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Retribuzione accessoria: no risarcimento senza criteri

Un segretario comunale ha citato in giudizio un Comune per ottenere un risarcimento del danno, sostenendo che l’ente non avesse attivato le procedure per riconoscergli la retribuzione accessoria legata a incarichi aggiuntivi. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione favorevole al dipendente, chiarendo che la concessione della retribuzione accessoria (sia di posizione che di risultato) è una facoltà discrezionale della Pubblica Amministrazione, vincolata alle risorse di bilancio, e non un diritto soggettivo del lavoratore. Di conseguenza, la mancata adozione dei criteri di determinazione non costituisce un inadempimento contrattuale risarcibile.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Retribuzione Accessoria nel Pubblico Impiego: Non è un Diritto Automatico

La questione della retribuzione accessoria per i dipendenti pubblici è spesso fonte di contenzioso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali, stabilendo che la mancata adozione da parte di un ente pubblico dei criteri per la determinazione di tali emolumenti non costituisce inadempimento contrattuale e, pertanto, non dà diritto al risarcimento del danno. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa: La Richiesta del Segretario Comunale

Un segretario comunale aveva svolto incarichi aggiuntivi rispetto a quelli propri del suo ruolo. Sulla base del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL), aveva inizialmente chiesto in giudizio il pagamento della retribuzione di posizione e di risultato. Il Tribunale aveva respinto la domanda, non perché gli incarichi non fossero stati svolti, ma perché il Comune non aveva mai adottato i criteri necessari per quantificare tali compensi, lasciando però aperta la porta a un’eventuale azione per responsabilità contrattuale.

Il dipendente ha quindi intentato una seconda causa, chiedendo il risarcimento del danno proprio per l’inadempimento del Comune nel non aver definito tali criteri. La Corte d’Appello, in riforma della decisione di primo grado, gli aveva dato ragione, condannando l’ente a pagare una somma a titolo di risarcimento.

Il Comune ha presentato ricorso in Cassazione, portando la questione all’attenzione della Suprema Corte.

Retribuzione Accessoria: La Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Comune, annullando senza rinvio la sentenza della Corte d’Appello e rigettando definitivamente la domanda del segretario comunale. Il principio affermato è netto: le indennità accessorie non costituiscono un diritto soggettivo automatico del dipendente.

La Natura Discrezionale della Retribuzione di Posizione

Analizzando la norma contrattuale relativa alla retribuzione di posizione (art. 41 CCNL), la Corte ha sottolineato come il testo utilizzi il verbo “possono” corrispondere. Questa scelta lessicale indica che l’erogazione di tale indennità è una facoltà meramente discrezionale dell’ente, non un obbligo. Tale discrezionalità è ulteriormente vincolata a precise condizioni: la disponibilità delle risorse e il rispetto della capacità di spesa. Di conseguenza, se l’ente non è obbligato a erogare la maggiorazione, non può nemmeno essere considerato inadempiente per non aver predisposto i criteri per la sua determinazione.

L’Indennità di Risultato e l’Assenza di Obbligo Contrattuale

Un ragionamento analogo è stato applicato alla retribuzione di risultato (art. 42 CCNL). La Corte ha ribadito un principio già consolidato per la dirigenza pubblica, estendendolo ai segretari comunali: la Pubblica Amministrazione non può essere ritenuta responsabile per danni derivanti dalla mancata conclusione di un contratto collettivo o dalla mancata attivazione di procedure di confronto sindacale. Tali attività rientrano nella sua autonomia e discrezionalità gestionale. Il giudice non può sostituirsi all’amministrazione nelle valutazioni che le competono, come la definizione degli obiettivi e la verifica dei risultati in base alle risorse disponibili.

Le Motivazioni della Corte sulla Retribuzione Accessoria

La motivazione centrale della Suprema Corte si fonda sulla distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo. La retribuzione accessoria, sia di posizione che di risultato, non è un diritto che sorge automaticamente in capo al lavoratore per il solo fatto di aver svolto mansioni aggiuntive. La sua erogazione è subordinata a una serie di decisioni discrezionali dell’ente datore di lavoro, che deve valutare la compatibilità finanziaria e l’opportunità della spesa.

L’assenza di un obbligo a monte di corrispondere tali emolumenti fa venire meno il presupposto stesso dell’inadempimento contrattuale. Se l’ente non era tenuto a pagare, la sua omissione nel definire i criteri di calcolo non può generare una responsabilità risarcitoria. La Corte ha inoltre rigettato la domanda subordinata di ingiustificato arricchimento, richiamando il principio di onnicomprensività della retribuzione nel pubblico impiego (art. 24, D.Lgs. 165/2001), che impedisce forme di remunerazione ulteriori rispetto a quelle previste dalla legge e dalla contrattazione, se non nei limiti da esse stabiliti.

Conclusioni: Implicazioni per i Dipendenti Pubblici

Questa ordinanza consolida un orientamento fondamentale per il lavoro pubblico. I dipendenti non possono pretendere un risarcimento del danno se l’amministrazione, nell’esercizio della sua discrezionalità e nel rispetto dei vincoli di bilancio, decide di non attivare o non finanziare specifici istituti retributivi accessori. La decisione rafforza l’autonomia gestionale degli enti pubblici nella politica salariale, ribadendo che l’erogazione di compensi aggiuntivi è una scelta e non un dovere. Per i lavoratori, ciò significa che la pretesa a tali voci retributive può essere fatta valere solo se e quando l’ente abbia formalmente deliberato di riconoscerle, stanziando le relative risorse e definendone i criteri di attribuzione.

Un dipendente pubblico ha diritto al risarcimento se l’ente non adotta i criteri per la retribuzione accessoria (di posizione e di risultato)?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la mancata adozione dei criteri non costituisce un inadempimento contrattuale risarcibile, poiché l’erogazione di tali emolumenti è una facoltà discrezionale dell’ente e non un diritto soggettivo del lavoratore.

La maggiorazione della retribuzione di posizione per incarichi aggiuntivi è un obbligo per la Pubblica Amministrazione?
No. La norma contrattuale usa il verbo “possono”, indicando che si tratta di una scelta discrezionale dell’ente, condizionata dalla disponibilità delle risorse finanziarie e dal rispetto della capacità di spesa.

Perché la Cassazione ha escluso anche la possibilità di un’azione per ingiustificato arricchimento?
L’azione è stata esclusa in virtù del principio di onnicomprensività della retribuzione nel pubblico impiego. Tale principio stabilisce che la retribuzione definita dalla legge e dai contratti collettivi copre tutte le funzioni e i compiti assegnati, impedendo il riconoscimento di compensi ulteriori se non espressamente previsti e regolamentati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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