Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31344 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31344 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8863/2021 R.G. proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’Avvocatura centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME unitamente agli avvocati COGNOME NOMECOGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 416/2020 pubblicata il 27/10/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Bologna, con la sentenza n.416/2020 depositata il 27 ottobre 2020, rigettava il gravame proposto da NOME COGNOME nella controversia con l’RAGIONE_SOCIALE
La controversia ha per oggetto l’accertamento della illegittimità della pretesa dell’Istituto previdenziale di restituzione della indennità di disoccupazione percepita tra il 30/08/2011 ed il 30/07/2012, ossia nel periodo intercorso tra il licenziamento del lavoratore e la sua reintegra a seguito di verbale di conciliazione che aveva posto termine alla lite pendente tra le parti.
Il Tribunale di Modena rigettava la domanda proposta dal COGNOME.
La corte territoriale ha ritenuto che nel verbale di conciliazione fosse univoca la ricostituzione del rapporto di lavoro senza soluzione di continuità, e dunque la insussistenza dello stato di disoccupazione; ha inoltre ritenuto che la prestazione richiesta in restituzione non rientrasse tra quelle in generale sottratte alla disciplina della ripetizione dell’indebito.
Per la cassazione della sentenza ricorre il COGNOME con ricorso affidato a due motivi. L’istituto previdenziale resiste con controricorso. Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt.2033 e 2036 cod. civ., degli artt.45, 73, 74, 75, 76 e 77 del R.d.l. n.1827/1935 con riferimento all’art.2033 cod. civ. «e di ogni altra norma che disciplina il diritto alla indennità di disoccupazione
e la estinzione di siffatto diritto», tra le quali la legge n.264/1949, la legge n.1115/1968, la legg e n.464/1972, l’art.2 della legge n. 92/2012 e gli artt. da 1 a 19 del d.lgs. n.22/2015, con riferimento all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ.. Deduce che il verbale di conciliazione ha previsto la riammissione in servizio del lavoratore, ma non il «mantenimento dello status economico maturato nel periodo compreso tra il licenziamento e la riammissione in servizio» e che, avuto riguardo alla funzione alimentare della indennità di disoccupazione sostitutiva della retribuzione mensile, non poteva ritenersi legittima la richiesta di restituzione della indennità di disoccupazione avanzata dall’I.N.P.S.. Sostiene che la rinuncia alla percezione delle retribuzioni nel periodo tra il licenziamento e la riammissione in servizio, prevista dal verbale di conciliazione, sia stata giustificata dalla percezione nel medesimo periodo della indennità di disoccupazione. Deduce la insussistenza dei requisiti previsti dalla legge e dalla giurisprudenza di legittimità per l’estinzione del diritto alla indennità di disoccupazione, ossia la effettiva ricostituzione del rapporto nei suoi aspetti giuridici ed economici.
Con il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt.2033 e 2036 cod. civ., dell’art.45 R.d .l. n.1827/1936, dell’art.52 comma 2 legge n.88/1989, dell’art.38 Cost. «nonché di ogni altra norma in materia di diritto alla indennità di disoccupazione e diritto alla sua restituzione», con riferimento all’art.360 comma primo cod. proc. civ.. Deduce la sussistenza del principio di buona fede di cui all’art.52 comma 2 legge 88/1989, alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale e di questa Corte, illustrate nel motivo.
Il primo motivo presenta profili di inammissibilità ed è comunque infondato.
Rileva il Collegio che la censura è inammissibilmente prospettata con riferimento ad una serie indeterminata di norme e principi
senza una chiara specificazione del loro contenuto precettivo raffrontato con le statuizioni della sentenza impugnata. Va qui ribadito che «l’onere di specificità dei motivi, di cui all’art. 366, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., impone al ricorrente, a pena d’inammissibilità della censura, di indicare puntualmente le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente ad indicare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare ─ con una ricerca esplorativa officiosa che trascende le sue funzioni ─ la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa» (Cass. Sez. U. 28/10/2020, n. 23745).
Peraltro il motivo è infondato.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, al quale si intende dare continuità, l’indennità di disoccupazione postula «l’involontaria disoccupazione per mancanza di lavoro, ossia quella inattività, conseguente alla cessazione di un precedente rapporto di lavoro, non riconducibile alla volontà del lavoratore, ma dipendente da ragioni obiettive e cioè mancanza della richiesta di prestazioni del mercato di lavoro (così Corte Cost. 16/07/1968, n. 103)» (Cass., Sez. Lav., 04/11/2019 n. 28295).
Con specifico riferimento al tema della sussistenza del requisito in parola nel caso di licenziamento con successiva ricostituzione ex tunc del rapporto di lavoro si è ritenuto che «lo stato di involontaria disoccupazione sussiste o meno per il sol fatto che sia stato ricostituito o meno il rapporto di lavoro» (Cass. Sez. Lav. 09/01/2024 n.854).
E ciò per la ragione che la ricostituzione ex tunc del rapporto ─ comunque disposta ─ determina la riviviscenza dello stato di occupazione.
La corte territoriale ha fatto corretta applicazione di questo principio di diritto, laddove ha ritenuto che il verbale di conciliazione sottoscritto dalle parti di causa nel corso del procedimento avente ad oggetto l’impugnazione del licenziamento producesse l’effetto della «effettiva ricostituzione del rapporto di lavoro», «senza soluzione di continuità».
In questa prospettiva è irrilevante il fatto che nel verbale di conciliazione le parti avessero altresì pattuito la rinuncia alle retribuzioni medio tempore maturate, in quanto tale pattuizione non incide sulla (in)sussistenza del requisito previsto dalla legge, ossia lo stato di disoccupazione involontaria.
Il secondo motivo è infondato. L’art.52 comma 2 legge n.88/1989 attribuisce rilevanza alla buona fede dell’ accipiens in un caso diverso da quello in esame alla Corte, ossia il caso della indebita percezione di ratei di pensione, prestazione affatto diversa da quella dedotta in giudizio.
Più in generale, deve escludersi in radice che il sottosistema dell’indebito assistenziale, sottratto dalla disciplina generale dettata dall’art.2033 cod. civ. per effetto delle pronunce della Corte costituzionale e di questa Corte richiamate dal ricorrente, sia applicabile alla materia delle prestazioni previdenziali non pensionistiche, soggette alla disciplina generale dettata dall’art.2033 cod. civ. (per tutte, Cass. Sez. Lav. 20/05/2021 n.13917).
Per questi motivi il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano in euro 2.000,00 per compensi oltre ad Iva, Cpa e rimborso spese generali, nonché euro 200,00 per esborsi.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che liquida in euro
2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, ed agli accessori di legge, oltre agli esborsi liquidati in Euro 200,00.
Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 15/11/2024.