Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31808 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31808 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 10/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28164/2022 R.G. proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che li rappresenta e difende
– ricorrenti –
contro
della Fonte di Fauno n. 25
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2367/2022 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 30.5.2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23.10.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
I ricorrenti -dipendenti dell’RAGIONE_SOCIALE Roma RAGIONE_SOCIALE, in servizio presso l’ospedale INDIRIZZO , che fino al 31.12.2014 era costituito in autonoma azienda ospedaliera -chiesero e ottennero dal Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, decreto ingiuntivo per il pagamento delle spettanze maturate negli anni 2015 e 2016 quali componenti dell’ equipe incaricata di eseguire le attività trasfusionali in favore delle aziende sanitarie private convenzionate con l’azienda pubblica per la fornitura di tale servizio.
L ‘opposizione al decreto ingiuntivo proposta dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE venne respinta dal Tribunale, con sentenza che, prontamente impugnata, fu riformata dalla Corte d’Appello di Roma, che accolse l’opposizione all’ingiunzione .
Contro la sentenza della Corte territoriale i lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi.
L ‘Azienda sanitaria si è difesa con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2103 e degli a rt. 2501 e ss. in tema di fusione in violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2112 c.c.».
I ricorrenti censurano, nella sentenza impugnata il riferimento all’applicazione dell’art. 2112 c.c., che ritengono non pertinente al loro caso, avendo iniziato a prestare servizio
presso il centro trasfusionale del l’ospedale San INDIRIZZO solo nel corso dell’anno 2015, quando era già in corso il processo di soppressione dell’Azienda Ospedaliera e di subentro dell’A.S.L. Roma E, poi a sua volta soppressa con la costituzione dell’A.S.L. Roma 1.
Inoltre, il motivo è volto ad affermare, sulla base dell’esegesi delle norme legislative regionali, la sopravvivenza dell’A zienda Ospedaliera San Filippo Neri anche dopo il 31.12.2014 e, in particolare, fino al 31.12.2015, al fine di prolungare nel tempo anche la disciplina dettata, per questo aspetto dei rapporti di lavoro, dalla delibera n. 77/2004 adottata dall’Azienda ospedaliera.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. , «violazione e/o falsa applicazione dell ‘art. 2103 e 2112 c.c., nonché dell’art. 15 -quinquies del d.lgs. n. 502/1992».
I ricorrenti rivendicano il diritto al trattamento economico a suo tempo praticato dalla soppressa Azienda Ospedaliera San Filippo Neri con riguardo alla partecipazione alle attività trasfusionali eseguite in favore delle aziende private. In particolare, rivendicano il diritto alla quota di rispettiva spettanza sul 20% esposto nelle fatture emesse dall’RAGIONE_SOCIALE nei confronti delle aziende private, da ripartire tra tutti i componenti dell’ equipe impegnata in quel servizio.
Il motivo censura la sentenza impugnata laddove questa ha ritenuto che, con l’incorporazione dell’Azienda Ospedaliera San Filippo Neri nell’A .S.L. Roma E, prima (dal 1°.1.2015), e nell’A.S.L. Roma 1, poi (dal 1°.1.2016), in forza dell’art. 2112 c.c. sarebbe divenuto applicabile anche ai rapporti di lavoro con i lavoratori impiegati presso il centro tr asfusionale dell’ospedale
San Filippo Neri il diverso regime già applicato ai dipendenti delle aziende sanitarie incorporanti.
Il terzo motivo del ricorso principale denuncia, sempre in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2103 e dell’art. 15 -quinquies del d.lgs. n. 502/1992, avuto precipuo riguardo al decreto del Ministro della Sanità del 1°.9.1995, alla legge regionale del Lazio n. 48/1995 ed ai provvedimenti regionali D.G.R. 376/2001 e 342/2008».
I ricorrenti desumono dalle disposizioni che si assumono violate la fonte del proprio diritto al pagamento dei compensi aggiuntivi così come azionati con il ricorso per decreto ingiuntivo, rilevando che non si tratta di compenso per lavoro straordinario, né di attività libero professionale svolta intra moenia .
Il quarto motivo denuncia: «vizio di cui a ll’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. per omesso esame di un fatto storico consistente nel fatto che l’unica contrattazione collettiva aziendale svolta presso la RAGIONE_SOCIALE Roma E prima del 2015 era quella culminata nell’accordo sindacale ratificato il 2.12.2009, fatto che aveva costituito oggetto di discussione tra le parti ed era decisivo per il giudizio».
Il motivo, sul ribadito presupposto che un regime del trattamento economico deteriore presso le aziende incorporanti potrebbe essere giustificato solo dalle previsioni di un diverso contratto collettivo, contesta alla Corte territoriale di non avere esaminato il fatto che una siffatta previsione non è contemplata nel contratto collettivo aziendale stipulato nel 2009 presso l’RAGIONE_SOCIALE
I quattro motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, in ragione della stretta connessione tra di loro, sono infondati.
5.1. La Corte d’Appello di Roma, per decidere la causa tra i ricorrenti e l’RAGIONE_SOCIALE Roma 1, ha innanzitutto preso atto che le delibere adottate da tale Azienda, a differenza di quelle a suo tempo adottate dall’Azienda Ospedaliera San Filippo Neri , non prevedevano la distribuzione automatica del 20% aggiuntivo fatturato sul l’attività trasfusion ale resa alle aziende private tra tutti i dipendenti coinvolti, bensì la remunerazione dei dipendenti per tale attività solo se resa al di fuori del normale orario di servizio, come lavoro straordinario o prestazioni libero professionali intra moenia . La Corte ha quindi ritenuto -facendo riferimento all’art. 2112 c.c. che il nuovo datore di lavoro non fosse tenuto ad applicare ai lavoratori trasferiti per effetto dell’incorporazione dell’Azienda Ospedaliera San Filippo Neri (o comunque impiegati presso il centro trasfusionale di quell’ospedale) il medesimo trattamento economico già applicato in quel contesto, potendo applicare il medesimo regime di trattamento economico ai tutti i propri dipendenti.
5.2. La critica nei confronti di tale impostazione si incentra sostanzialmente sul rilievo che il diverso regime applicato dall’A.S.L. Roma 1 non troverebbe una valida base normativa idonea a giustificare la sopravvenuta disapplicazione della delibera n. 77/2004 a suo tempo adottata ed applicata dall’Azienda ospedaliera San Filippo Neri . In particolare, si osserva che presso l’Azienda Sanitaria Locale Roma E , nella quale fu incorporata l’Azienda Ospedaliera San Filippo Neri e che poi a sua volta confluì nell’RAGIONE_SOCIALE Roma RAGIONE_SOCIALE, non fu mai stipulato un contratto collettivo aziendale che prevedesse la ripartizione tra i lavoratori del 20% aggiuntivo fatturato alle aziende private
solo a titolo di remunerazione di lavoro straordinario o di attività libero professionale intra moenia .
5.3. Il ricorso è infondato.
La Corte d’Appello h a basato la sua decisione su un confronto tra le delibere adottate dalle diverse aziende -e, quindi, svolto sul piano omogeneo dei diversi regolamenti interni -stabilendo che l’A.SRAGIONE_SOCIALE Roma 1 non poteva essere vincolata al rispetto delle delibere a suo tempo adottate dalla cessata Azienda Ospedaliera San Filippo Neri.
Giustamente i ricorrenti sollecitano un approfondimento del confronto al più appropriato livello della «normativa primaria e secondaria» e, soprattutto, dei contratti collettivi di lavoro, uniche fonti abilitate a definire il trattamento economico nel pubblico impiego (artt. 24 e 45 d.lgs. n. 165 del 2001). Ma tale rilievo vale prima di tutto per il trattamento economico goduto presso l’A zienda Ospedaliera San Filippo Neri, trattandosi di individuare una fonte legale o contrattuale del credito azionato dai ricorrenti con il ricorso per decreto ingiuntivo.
5.4. Ebbene, i ricorrenti non indicano la fonte del proprio vantato diritto in un contratto collettivo nazionale di lavoro.
Nemmeno viene indicato un contratto collettivo aziendale di lavoro stipulato dall’A zienda Ospedaliera San Filippo Neri che prevedesse la ripartizione automatica del 20% fatturato alle aziende private tra tutti i lavoratori impegnati nell’attività di trasfusione. Ciò fermo restando che un contratto collettivo aziendale potrebbe disporre retribuzioni aggiuntive soltanto nei limiti in cui ciò sia previsto e consentito dalla contrattazione collettiva nazionale (Cass. nn. 24807/2023; 21316/2022).
Per quanto riguarda le fonti legislative, a parte l’ art. 15 -quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992, menzionato soltanto per escluderne la pertinenza nel caso di specie (in quanto disciplina
l’attività libero professionale intra moenia dei dirigenti medici), la ricorrente cita, in premessa, la legge n. 107 del 1990 (peraltro pressoché integralmente abrogata dalla legge n. 219 del 2005) e la legge regionale Lazio n. 48 del 1995. Queste disposizioni contengono però norme volte a disciplinare l’organizzazione del servizio trasfusionale, non il rapporto di lavoro con i dipendenti delle aziende sanitarie che svolgono quel servizio.
L’art. 2103 c.c. è indicato in rubrica senza che se ne spieghi l’utilità a sostegno della domanda , in una causa che non riguarda l’esercizio di mansioni inappropriate al livello di inquadramento dei lavoratori. Quanto all’art. 2112 c.c., anch’ esso è citato solo per escluderne la pertinenza nel caso di specie e, in ogni caso, in quanto delinea solo i presupposti per il mantenimento dei diritti già acquisiti presso un precedente datore di lavoro, non può costituire esso stesso la fonte di quei diritti.
Viene quindi invocato il decreto del Ministero della Sanità 1°.9.1995 (contenente la «disciplina dei rapporti tra le strutture pubbliche provviste di servizi trasfusionali e quelle pubbliche e private, accreditate e non accreditate, dotate di frigoemoteche»), al quale è allegato uno «Schema-tipo di convenzione per il servizio di medicina trasfusionale», il cui art. 12, rubricato «rapporti economici», dispone: «L ‘ azienda sanitaria fatturerà mensilmente alla casa di cura: … f ) contributo alle spese di funzionamento generale della struttura trasfusionale produttiva della prestazione e della consulenza tecnico-scientifica fornita, pari al 20% del fatturato complessivo».
È dunque questa la disposizione -di rango sublegislativo e non contrattuale -che prevede la fatturazione di un contributo, pari al 20% dell’importo complessivo delle altre voci
esposte in fattura, destinato però a remunerare, non direttamente i lavoratori coinvolti nel servizio, bensì le «spese di funzionamento generale della struttura trasfusionale produttiva della prestazione e della consulenza tecnicoscientifica fornita».
Tale destinazione del 20% a copertura delle spese di «funzionamento generale della struttura» richiederebbe una successiva contrattazione collettiva che stabilisse la misura e le modalità dell ‘ attribuzione di quanto incassato ai dipendenti interessati, i quali di quella struttura sono parte essenziale, ma non esclusiva.
In mancanza di tale previsione contrattuale, i ricorrenti indicano la fonte del proprio diritto soggettivo nelle delibere della Giunta regionale del Lazio n. 376 del 2001 e n. 345 del 2008. L’art. 15 di quest’ultima (che ha aggiornato la precedente) stabilisce, in effetti, tra l’altro, che «Per le attività trasfusionali svolte nei confronti delle case di cura private ai sensi dell’art 1, comma 1, del Decreto del Ministro della Sanità 10.9.1995 compete una quota del 20% del fatturato complessivo derivante dalla convenzione in favore del personale dell’ equipe del centro stesso». In altri termini, il 20% del fatturato -che secondo il Decreto ministeriale citato ristora le spese di «funzionamento generale della struttura» e, quindi, appartiene all’Azienda -viene qui invece attribuito alla « equipe del centro», cioè direttamente ai lavoratori.
Sennonché, tale delibera regionale non può rappresentare la fonte normativa del credito vantato dai ricorrenti, per una duplice ragione.
Innanzitutto, come già rilevato sopra, il trattamento economico dei pubblici impiegati deve essere quello previsto dai
contratti collettivi e non può essere incrementato in forza di un atto amministrativo (artt. 24 e 45 d.lgs. n. 165 del 2001).
In secondo luogo, la delibera regionale n. 345 del 2008 (al pari di quella precedente del 2001) non è volta a disciplinare i compensi incentivanti, cioè il tipo di retribuzione aggiuntiva vantato dai ricorrenti, bensì contiene le «linee guida per l’esercizio della libera professione intramuraria della Regione Lazio», ovverosia la disciplina proprio di quel tipo di attività che, secondo i ricorrenti, non dovrebbe avere niente a che fare con la remunerazione da loro pretesa. Si tratta inoltre di disposizioni applicabili solo ai dirigenti , come precisato all’art. 2 della delibera.
5.5. In definitiva è evidente la contraddizione in cui cade la tesi sostenuta dai ricorrenti: in mancanza di una norma della contrattazione collettiva che gli riconosca il diritto fatto valere a titolo di compenso incentivante, invocano una disposizione che, oltre a non avere rango adeguato nel sistema delle fonti del diritto del pubblico impiego privatizzato, è diretta a disciplinare l’attività libero professionale intramuraria dei dirigenti e non la retribuzione del lavoro dei dipendenti a vario titolo coinvolti nella fornitura all’esterno del servizio emostrasfusionale nell’adempimento del normale debito orario lavorativo .
Nel consegue che risulta corretto il dispositivo della sentenza impugnata (accoglimento dell’opposizione e revoca del decreto ingiuntivo), quantunque la motivazione sia carente per essersi limitata a considerare e confrontare i diversi regolamenti interni delle aziende, senza affrontare il tema essenziale della fonte contrattuale del credito fatto valere (art. 384, comma 4, c.p.c.).
Il diverso esito del processo nei due gradi di merito giustifica l’integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
Si dà atto che, in base all’esito del ricorso, sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
compensa le spese del giudizio di legittimità;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della