Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32498 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32498 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/12/2024
coprivano le prestazioni ed i costi a carico della ASL, a ripagare del maggior lavoro erogato dal personale del Centro Trasfusionale per mezzo del quale veniva garantito il corrispondente servizio per gli esterni, sicché quegli importi erano di spettanza dei lavoratori; inoltre, l’art. 11 cit. e l’art. 15 della Delibera n. 341/08 che ne riproduceva il contenuto stabilivano che per le attività trasfusionali competesse una quota del 20 % del fatturato complessivo derivante dalla convenzione in favore del personale del centro
stesso e ciò, in ragione di quanto affermato da una nota dell’Assessorato regionale alla sanità del 13.7.2005 che, ribadendo il dovere delle strutture sanitarie provviste di Centro trasfusionale di corrispondere al personale il compenso in questione in ragione dell’incremento dei carichi di lavoro a tutto vantaggio economico per l’Azienda sanitaria, non poteva far residuare dubbi sul diritto dei ricorrenti a percepire quanto rivendicato in causa;
2.
il motivo, nella parte in cui con esso si tenta di indurre, anche attraverso il richiamo a profili di valutazione letterale, ad una diversa interpretazione della Delibera n. 376/2001, è inammissibile;
risultando coinvolto un atto non normativo vale infatti il principio per cui « in tema di ermeneutica contrattuale (da estendere ex art. 1324 c.c. all’interpretazione degli altri atti unilaterali, quale è una Delibera di Giunta, n.d.r.), l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c. » sicché « il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali », principi cui si aggiunge il corollario per cui « la parte che ha proposto una delle opzioni ermeneutiche possibili di una clausola contrattuale, non può contestare in sede di giudizio di legittimità la scelta alternativa alla propria effettuata dal giudice del merito (Cass. 15 novembre 2017, n. 27136; Cass. 3 luglio 2024, n. 18214);
nel caso di specie, il generico richiamo ad un presunto piano testuale, individuato nel dato (negativo) dell’assenza di riferimenti alle modalità di svolgimento delle attività trasfusionali regolate nella norma delle Delibera, esprime in realtà un’apodittica affermazione di un certo significato di merito;
ciò rende appunto inammissibile la censura, perché tale da proporre una diversa lettura del senso dell’impostazione testuale, pur non potendosi sottacere che il motivo fa per giunta leva su un profilo, quello delle modalità di svolgimento delle attività interessate, da ritenere sul piano letterale non tanto equivoco, quanto proprio contrario alla tesi propugnata, dato l’inserirsi del tutto nell’ambito delle Linee Guida per l’attività libero -professionale, sicché non si vede come, in assenza di contraria espressa previsione, si possa pensare che in quel modo si regolasse il pagamento di prestazioni c.d. ‘istituzionali’;
2.1 esito non diverso ha anche il richiamo al contenuto del D.M. del
1995 ed alla corrispondente convenzione-tipo;
si tratta di D.M. contenente la « disciplina dei rapporti tra le strutture pubbliche provviste di servizi trasfusionali e quelle pubbliche e private, accreditate e non accreditate, dotate di frigoemoteche », al quale è allegato uno « Schema-tipo di convenzione per il servizio di medicina trasfusionale », il cui art. 12, rubricato « rapporti economici », dispone: « L’azienda sanitaria fatturerà mensilmente alla casa di cura: … f) contributo alle spese di funzionamento generale della struttura trasfusionale produttiva della prestazione e della consulenza tecnico-scientifica fornita, pari al 20% del fatturato complessivo »;
la disposizione prevede la fatturazione di un contributo, pari al 20% dell’importo complessivo delle altre voci esposte in fattura, destinato però a remunerare non direttamente i lavoratori coinvolti nel servizio, bensì le « spese di funzionamento generale della
struttura trasfusionale produttiva della prestazione e della consulenza tecnico-scientifica fornita »;
tale destinazione del 20% a copertura delle spese di « funzionamento generale della struttura », per consentire il riconoscimento dell’attribuzione di quanto incassato ai dipendenti interessati, richiederebbe una successiva contrattazione collettiva che stabilisse in tal senso, regolandone misure e modalità;
il trattamento economico dei pubblici impiegati non può infatti che essere quello previsto dai contratti collettivi e non può essere incrementato in forza di un atto amministrativo o di una mera scelta del datore di lavoro pubblico (artt. 24 e 45 d.lgs. n. 165 del 2001; Cass. 4 maggio 2021, n. 111645; Cass. 9 maggio 2022, n. 14672);
il richiamo a quel D.M. non vale dunque, in sé solo, a fondare alcun diritto retributivo;
2.2
del resto, la delibera regionale del 2001 è stata intesa dalla Corte territoriale non come volta a disciplinare i compensi incentivanti, cioè il tipo di retribuzione aggiuntiva vantata dai ricorrenti, bensì -in coerenza con la sua intitolazione – le « linee guida per l’esercizio della libera professione intramuraria della Regione Lazio », ovverosia la disciplina proprio di quel tipo di attività che, secondo i ricorrenti, non dovrebbe avere niente a che fare con la remunerazione da loro pretesa;
tale interpretazione, come si è detto, resiste al motivo di censura qui sviluppato e non è per nulla incoerente con la previsione di un incremento del 20 % in ragione del costo del personale, di cui al citato D.M.;
ciò per l’evidente spiegazione che, se l’attività è svolta in regime di orario ordinario o c.d. istituzionale, essa costituisce costo per la ASL in misura corrispondente all’impegno del proprio personale nel lavoro per conto terzi, cui questi ultimi devono sopperire senza che
ciò comporti in sé incrementi retributivi, se non in quanto previsti da fonti collettive, mentre, qualora l’attività sia svolta in regime c.d. intramoenia, quell’aumento serve parimenti per rimborsare della remunerazione da questo punto di vista da erogare ai lavoratori per l’attività extra, che non è però quanto rivendicato in causa, essendo pacifico che l’attività sia stata svolta in forme ed orari c.d. istituzionali;
il tentativo, di cui al motivo qui in esame, di una rilettura della Delibera del 2001 alla luce del contenuto del D.M. non è dunque idoneo ad incidere sull’interpretazione di essa che è stata resa dalla Corte territoriale;
quel D.M. non attribuisce infatti il diritto alla prestazione rivendicata, sicché esso non poteva condizionare in tal senso la successiva impostazione regionale e la censura che mira ad una rilettura in questo senso è chiaramente fuori tiro;
2.3 tutto ciò rende altresì ininfluenti asseriti indirizzi provenienti da una nota dell’Assessore, chiaramente incapace ad introdurre o incidere sul riconoscimento di diritti retributivi che non derivino da fonti normative o contratti collettivi, dati i principi già sopra richiamati al
punto 2.1;
2.4
quanto alla delibera del 2008, gli stessi ricorrenti riferiscono di un contenuto di essa analogo o identico a quella del 2001 e quindi quanto sopra detto è comunque del tutto assorbente anche rispetto ad essa;
3.
il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c.) in riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c. per travisamento dei fatti ed errata valutazione delle prove documentali riguardanti le delibere aziendali;
il motivo spiega come le delibere valorizzate dalla Corte di merito (la quale fa riferimento ad esse come delibere « di Giunta », mentre i ricorrenti fanno riferimento ad esse come delibere del D.G. della ASL) non avessero mai avuto concreta applicazione all’interno dell’Azienda ed il personale aveva continuato a svolgere le prestazioni trasfusionali durante l’ordinario orario di lavoro, non essendo state mai stabilite dall’Azienda le modalità di esecuzione delle prestazioni al di fuori dell’orario di lavoro;
la censura, al di là della segnalata difformità tra sentenza e motivi nel riferire di quelle Delibere, è inammissibile perché essa non confuta per nulla l’assunto della Corte territoriale secondo cui presso l’Azienda solo le prestazioni svolte in regime di intramoenia avrebbero potuto comportare l’attribuzione di compensi sulla base della percentuale del fatturato di cui al citato D.M.;
infatti, se anche quelle ulteriori delibere non avessero avuto attuazione, come sostenuto dai ricorrenti, ciò non farebbe sorgere il loro diritto ad una remunerazione non sancito da altre fonti, legali o collettive, idonee a regolare la remunerazione in ambito di pubblico impiego rispetto al lavoro svolto in ambito ‘istituzionale’; 4.
il ricorso va dunque complessivamente disatteso;
5.
gli esiti giurisprudenziali alterni giustificano tuttavia la compensazione almeno per questo grado di giudizio;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro