificazione del ricorso per cassazione viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell ‘ atto, sicché anche quando quel luogo si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, si ricade sempre nell ‘ipotesi di nullità.
E la nullità della notifica è sempre sanata ex tunc nei casi di raggiungimento dello scopo ovvero di valida rinnovazione, spontanea o in adempimento dell’ordine del giudice .
La valida rinnovazione spontanea della notificazione nulla determina l’effetto sanante ex tunc a prescindere da requisiti di tempestività. Ad ogni buon conto, nel caso di specie la nuova notifica all’indirizzo PEC corretto è intervenuta venti giorni dopo la prima e, quindi, in meno della metà del tempo previsto dalla legge per proporre il ricorso per cassazione (art. 325, comma 2, c.p.c.). Il che la qualificherebbe come tempestiva secondo il canone indicativo dettato da Cass. S.U. n. 14594/2916, dettato, peraltro, per la diversa ipotesi di notificazione non perfezionata.
Ciò posto, il primo e il secondo motivo di ricorso sono entrambi rubricati «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 36 Cost., degli artt. 2, 40 e 52 d.lgs. n. 165 del 2001, degli artt. 47 e 48 l.r. Sardegna n. 31 del 1998, nonché del CCRL 2001 Allegato A, sotto il profilo di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.».
La ricorrente contesta alla Corte d’Appello di avere violato il principio secondo cui la determinazione del trattamento retributivo è riservata alla contrattazione collettiva, sicché al giudice non è dato alcun potere di riconoscere una maggiorazione retributiva nel caso in cui -come in quello di
specie -venga escluso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla categoria di inquadramento.
La ricorrente osserva, inoltre, che la professionalità propria del dipendente di area D che svolge anche funzioni di avvocato e già premiata con la partecipazione alla ripartizione delle somme riscosse a titolo di compensi liquidati sulle cause vinte, come previsto dall’art. 47 , comma 9 -bis , della legge regionale n. 31 del 1998. Sostiene, altresì, di avere dimostrato che gli avvocati inquadrati in area D percepivano una retribuzione maggiore rispetto a quella degli altri dipendenti con lo stesso inquadramento.
I due motivi, da valutare congiuntamente in ragione della stretta connessione tra di loro, sono fondati.
3.1. La Corte territoriale ha innanzitutto constatato che gli attuali controricorrenti «non domandano un inquadramento diverso da quello in categoria D». Ha quindi espresso il giudizio che «la categoria D sia astrattamente compatibile con le funzioni di avvocato». La causa non verte, pertanto, sullo svolgimento di fatto di mansioni superiori rispetto a quelle previste dall’inquadramento dei lavoratori.
Ciò premesso, il giudice d’appello ha tuttavia affermato che la peculiare professionalità connessa allo svolgimento di mansioni per le quali è necessaria l’iscrizione all’albo degli avvocati (mentre per accedere alla categoria D è sufficiente il diploma di laurea) impone un trattamento economico differenziato e superiore rispetto a quello assicurato dalla semplice appartenenza alla categoria. In particolare, nella sentenza impugnata si è statuito che siffatto trattamento economico differenziato, in mancanza di coerenti disposizioni
nella contrattazione collettiva, deve essere determinato dal giudice in diretta attuazione dell’art. 36 Cost. , che attribuisce al lavoratore il «diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro».
3.2. In tal modo, però, la decisione della Corte territoriale si pone in contrasto con la specifica normativa di legge in materia di pubblico impiego, così come interpretata in modo costante e condivisibile nella giurisprudenza di legittimità.
Si è scritto, infatti, che « il parametro di riferimento per la stessa configurabilità in astratto di una ‘prestazione aggiuntiva’ deve essere il sistema di classificazione dettato dalla contrattazione collettiva, giacché la mansione potrà essere considerata ulteriore rispetto a quelle che il datore di lavoro può legittimamente esigere ex art. 52 d.lgs. n. 165/2001 solo a condizione che la stessa esuli dal profilo professionale delineato in via generale dalle parti collettive » (Cass. n. 3816/2021; conf. Cass. nn. 16094/2016; 12358/2014).
Gli artt. 2 e 45 del d.lgs. n. 165 del 2001 « riservano, poi, alla contrattazione collettiva la definizione del trattamento economico fondamentale ed accessorio, escludendo che il datore di lavoro pubblico, nel contratto individuale, possa attribuire un trattamento diverso, anche se di miglior favore per il dipendente » (Cass. 3816/2021 cit.). È una disciplina legale che tiene conto delle perduranti peculiarità relative alla natura pubblica del datore di lavoro, condizionato nella organizzazione del lavoro da vincoli strutturali di conformazione al pubblico interesse e di compatibilità finanziaria con le risorse disponibili (Cass. nn. 11405/2010; 11835/2009).
3.3. Coerente con tale sistema è anche l’art. 40 del d.lgs. n. 165 del 2001, laddove, nel testo all’epoca vigente, demandava ai «contratti collettivi di comparto» la definizione di «discipline distinte» per «le figure professionali che, in posizione di elevata responsabilità, svolgono compiti … che comportano iscrizione ad albi». Pressoché identica è anche la disposizione contenuta nell’art. 58, comma 3, della legge n. 31 del 1998 della Regione Sardegna, la quale, peraltro, ha potestà legislativa in questa materia solo nel rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, tra le quali rientrano quelle sul trattamento economico dei pubblici impiegati (Corte cost. n. 153/2021).
Ne consegue che, in mancanza, negli anni di cui qui si discute, di una specifica previsione nel contratto di comparto, non può essere il giudice a modificare il trattamento economico corrisposto in misura conforme alla contrattazione collettiva.
3.4. A tale risultato non è possibile giungere nemmeno in applicazione dell’art. 36 Cost. Non certo perché i parametri di sufficienza e proporzionalità della retribuzione non operino anche nel pubblico impiego, bensì perché si deve presumere la conformità a tali parametri della retribuzione come stabilita nella contrattazione collettiva.
Sebbene non si tratti di una presunzione assoluta, non si può estendere al pubblico impiego la recente giurisprudenza che, nell’ambito de l lavoro privato, ha ammesso il potere e il dovere del giudice di utilizzare l’art. 36 Cost. anche per disapplicare le previsioni della contrattazione collettiva. Soluzione alla quale si giunge evidenziando il nuovo contesto sociale di «lavoro povero», ovvero di «povertà nonostante il
lavoro», in cui si verificano fenomeni di « dumping salariale» e di «frammentazione della contrattazione collettiva» che la rende incapace di contrastare forme di «competizione salariale al ribasso» (Cass. n. 27711/2023).
Si tratta di aspetti estranei al lavoro nel pubblico impiego e, tanto più, non pertinenti nel caso di specie in cui i funzionari -oltre a percepire la retribuzione contrattualmente prevista per la loro categoria di appartenenza -beneficiavano, in quanto avvocati, di una partecipazione alla ripartizione dei compensi incassati dalla Regione a titolo di rifusione delle spese legali in esito alle cause vinte.
Il terzo motivo di ricorso (rubricato «omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti , sotto il profilo di cui all’art. 360, comma 1., n. 5, c.p.c.») rimane assorbito dall’accoglimento dei due motivi precedenti.
Dal l’accoglimento del ricorso consegue la cassazione del l’impugnata sentenza e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito (art. 384, comma 2, c.p.c.) con la reiezione dell’originario ricorso dei lavoratori.
Nonostante la totale soccombenza dei lavoratori, si ravvisano i presupposti per la compensazione delle spese dell’intero processo , considerato il diverso esito dei due gradi di merito.
7 . Si dà atto che, in base all’esito del giudizio, non sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, respinge l’originaria domanda de i lavoratori;
compensa le spese dell’intero processo .
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della