Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26251 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 26251 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27271/2022 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE (C.F. e P_IVA), in persona del legale rappresentante, e COGNOME, entrambi rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO del Foro di RAGIONE_SOCIALE con distinte procure speciali in calce al ricorso ed elettivamente domiciliati in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO, presso lo studio del difensore;
-ricorrenti -contro
PROVINCIA DEL SUD SARDEGNA (CODICE_FISCALE), in persona dell’Amministratore Straordinario e legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO del Foro di Napoli, con procura speciale in calce al controricorso, giusta determinazione n. 201/2022, ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio del difensore;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE n. 292 depositata il 22 giugno 2022 e notificata il 21 settembre 2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 gennaio 2024 dal Presidente NOME COGNOME.
Osserva in fatto e in diritto
Ritenuto che :
con ricorso depositato presso il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e la società RAGIONE_SOCIALE proponevano opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione n. 39/2020 emessa dalla Provincia del Sud della Sardegna che ingiungeva loro il pagamento della somma di euro 24.300,00, per essere stato riscontrato, in seguito ad un controllo effettuato dall’RAGIONE_SOCIALE, presso l’impianto di depurazione comunale del Comune di Giba, il superamento dei limiti allo scarico di ‘ azoto nitrico ‘ , secondo il parametro previsto dalla tabella 3 dell’Allegato 5 alla parte terza, d.lgs. 2 aprile 2006, n. 152 e per avere accertato che lo scarico di acque reflue urbane avveniva senza la prescritta autorizzazione, scaduta nel marzo 2006;
instaurato il contraddittorio e istruita la causa, il Tribunale adito, con sentenza n. 2519 del 2020, accoglieva parzialmente il ricorso e rigettava in via preliminare l’eccezione il difetto di legittimazione passiva della società RAGIONE_SOCIALE, sostenendo che la società RAGIONE_SOCIALE, benché affidataria dell’impianto non potesse essere ritenuta responsabile della violazione, essendo la RAGIONE_SOCIALE, in persona del proprio Direttore generale NOME COGNOME, titolare dell’autorizzazione allo scarico dell’impianto di depurazione. Respingeva anche il merito, affermando la pacifica sussistenza della violazione dell’utilizzazione dello scarico senza autorizzazione e riteneva che l’impianto di depurazione fosse un impianto di tipo misto anche per il trattamento di scarichi industriali. Inoltre,
negava l’esistenza RAGIONE_SOCIALE esimenti dell’adempimento di un dovere e dello stato di necessità, non avendo i ricorrenti provato la sussistenza dei presupposti limitandosi ad allegare la vetustà dell’impianto. Tuttavia, rideterminava nel minimo la sanzione, pari ad euro 9.000,00, ritenendo non applicabile al caso di specie la disciplina della continuazione;
– in virtù di gravame interposto dagli originari ricorrenti, la Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, nella resistenza dell’appellata Provincia, con sentenza n. 292/2022, pubblicata il 22 giugno 2022, rigettava l’appello, confermando la sentenza impugnata.
La Corte territoriale, infatti, richiamando le proprie precedenti sentenze n. 584/2020 e n. 227/2021, in cui aveva affrontato le medesime questioni, confermava la legittimazione passiva della società RAGIONE_SOCIALE e del Direttore COGNOME, affermando che, al fine dell’irrogazione della sanzione amministrativa, la caratteristica determinante non fosse tanto la qualità di conduttore dell’impianto, quanto quella di Gestore del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, quale soggetto titolare RAGIONE_SOCIALE autorizzazioni e responsabile RAGIONE_SOCIALE eventuali violazioni RAGIONE_SOCIALE normative che l’impianto doveva rispettare, non potendo tale ruolo essere ceduto in alcun modo, spettando esclusivamente al conduttore dell’impianto; del resto, la giurisprudenza di legittimità riconosceva un vero e proprio ‘ principio di personalità dell’autorizzazione allo scarico ‘, per cui responsabile dello stesso poteva essere soltanto il titolare dell’autorizzazione.
Aggiungeva il giudice del gravame che erano insussistenti i presupposti RAGIONE_SOCIALE esimenti dello stato di necessità e dell’adempimento del dovere nella condotta illecita di scarico abusivo, stante il diniego del rinnovo dell’autorizzazione dovuto peraltro all’inidoneità del luogo di scarico, di cui era stata prevista la delocalizzazione con finanziamento nel 2014, ma ancora non realizzata per essere il progetto ancora in via di approvazione.
La Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE riteneva, altresì, corretta l’applicazione della tabella 3 dell’Allegato 5 al d.lgs. n. 152/2006 al caso di specie, sia per quanto previsto dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui per il trattamento RAGIONE_SOCIALE « acque reflue industriali, provenienti da un agglomerato, è altresì obbligatorio il rispetto dei valori limite di emissione » di cui alla tabella suddetta, sia per quanto prescritto nell’autorizzazione allo scarico dell’RAGIONE_SOCIALE, la quale qualificava il sistema fognario dei Comuni di Giba, Masainas e Piscinas come ‘ sistema fognario di tipo misto ‘, in cui confluivano anche acque meteoriche, e ‘ dimensionato per un numero di 4000 a.e. ». Pertanto, potevano applicarsi anche i commi 5 e 6, dell’art. 14 della Direttiva della Regione Autonoma della Sardegna, in materia di ‘ Disciplina Regionale agli scarichi ‘, approvata con Deliberazione G.R. n. 69/25 del 10.12.2008, che prescriveva il rispetto dei valori limite di emissione previsti dalle tabelle 1 e 3 dell’Allegato 5 al d.lgs. n. 152/2006 per « i titolari degli scarichi di acque reflue urbane in acque superficiali aventi dimensioni superiori a 2000 AE ». Infine, riteneva non adempiuto l’onere, posto in capo all’ingiunto, di provare i fatti impeditivi o estintivi della pretesa sanzionatoria, dimostrando ai sensi dell’art. 3 l. n. 689/1981, di avere agito in assenza di colpevolezza;
per la cassazione della sentenza della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME propongono ricorso, articolato in quattro motivi, cui resiste con controricorso la Provincia del Sud Sardegna;
-in prossimità dell’adunanza camerale parte ricorrente ha curato anche il deposito di memoria ex art. 380 bis. 1 c.p.c.
Atteso che :
con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 133, comma 1, e 124, comma 2 d.lgs. n. 152/2006, 27 Cost. e 7 l. n. 689/1981, nonché degli artt. 1704 e
1387 e ss. c.c., per avere il giudice del gravame violato il principio di responsabilità personale dell’autore della condotta, sanzionando la società per una presunta responsabilità oggettiva, non riconoscendo la sussistenza, in capo all’RAGIONE_SOCIALE, del difetto di legittimazione passiva, per avere la stessa affidato, con una procedura ad evidenza pubblica e per il periodo in cui si è verificata la violazione contestata, la gestione e la conduzione dell’impianto alla società RAGIONE_SOCIALE e riconoscendo la responsabilità della prima società solo perché titolare dell’autorizzazione allo scarico e Gestore RAGIONE_SOCIALE, senza tenere conto della delega RAGIONE_SOCIALE materiali funzioni di conduzione dell’impianto, in violazione anche del principio di solidarietà riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità nell’art. 6, l. 24 novembre 1981 n. 689, tra l’autore materiale dell’illecito e il detentore qualificato dell’impianto.
Inoltre, sarebbero state falsamente applicate le norme in materia di mandato, poiché sarebbe stato erroneamente ritenuto responsabile il Direttore generale NOME COGNOME, titolare soltanto di una procura speciale di ‘ rappresentanza e delega per le procedure di autorizzazione allo scarico ‘ e, sol per questo, formalmente intestatario dell’autorizzazione allo scarico, ciò non comportando alcuna sostituzione nella posizione sostanziale di ‘titolarità dello scarico’.
La censura sollevata con il primo motivo, alla luce della costante giurisprudenza di legittimità, è da ritenere infondata.
Il T.U. sull’Ambiente attribuisce al gestore dell’impianto di depurazione RAGIONE_SOCIALE acque reflue urbane il compito di garantire il raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale, ossia il rispetto degli obiettivi di qualità dei corpi idrici e il rispetto dei valori-limite di emissione previsti nell’Allegato 5. In particolare, sul gestore grava l’obbligo di verificare in continuazione l’idoneità del sistema di smaltimento a mantenere le acque reflue nei limiti
ammessi, per cui in caso contrario, sorge in capo allo stesso l’obbligo di attivarsi per effettuare i necessari interventi o denunziare all’ente proprietario dell’impianto le anomalie che ne impediscono il normale funzionamento. Pertanto, il gestore dell’impianto di depurazione da cui origina lo scarico riscontrato non in regola con i limiti di accettabilità previsti per legge è oggettivamente responsabile dell’accertata violazione, a meno che non ne dimostri la riconducibilità al fatto del terzo, avvenuto contro la sua volontà e senza possibilità di ovviarvi per tempo (Cass. n. 11479/2006 cit.). Medesima responsabilità grava, ai sensi dell’art. 124, comma 2 del d.lgs. n. 152 del 2006 sul titolare dell’autorizzazione allo scarico (Cass. n. 6351 del 2022) .
Pertanto, secondo il principio di personalità dell’autorizzazione allo scarico enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, è irrilevante il rapporto intercorrente tra l’RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE quanto alla responsabilità per la violazione dell’art. 133, operando la delega solo per le materiali attività di gestione dell’impianto di depurazione. L’RAGIONE_SOCIALE, infatti, è oggettivamente responsabile per la condotta illecita quale gestore del servizio idrico integrato e titolare dell’autorizzazione allo scarico, in persona del proprio direttore generale, NOME COGNOME, che ne è l’intestatario.
Per completezza argomentativa, a sostegno dell’infondatezza della censura sollevata con il primo motivo di ricorso, osserva il Collegio che la responsabilità, facente capo alla società ricorrente quale gestore del servizio idrico integrato, è riconosciuta alla stessa RAGIONE_SOCIALE anche dalla Direttiva regionale sulla disciplina degli scarichi , adottata dalla Regione Autonoma della Sardegna con DRG n. 69/25, la quale, ai sensi dell’art. 2, lettera v) , prevede che sia il titolare dell’autorizzazione allo scarico il soggetto « a cui compete la responsabilità tecnica, amministrativa e finanziaria degli interventi di realizzazione, adeguamento e manutenzione e del conseguimento degli obiettivi di cui al RAGIONE_SOCIALE acque»
e, in particolare, « nell’ambito territoriale ottimale del servizio idrico integrato per la Sardegna il titolare dello scarico è il gestore del servizio idrico integrato ».
A margine, infine, è necessario segnalare che non sussiste alcuna violazione né del principio di responsabilità personale né RAGIONE_SOCIALE norme sul mandato, neanche nei confronti del ricorrente NOME COGNOME, il quale è legittimato passivo della sanzione irrogata dalla Provincia del Sud Sardegna, in quanto legalmente delegato a rappresentare l’RAGIONE_SOCIALE, giusta regolare procura allo stesso conferita per la rappresentanza della società nella procedura di rilascio dell’autorizzazione allo scarico, che, pertanto, risulta essere allo stesso intestata. Infatti, secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, che si condivide e a cui va data continuità, NOME COGNOME è responsabile in solido dell’illecito amministrativo, ai sensi dell’art. 6 l. n. 689/1981, poiché « in materia di sanzioni amministrative, la responsabilità dell’illecito amministrativo compiuto da soggetto che abbia la qualità di rappresentante legale della persona giuridica grava sull’autore medesimo e non sull’ente rappresentato e solo solidalmente obbligato al pagamento RAGIONE_SOCIALE somme corrispondenti alle sanzioni irrogate »(così, tra le tante, Cass. n. 1164 del 2010);
-con il secondo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 4, l. n. 689/1981, per non avere il giudice del gravame tenuto conto dell’impossibilità materiale e giuridica di impedire lo scarico dei reflui da parte dei centri abitati serviti dall’impianto oggetto della controversia, per cui la condotta di scarico abusivo non sarebbe imputabile alla RAGIONE_SOCIALE, poiché lo sversamento abusivo si sarebbe comunque verificato, configurandosi le esimenti dello stato di necessità e dell’esercizio di un dovere, non esistendo
al riguardo, a detta dei ricorrenti, un possibile comportamento alternativo lecito.
Il motivo è infondato.
Con specifico riguardo alla scriminante dello ” stato di necessità “, è indispensabile, ai fini della sua configurabilità (e, perciò, allo scopo del riconoscimento della fondatezza della sua prospettazione in sede giudiziale, che deve ovviamente essere supportata da un idoneo riscontro probatorio gravante sui ricorrenti), che ricorra un’effettiva situazione di pericolo imminente di danno grave alla persona, non altrimenti evitabile, ovvero – quando si invochi detta esimente in senso putativo – l’erronea persuasione di trovarsi in tale situazione, provocata non da un mero stato d’animo, ma da circostanze concrete e oggettive che la giustifichino (cfr., ad es., Cass. n. 3961/1989; Cass. n. 4710/1999; Cass. n. 18099/2005 e Cass. n. 14286/2010).
Deve, quindi, qui riconfermarsi il principio di diritto -a cui si è uniformata la Corte d’appello – sulla scorta del quale, in tema di cause di giustificazione, l’allegazione da parte del contravventore dell’erronea supposizione della sussistenza dello stato di necessità deve basarsi non già su un mero criterio soggettivo, riferito, cioè, al solo stato d’animo dell’agente, bensì su dati di fatto concreti e che siano univocamente idonei a poter comportare un imminente pericolo di danno grave per un soggetto non altrimenti ovviabile, e, quindi, tali da giustificare l’erroneo convincimento in capo al trasgressore di trovarsi in tale stato (Cass. n. 16155 del 2019).
I ricorrenti nel giudizio di merito, secondo quanto riconosciuto anche dalla Corte territoriale, non hanno dato prova della sussistenza dei summenzionati presupposti che attestano l’esistenza della causa di esclusione della punibilità, accertamento che non può certo essere oggetto del presente giudizio di legittimità.
Per di più, nel caso di specie, nonostante l’autorizzazione allo scarico rilasciata all’RAGIONE_SOCIALE fosse scaduta e non fosse stata rinnovata dall’Amministrazione in seguito a diverse richieste, la sanzione irrogata con l’ordinanza ingiunzione per l’abusività dello scarico è legittima, poiché, « ai sensi dell’allegato V, punto I, e dell’art. 101, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, tutti gli scarichi devono rispettare i valori limite di cui al suddetto allegato, senza alcuna distinzione tra impianti o scarichi autorizzati ed impianti o scarichi non autorizzati, venendo l’autorizzazione in rilievo solo al fine di individuare eventuali deroghe, che peraltro devono essere circoscritte, per le fasi di avvio, ai casi di arresto o di guasto dell’impianto » (Cass. n. 9962 del 2020).
Pertanto, la mancata autorizzazione dello scarico, nell’attività di trattamento RAGIONE_SOCIALE acque reflue comunque esercitata, l’RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto conformarsi al rispetto dei parametri di cui alla tabella 3 dell’Allegato 5 del d.lgs. n. 152/2006, trattandosi di uno scarico che inizialmente era stato autorizzato per il trattamento di reflui urbani provenienti da un impianto fognario di tipo misto.
Tutto ciò perché l’illiceità dello scarico, quale che sia la tipologia dell’impianto, discende dalla previsione dell’art. 101, comma primo del d.lgs. n. 152/2006, il quale appunto prevede che tutti gli scarichi, leciti o illeciti, sono disciplinati in funzione del rispetto degli obiettivi di qualità dei corpi idrici e devono comunque rispettare i valori limite previsti nell’Allegato 5, parte III del decreto. Il medesimo obbligo è ribadito nell’allegato V, punto primo, ove si dispone che tutti gli scarichi, comunque effettuati, devono rispettare i limiti di legge (Cass. n. 9962 del 2020);
– con il terzo motivo i ricorrenti censurano la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3) c.p.c., per la violazione e la falsa applicazione degli artt. 133, comma 1, 74 e RAGIONE_SOCIALE prescrizioni dell’Allegato 5 alla parte terza del d.lgs. 2 aprile 2006, n. 152, e
per la violazione del principio di tassatività e determinatezza, di cui all’art. 1, comma 2, della l. n. 689/1981, per avere il giudice di secondo grado ritenuto erroneamente applicabile al caso di specie il parametro che stabilisce un limite alla concentrazione dell” azoto nitrico ‘ per come previsto dalla tabella 3 dell’Allegato 5 alla parte terza del d.lgs. n. 152/2006. Ad avviso dei ricorrenti, trattandosi di un impianto per il trattamento di acque reflue urbane che non includono la presenza di reflui industriali, si sarebbe dovuta applicare la nota 2 alla tabella 3 che dispone il rispetto dei parametri RAGIONE_SOCIALE sole tabelle 1 e 2 per l’individuazione dei limiti che lo scarico deve rispettare, incorrendo la Corte territoriale in un’erronea interpretazione della sentenza della Corte di cassazione n. 11479 del 16 maggio 2006. Questa, infatti, secondo la lettura suggerita dai ricorrenti, prevedrebbe l’applicabilità della tabella 3 agli impianti per il trattamento di reflui urbani per i quali sia stata materialmente e in punto di fatto accertata la presenza di un apporto di reflui industriali, potendosi ugualmente qualificare quali ‘ reflui urbani ‘, ai sensi dell’art. 74, d.lgs. n. 152/2006, anche quelli composti soltanto dal miscuglio di ‘ reflui domestici ‘ e ‘ acque meteoriche di dilavamento ‘ .
Infine, la pronuncia di appello sarebbe censurabile per avere il giudice di merito con il riconoscimento della legittimità dell’ordinanza ingiunzione sostanzialmente violato il principio di tassatività e determinatezza di cui all’art. 1, comma 2, l. n. 689/1981, poiché, individuando quale presupposto per la sanzione l’indicazione del contenuto dell’autorizzazione allo scarico, la quale prescrive espressamente il rispetto della tabella 3 dell’Allegato 5, la sanzione sarebbe stata irrogabile ai sensi dell’art. 133, comma 2, d.lgs. n. 152/2006, e non ai sensi del comma 1, che sanzionerebbe la violazione di un parametro previsto dalla legge che non sarebbe, per di più, applicabile al caso di specie, estendendo illegittimamente le fattispecie sanzionabili. Inoltre, a detta del
ricorrente, il rinvio alla tabella 3 contenuto nell’autorizzazione allo scarico e la sua applicabilità al caso di specie, ai sensi dell’art. 12 della Direttiva regionale sugli scarichi per come richiamato dal giudice di merito, dovrebbe includere comunque anche la nota 2 alla stessa, che per l” azoto nitrico ‘ ne escluderebbe l’applicabilità se nel refluo urbano difetta la presenza di reflui industriali.
Il motivo è infondato.
Occorre premettere che nella specie assume particolare rilevanza la definizione e la distinzione normativa tra ‘ acque reflue urbane ‘, ‘ acque reflue domestiche ‘ e ‘ acque reflue industriali ‘. Ai sensi dell’art. 74 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, quelle sopra elencate sono RAGIONE_SOCIALE diverse tipologie di acque reflue, che sono normativamente definite in rapporto tra loro, o in modo negativo o in rapporto di genere a specie. Secondo il comma 1, lettera g) dell’art. 74, d.lgs. n. 152/2006, le ‘ acque reflue domestiche ‘ sono le « acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche ». Al contrario, in modo negativo rispetto alle suddette, le ‘ acque reflue industriali ‘, per la definizione di cui alla lettera h) , sono « qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni » che siano, però, « diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento ». In rapporto di genere a specie, invece, rispetto alle precedenti specie di acque reflue, la normativa in oggetto individua le “acque reflue urbane ‘, le quali sono costituite o da ‘acque reflue domestiche’ o dal «miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato» (art. 74, comma 1, lett. i ).
Le incertezze possono sorgere nell’interpretazione della definizione di ‘ acque reflue urbane’ e, in particolare, dalla eventuale
sussistenza di una presunzione iuris tantum riguardante la presenza di ‘acque reflue industriali’ nelle ‘ acque reflue urbane’ , qualora l’impianto di scarico sia collegato ad una rete fognaria di tipo misto. Da tale presunzione, infatti, deriverebbe l’applicabilità della tabella 3, all’Allegato 5, d.lgs. n. 152/2006, la cui nota 2 prevedrebbe, invece, la sua non applicabilità, qualora lo scarico non convogli acque reflue industriali, ma solo reflui domestici e acque meteoriche di dilavamento, come ritenuto nel caso di specie dai ricorrenti.
A riguardo, è opportuno rilevare che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, a prescindere dall’interpretazione della nota 2), i limiti di emissione da prendere in considerazione, qualora ci si trovi dinnanzi a scarichi che convogliano RAGIONE_SOCIALE ‘acque reflue urbane’ , sono quelli di cui alla tabella 3 e non alla tabella 1. In particolare, in presenza di un sistema fognario misto, assistito da un impianto di depurazione, ove sicuramente le acque che convogliano nella rete provengono da un agglomerato, i valori-limite cui lo scarico deve conformarsi, sono quelli di cui alla tabella 3, riferita precipuamente alle “acque reflue industriali” . Tali valori, più restrittivi, infatti, devono pur sempre essere rispettati in presenza di quella peculiare tipologia di ‘ acque reflue urbane ‘ definite come ‘ miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato ‘, di cui all’ dall’art. 74, comma 1, lettera i) del d.lgs. 2 aprile 2006 n. 152. Inoltre, per stabilire la tipologia del refluo trattato da un depuratore comunale – e, quindi, dello scarico -occorre fare riferimento alla natura e alla composizione RAGIONE_SOCIALE acque di fatto scaricate. Infatti, se in esso vengono convogliate anche “acque reflue industriali” , come nel caso di specie risulta dall’accertamento effettuato dall’RAGIONE_SOCIALE, tale dovrà essere ritenuta anche la natura del refluo. Non bisogna dimenticare, infatti, che la normativa di cui
al d.lgs. n. 152 del 2006, per adeguarsi alle direttive europee, ha dettato una disciplina degli scarichi chiaramente ispirata dall’intento di privilegiare la tipologia RAGIONE_SOCIALE acque reflue immesse nel corpo idrico recettore rispetto alla provenienza dello scarico, tant’è che – sotto il profilo del trattamento sanzionatorio – si è abbandonato qualsiasi riferimento alla dicotomia “scarico derivante da insediamento civile-scarico derivante da insediamento produttivo” per assumere il diverso criterio di differenziazione fondato sulla qualità RAGIONE_SOCIALE acque, ora, non più presunta in relazione alla sua provenienza ma espressamente definita. Nel sistema introdotto dal d.lgs. n. 152/2006, quindi, la distinzione degli scarichi è, in definitiva, fondata sulla natura RAGIONE_SOCIALE acque reflue in essi contenute.
Pertanto, nel concetto di “acque reflue urbane” sono pur sempre comprese -o, comunque, possono esserlo -le “acque reflue industriali”, se è vero che costituiscono “acque reflue urbane” – oltre alle “acque reflue domestiche” -il “miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali, ovvero meteoriche di dilavamento” a condizione che, in questo caso, si tratti di acque “convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato” . In presenza, quindi, di un sistema fognario misto, quale è quello nel caso di specie, assistito da un impianto di depurazione ove sicuramente le acque che convogliano nella rete provengono da un agglomerato, i limiti di emissione da rispettare sono quelli indicati dalla tabella 3 dell’allegato 5 al d.lgs. citato, anche se questa è riferita precipuamente alle acque reflue industriali (v. in termini, Cass. n . 11479 del 2006, che seppure riguardante fattispecie disciplinata dal precedente d.lgs. n. 152/1999, tuttavia si tratta di principi ancora validi per essere state dalla novella del 2006 confermate le predette distinzioni). La Corte d’appello, peraltro, nel fare riferimento ai principi sopra esposti, dato che nelle premesse dell’autorizzazione allo scarico –
rilasciata dalla Provincia di RAGIONE_SOCIALE nel 2002 e di cui la RAGIONE_SOCIALE risultava essere titolare, benché fosse allo stato scaduta veniva dichiarato che ‘ le reti fognarie sono di tipo misto e pertanto all’impianto confluiscono anche le acque meteoriche’ , ha correttamente ritenuto applicabile al caso di specie la tabella 3 di cui all’Allegato 5, in quanto « in tema di tutela RAGIONE_SOCIALE acque dall’inquinamento, nel caso di fognature miste, assistite da un impianto di depurazione, che raccolgano non solo acque reflue domestiche, ma anche acque reflue industriali, provenienti da un agglomerato, è altresì obbligatorio il rispetto dei valori-limite di emissione di cui alla tabella 3 dell’Allegato 5 al d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, riferita precipuamente alle acque industriali » (Cass. n. 13962 del 2006).
Del resto, il rispetto dei limiti di cui alla tabella 3 dell’Allegato 5 del d.lgs. n. 152/2006 viene nella specie prescritto anche alla luce della disciplina regionale contenuta nella Direttiva Regione Sardegna agli scarichi DRG n. 69/25 ed in particolare all’art. 14, comma 5, oltre che dalle prescrizioni contenute nell’autorizzazione allo scarico rilasciata all’RAGIONE_SOCIALE.
Alla luce del principio di diritto già enunciato, che impone il rispetto della tabella 3 ai titolari di scarichi fognari di tipo misto, aventi ad oggetto il trattamento di acque reflue urbane, risulta essere infondata anche la censura secondo cui il giudice di merito, confermando la correttezza dell’applicazione al caso di specie dell’art. 133, comma 1, d.lgs. n. 152/2006, quale presupposto della sanzione, avrebbe violato il principio di tassatività di cui all’art. 1, l. n. 689/1981. Infatti, tale norma del Codice dell’Ambiente censura la condotta, nel caso di specie accertata dai controlli effettuati dall’RAGIONE_SOCIALE in capo all’RAGIONE_SOCIALE, di «c hiunque, salvo che il fatto costituisca reato, nell’effettuazione di uno scarico superi i valori limite di emissione fissati nelle tabelle di cui all’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto »;
– con il quarto motivo i ricorrenti censurano la sentenza di appello per la violazione e la falsa applicazione degli artt. 3 l. n. 689/1981, 41 e 42 c.p., per avere il giudice fatto ricorso ad una presunzione di colpevolezza, determinando l’inversione dell’onere probatorio dei fatti estintivi della responsabilità in capo al ricorrente, anche se ciò non sarebbe stato possibile non sussistendo nella sua condotta alcuna illiceità, avendo la stessa COGNOME delegato alla RAGIONE_SOCIALE le attività materiali di conduzione dell’impianto dove si sono verificate le suddette violazioni.
Il motivo è infondato.
La costante giurisprudenza di legittimità, infatti, riconosce nell’art. 3 l. n. 689/1981 una presunzione di colpevolezza in capo all’autore della condotta illecita sanzionata, gravando sullo stesso l’onere di provare di avere agito senza colpa o la sussistenza dei presupposti RAGIONE_SOCIALE esimenti (v. Cass. n. 24386 del 2023; Cass. n. 11777 del 2020; Cass. n. 24081 del 2019).
In materia di sanzioni amministrative, poiché la disciplina attiene ad una serie di fattispecie a carattere ordinatorio, destinate a salvaguardare procedure e funzioni, queste sono incentrate sulla mera condotta degli autori degli illeciti, secondo un criterio di agire o di omettere doveroso, con la conseguenza che il giudizio di colpevolezza si ricollega a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico, limitando l’indagine sull’elemento oggettivo dell’illecito all’accertamento della suitas del comportamento inosservante, con la conseguenza che, una volta integrata e provata dall’autorità amministrativa la fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa, l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza (cfr. analogamente Cass., Sez. Un., n. 20930 del 2009; Cass. n. 9546 del 2018; Cass. n. 16517 del 2020).
Quindi, alla luce della giurisprudenza di legittimità, l’onere della prova degli elementi positivi esterni che possano rivelare la sussistenza di una scriminante è a carico dell’opponente, e la relativa valutazione costituisce un apprezzamento di fatto di stretta competenza del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. Sez. 2, n. 21280/2015; Cass. n. 19759/2015; Cass. n. 23019/09).
In virtù di questa presunzione di colpevolezza e dell’onere probatorio degli elementi scriminanti posto in capo ai sanzionati, contrariamente a quanto verificatosi nel giudizio di merito da cui risulta comprovata la condotta illecita da parte dell’Amministrazione procedente, i ricorrenti, quali responsabili dell’illecito, dovevano fornire un adeguato sussidio probatorio di un’eventuale esimente in sede di merito, non potendo tale accertamento essere oggetto del presente giudizio di legittimità.
Infatti, per la qualificata responsabilità dell’RAGIONE_SOCIALE, è qui inconferente l’affermazione con la quale la società ricorrente vorrebbe sostenere il difetto della propria colpevolezza per avere delegato ad altra società la gestione e la manutenzione degli impianti in cui si sono verificati gli illeciti, essendo comunque l’RAGIONE_SOCIALE titolare dell’autorizzazione allo scarico e, di conseguenza, responsabile del mantenimento degli standard di qualità RAGIONE_SOCIALE acque reflue trattate. Così, la società ricorrente, quale titolare di una posizione di garanzia, era obbligata a tenere la condotta di controllo dalla stessa omessa e per cui è stata sanzionata.
In definitiva, alla stregua RAGIONE_SOCIALE complessive argomentazioni svolte, il ricorso deve essere respinto, con la conseguente condanna dei ricorrenti in solido al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte degli stessi ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti in solido al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio in favore del Provincia del Sud Sardegna che si liquidano in complessivi euro 3.000,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre a spese forfettarie ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Seconda