Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26162 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 26162 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9439/2022 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE (C.F. e P_IVA), in persona del legale rappresentante, e COGNOME, entrambi rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO del Foro di Cagliari con distinte procure speciali in calce al ricorso ed elettivamente domiciliati in Cagliari, INDIRIZZO, presso lo studio del difensore;
-ricorrenti –
contro
PROVINCIA DEL SUD SARDEGNA (CODICE_FISCALE), in persona dell’Amministratore Straordinario e legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO del Foro di Napoli, con procura speciale in calce al controricorso, giusta determinazione n. 90/2022, ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio del difensore;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Cagliari n. 431 depositata il 12 ottobre 2021 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 gennaio 2024 dal Presidente NOME COGNOME.
Osserva in fatto e in diritto
Ritenuto che :
con ricorso depositato il 26 ottobre 2018 presso il Tribunale di Cagliari, la società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE proponevano opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione n. 58/2018 emessa dalla PROVINCIA DEL SUD SARDEGNA, con la quale ai ricorrenti veniva ingiunto il pagamento della somma di euro 6.000,00, oltre ad una maggiorazione di altri euro 3.900,00 per un totale di euro 9.900,00, per essere state riscontrate plurime violazioni dell’art. 133, comma 1 d.lgs. 2 aprile 2006, n. 152, a causa del superamento dei limiti di accettabilità di cui alla tabella 3, Allegato 5, alla parte terza del medesimo decreto, con specifico riferimento ai parametri ‘ Solidi sospesi ‘, ‘ Escherichia coli ‘ e ‘ Azoto ammoniacale ‘, nell’esercizio dell’impianto di depurazione comunale sito in località Is Pruinis d el Comune di Sant’Antioco;
-instaurato il contraddittorio, nella resistenza dell’Amministrazione, il Tribunale adito, istruita la causa con l’acquisizione di produzioni documentali con sentenza n. 1350 del 2020, accoglieva parzialmente l’opposizione proposta dalla società RAGIONE_SOCIALE, limitatamente alla quantificazione della sanzione pecuniaria, che veniva rideterminata nella misura di euro 6.000,00, risultando immotivata la maggiorazione per le plurime violazioni, essendo stato contestato con l’ordinanza ingiunzione solamente il superamento del parametro riguardante l” Azoto ammoniacale ‘, confermando nel merito la sussistenza della violazione accertata,
respinte le eccezioni di prescrizione del potere dell’Amministrazione di esercitare la stessa contestazione e quella del difetto di legittimazione passiva della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarate inammissibili in via preliminare;
in virtù di gravame interposto dagli originari ricorrenti, la Corte d’appello di Cagliari, nella resistenza dell’appellata Amministrazione, con sentenza n. 421/2021, pubblicata il 12 ottobre 2021, rigettava l’appello e per l’effetto confermava la decisione del giudice di prime cure.
A sostegno della decisione adottata la Corte d’appello evidenziava l’infondatezza dell’eccezione di nullità della notificazione della contestazione e la conseguente prescrizione del diritto dell’Amministrazione a richiedere le somme ingiunte, secondo cui avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 28 l. n. 689/1981, in quanto dagli atti non emergeva alcuna notificazione dell’ordinanza ingiunzione ad un indirizzo riferibile a COGNOME. Del resto, secondo l’interpretazione della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 15550/2018), la disposizione dell’art. 28 prevedeva un richiamo alle disposizioni del Codice civile in materia di interruzione della prescrizione, per cui l’atto interruttivo compiuto dalla stessa Amministrazione nei confronti di uno dei coobbligati in solido, produceva i suoi effetti anche nei confronti degli altri coobbligati, come nel caso di specie, per essere COGNOME coobbligato in solido in qualità di Direttore generale della RAGIONE_SOCIALE
Aggiungeva la Corte territoriale, richiamando la propria sentenza n. 584 del 4 dicembre 2020 e la pronuncia n. 227 del 28 maggio 2021, nella quale aveva affrontato le medesime questioni giuridiche, confermando la legittimazione passiva della società RAGIONE_SOCIALE e del Direttore generale COGNOME, per essere al fine dell’irrogazione della sanzione amministrativa determinante non tanto la qualità di conduttore dell’impianto, quanto quella di
Gestore del Servizio Idrico Integrato, quale soggetto titolare delle autorizzazioni e responsabile delle eventuali violazioni della normativa che l’impianto doveva rispettare, non potendo tale ruolo essere ceduto in alcun modo, neanche appaltando alla RAGIONE_SOCIALE la materiale gestione dell’impianto. Invece, la legittimazione passiva di COGNOME, nonostante fosse il Direttore generale e non il legale rappresentante dell’RAGIONE_SOCIALE, derivava dal fatto che lo stesso era, in forza di una procura speciale di ‘ rappresentanza e delega per le procedure di autorizzazione allo scarico ‘, titolare dell’autorizzazione allo scarico dell’impianto di depurazione in oggetto, n. 52/2013, rilasciata dalla Provincia di Carbonia e Iglesias.
Nel merito, la Corte d’Appello di Cagliari – richiamando sempre la sentenza n. 584/2020 riteneva corretta l’applicazione al caso di specie della tabella 3 dell’Allegato 5 al d.lgs. n. 152/2006, non solo per quanto previsto dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 11479/2006), ma anche per quanto prescritto nell’autorizzazione allo scarico dell’RAGIONE_SOCIALE, la quale qualificava il sistema fognario del comune di Sant’Antioco come ‘ sistema fognario di tipo misto ‘ e ‘ dimensionato per trattare i reflui di un’utenza complessiva di 15.00 A.E. », risultando così applicabili anche, i commi 5 e 6, dell’art. 14 della Direttiva della Regione Autonoma della Sardegna, in materia di ‘ Disciplina Regionale agli scarichi ‘, approvata con Deliberazione G.R. n. 69/25 del 10.12.2008, che prescriveva il rispetto dei valori limite di emissione previsti dalle tabelle 1 e 3 dell’Allegato 5 al d.lgs. n. 152/2006 per « i titolari degli scarichi di acque reflue urbane in acque superficiali aventi dimensioni superiori a 2000 AE ».
Infine, il giudice del gravame affermava il mancato adempimento dell’onere, posto in capo all’ingiunto, di provare i fatti impeditivi o estintivi della pretesa sanzionatoria, quali la sussistenza delle
esimenti dello stato di necessità e dell’esercizio di un dovere, ritenendo non raggiunta la prova, da parte del trasgressore materiale, dell’assenza del dolo e della colpa nella condotta sanzionata, in forza del principio, derivante dalla presunzione di colpevolezza prevista dall’art. 3 l. n. 689/1981, per cui l’intimato avrebbe dovuto dedurre e provare una determinata situazione di fatto a sostegno dell’operatività di un’esimente reale o putativa, non essendo sufficiente una mera asserzione sfornita di qualsiasi sussidio probatorio; del resto, nel caso di specie, gli appellanti si erano soltanto limitati a giustificare la violazione adducendo dei non provati difetti strutturali dell’impianto di vecchia concezione affidatole e autorizzato in via provvisoria nelle more della realizzazione di un nuovo depuratore;
per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Cagliari RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME propongono ricorso, articolato in tre motivi, cui resiste con controricorso la Provincia del Sud Sardegna;
-in prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno curato il deposito di memorie ex art. 380 bis .1 c.p.c.
Atteso che :
con il primo motivo i ricorrenti censurano la sentenza ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3) c.p.c., per la violazione e la falsa applicazione degli artt. 133, comma 1, 74 e delle prescrizioni dell’Allegato 5 alla parte terza del d.lgs. 2 aprile 2006, n. 152, ma anche dell’art. 2697 c.c. e per la violazione del principio di tassatività e determinatezza, di cui all’art. 1, comma 2, della l. n. 689/1981, per avere il giudice di secondo grado ritenuto erroneamente applicabile al caso di specie il parametro che stabilisce un limite alla concentrazione dell” azoto ammoniacale ‘ per come previsto dalla tabella 3 dell’Allegato 5 alla parte terza del
d.lgs. n. 152/2006. Infatti, trattandosi di un impianto per il trattamento di acque reflue urbane, che non includono la presenza di reflui industriali, si sarebbe dovuta applicare, ad avviso dei ricorrenti, la nota 2 alla tabella 3 che dispone il rispetto dei parametri delle sole tabelle 1 e 2 per l’individuazione dei limiti che lo scarico deve rispettare, incorrendo la Corte territoriale in un’erronea interpretazione della sentenza della Corte di cassazione n. 11479 del 16 maggio 2006. Questa, infatti, secondo la lettura suggerita dai ricorrenti, prevedrebbe l’applicabilità della tabella 3 agli impianti per il trattamento di reflui urbani per i quali sia stata, materialmente e in punto di fatto, accertata la presenza di un apporto di reflui industriali, potendosi ugualmente qualificare quali ‘ reflui urbani ‘, ai sensi dell’art. 74 d.lgs. n. 152/2006, anche quelli composti soltanto dal miscuglio di ‘ reflui domestici ‘ e ‘ acque meteoriche di dilavamento ‘. Inoltre, la sentenza è censurata, per avere il giudice del gravame violato l’art. 2697 c.c., avendo posto l’onere probatorio a carico dei ricorrenti anziché dell’Amministrazione sanzionatrice, data l’impossibilità di tale prova per i sanzionati, tenendo conto che sia la normativa nazionale (art. 101 d.lgs. n. 152/2006) sia quella regionale (art. 12 della Direttiva Regionale agli scarichi, approvata con DGR n. 69/25) individuano una serie di attività produttive i cui reflui sono assimilabili ai ‘ reflui domestici ‘, rispetto ai quali la conoscenza della presenza sul territorio sarebbe solo in capo all’Amministrazione.
Infine, la pronuncia di appello sarebbe censurabile per avere il giudice di merito con il riconoscimento della legittimità dell’ordinanza ingiunzione sostanzialmente violato il principio di tassatività e determinatezza di cui all’art. 1, comma 2 l. n. 689/1981, poiché, individuando quale presupposto per la sanzione l’indicazione del contenuto dell’autorizzazione allo scarico, che prescrive espressamente il rispetto della tabella 3 dell’Allegato 5, la
sanzione sarebbe stata irrogabile ai sensi dell’art. 133, comma 2 d.lgs. n. 152/2006, e non ai sensi del comma 1, che sanziona la violazione di un parametro previsto dalla legge che non sarebbe, per di più, applicabile al caso di specie, estendendo illegittimamente le fattispecie sanzionabili.
Il motivo è infondato.
Occorre premettere che nella specie assume particolare rilevanza la definizione e la distinzione normativa tra ‘ acque reflue urbane ‘, ‘ acque reflue domestiche ‘ e ‘ acque reflue industriali ‘. Ai sensi dell’art. 74 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, quelle sopra elencate sono delle diverse tipologie di acque reflue, che sono normativamente definite in rapporto tra loro, o in modo negativo o in rapporto di genere a specie. Secondo il comma 1, lettera g) dell’art. 74, d.lgs. n. 152/2006, le ‘ acque reflue domestiche ‘ sono le « acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche ». Al contrario, in modo negativo rispetto alle suddette, le ‘ acque reflue industriali ‘, per la definizione di cui alla lettera h) , sono « qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni » che siano, però, « diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento ». In rapporto di genere a specie, invece, rispetto alle precedenti specie di acque reflue, la normativa in oggetto individua le “acque reflue urbane ‘, le quali sono costituite o da ‘acque reflue domestiche’ o dal «miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato» (art. 74, comma 1 lett. i ) . Le incertezze possono sorgere nell’interpretazione della definizione di ‘ acque reflue urbane’ e, in particolare, dalla eventuale sussistenza di una presunzione iuris tantum riguardante la
presenza di ‘acque reflue industriali’ nelle ‘ acque reflue urbane’ , qualora l’impianto di scarico sia collegato ad una rete fognaria di tipo misto. Da tale presunzione, infatti, deriverebbe l’applicabilità della tabella 3, all’Allegato 5, d.lgs. n. 152/2006, la cui nota 2 prevede, invece, la sua non applicabilità, qualora lo scarico non convogli acque reflue industriali, ma solo reflui domestici e acque meteoriche di dilavamento, come ritenuto nel caso di specie dai ricorrenti.
A riguardo, è opportuno rilevare che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, a prescindere dall’interpretazione della nota 2), i limiti di emissione da prendere in considerazione, qualora ci si trovi dinnanzi a scarichi che convogliano delle ‘acque reflue urbane’ , sono quelli di cui alla tabella 3 e non alla tabella 1. In particolare, in presenza di un sistema fognario misto, assistito da un impianto di depurazione, ove sicuramente le acque che convogliano nella rete provengono da un agglomerato, i valori-limite cui lo scarico deve conformarsi sono quelli di cui alla tabella 3, riferita precipuamente alle “acque reflue industriali” . Tali valori, più restrittivi, infatti, devono pur sempre essere rispettati in presenza di quella peculiare tipologia di ‘ acque reflue urbane ‘ definite come ‘ miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato ‘, di cui all’ dall’art. 74, comma 1, lettera i) del d.lgs. 2 aprile 2006 n. 152. Inoltre, per stabilire la tipologia del refluo trattato da un depuratore comunale – e, quindi, dello scarico -occorre fare riferimento alla natura e alla composizione delle acque di fatto scaricate. Infatti, se in esso vengono convogliate anche “acque reflue industriali” , come nel caso di specie risulta dall’accertamento effettuato dall’RAGIONE_SOCIALE, tale dovrà essere ritenuta anche la natura del refluo. Non bisogna dimenticare, infatti, che la normativa di cui
al d.lgs. n. 152 del 2006, per adeguarsi alle direttive europee, ha dettato una disciplina degli scarichi chiaramente ispirata dall’intento di privilegiare la tipologia delle acque reflue immesse nel corpo idrico recettore rispetto alla provenienza dello scarico, tant’è che – sotto il profilo del trattamento sanzionatorio – si è abbandonato qualsiasi riferimento alla dicotomia “scarico derivante da insediamento civile/scarico derivante da insediamento produttivo” per assumere il diverso criterio di differenziazione fondato sulla qualità delle acque, ora, non più presunta in relazione alla sua provenienza ma espressamente definita. Nel sistema introdotto dal d.lgs. n. 152/2006, quindi, la distinzione degli scarichi è, in definitiva, fondata sulla natura delle acque reflue in essi contenute.
Pertanto, nel concetto di “acque reflue urbane” sono pur sempre comprese -o, comunque, possono esserlo -le “acque reflue industriali”, se è vero che costituiscono “acque reflue urbane” – oltre alle “acque reflue domestiche” -il “miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali, ovvero meteoriche di dilavamento” a condizione che, in questo caso, si tratti di acque “convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato” . In presenza, quindi, di un sistema fognario misto, quale è quello nel caso in esame, assistito da un impianto di depurazione ove sicuramente le acque che convogliano nella rete provengono da un agglomerato, i limiti di emissione da rispettare sono quelli indicati dalla tabella 3 dell’allegato 5 al d.lgs. citato, anche se questa è riferita precipuamente alle acque reflue industriali (v. in termini, Cass. n . 11479 del 2006, che seppure riguardante fattispecie disciplinata dal precedente d.lgs. n. 152/1999, tuttavia si tratta di principi ancora validi per essere state dalla novella del 2006 confermate le predette distinzioni).
La Corte d’appello, peraltro, nel fare riferimento ai principi sopra esposti, ha correttamente fatto richiamo al contenuto dell’autorizzazione allo scarico n. 63/2010, di cui la RAGIONE_SOCIALE risulta essere titolare e nella quale viene testualmente dichiarato che ‘ il centro abitato è servito da rete fognaria di tipo misto’ , con ciò recependo la successiva giurisprudenza di legittimità secondo cui è applicabile al caso di specie la tabella 3 di cui all’Allegato 5, in quanto, « in tema di tutela delle acque dall’inquinamento, nel caso di fognature miste, assistite da un impianto di depurazione, che raccolgano non solo acque reflue domestiche, ma anche acque reflue industriali, provenienti da un agglomerato, è altresì obbligatorio il rispetto dei valori-limite di emissione di cui alla tabella 3 dell’Allegato 5 al d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, riferita precipuamente alle acque industriali » (Cass. n. 13962 del 2006).
Del resto, il rispetto dei limiti di cui alla tabella 3 dell’Allegato 5 del d.lgs. n. 152/2006 viene nella specie prescritto anche alla luce della disciplina regionale contenuta nella Direttiva Regione Sardegna agli scarichi DRG n. 69/25 ed in particolare all’art. 14, comma 5, oltre che dalle prescrizioni contenute nell’autorizzazione allo scarico rilasciata all’RAGIONE_SOCIALE.
Alla luce del principio di diritto sopra enunciato, che impone il rispetto della tabella 3 ai titolari di scarichi fognari di tipo misto, aventi ad oggetto il trattamento di acque reflue urbane, risulta essere infondata anche la censura secondo cui il giudice di merito, confermando la correttezza dell’applicazione al caso di specie dell’art. 133, comma 1, d.lgs. n. 152/2006, quale presupposto della sanzione, avrebbe violato il principio di tassatività di cui all’art. 1, l. n. 689/1981. Infatti, tale norma del Codice dell’Ambiente censura la condotta, nel caso di specie accertata dai controlli effettuati dall’RAGIONE_SOCIALE in capo all’RAGIONE_SOCIALE, di «c hiunque, salvo che il fatto costituisca reato, nell’effettuazione di uno scarico superi i
valori limite di emissione fissati nelle tabelle di cui all’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto »;
– con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 133, comma 1, e 124, comma 2 del d.lgs. n. 152/2006, 27 Cost. e 7, l. n. 689/1981, nonché gli artt. 1704 e 1387 e ss. c.c., per avere il giudice del gravame violato il principio di responsabilità personale dell’autore della condotta, sanzionando la ricorrente per una presunta responsabilità oggettiva, non riconoscendo la sussistenza del difetto di legittimazione passiva, pur avendo la stessa affidato, con una procedura ad evidenza pubblica e per il periodo in cui si è verificata la violazione contestata, la conduzione, la sorveglianza e la manutenzione dell’impianto alla società RAGIONE_SOCIALE, riconoscendo la responsabilità della prima società solo perché titolare dell’autorizzazione allo scarico e Gestore del Servizio Idrico Integrato, senza tenere conto della delega delle materiali funzioni di conduzione, in violazione anche del principio di solidarietà riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità nell’art. 6, l. 24 novembre 1981 n. 689, tra l’autore materiale dell’illecito e il detentore qualificato dell’impianto.
Inoltre, sarebbero state falsamente applicate le norme in materia di mandato, poiché erroneamente ritenuto responsabile il Direttore generale NOME COGNOME, titolare soltanto di una procura speciale di ‘ rappresentanza e delega per le procedure di autorizzazione allo scarico’ e, sol per questo, formalmente intestatario dell’autorizzazione allo scarico, ciò non comportando alcuna sostituzione nella posizione sostanziale di ‘titolarità dello scarico’. La censura sollevata con il secondo motivo, alla luce della costante giurisprudenza di legittimità, è infondata.
Il T.U. sull’Ambiente attribuisce al gestore dell’impianto di depurazione delle acque reflue urbane il compito di garantire il raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale, ossia il rispetto degli obiettivi di qualità dei corpi idrici e il rispetto dei valori-limite di emissione previsti nell’Allegato 5. In particolare, sul gestore grava l’obbligo di verificare in continuazione l’idoneità del sistema di smaltimento a mantenere le acque reflue nei limiti ammessi, per cui in caso contrario sorge in capo allo stesso l’obbligo di attivarsi per effettuare i necessari interventi o denunziare all’ente proprietario dell’impianto le anomalie che ne impediscono il normale funzionamento. Pertanto, il gestore dell’impianto di depurazione da cui origina lo scarico riscontrato non in regola con i limiti di accettabilità previsti per legge è oggettivamente responsabile dell’accertata violazione, a meno che non ne dimostri la riconducibilità al fatto del terzo, avvenuto contro la sua volontà e senza possibilità di ovviarvi per tempo (Cass. n. 11479/2006 cit.). Medesima responsabilità grava, ai sensi dell’art. 124, comma 2 del d.lgs. n. 152 del 2006, sul titolare dell’autorizzazione allo scarico (Cass. n. 6351 del 2022) .
Ne consegue che, secondo il principio di personalità dell’autorizzazione allo scarico enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, è irrilevante il rapporto intercorrente tra l’RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE quanto alla responsabilità per la violazione dell’art. 133, operando la delega solo per le attività materiali di gestione dell’impianto di depurazione. L’RAGIONE_SOCIALE, infatti, è oggettivamente responsabile per la condotta illecita quale titolare dell’autorizzazione allo scarico, in persona del proprio direttore generale, NOME COGNOME, che ne è l’intestatario.
Solo per completezza argomentativa, osserva il Collegio che a sostegno dell’infondatezza della censura sollevata con il secondo
motivo di ricorso, la posizione di responsabilità, facente capo alla società ricorrente quale gestore del servizio idrico integrato, è riconosciuta alla stessa RAGIONE_SOCIALE anche dalla Direttiva regionale sulla disciplina degli scarichi , adottata dalla Regione Autonoma della Sardegna con DRG n. 69/25, la quale, ai sensi dell’art. 2, lettera v) , prevede che sia il titolare dell’autorizzazione allo scarico il soggetto « a cui compete la responsabilità tecnica, amministrativa e finanziaria degli interventi di realizzazione, adeguamento e manutenzione e del conseguimento degli obiettivi di cui al Piano di Tutela delle acque» e, in particolare, « nell’ambito territoriale ottimale del servizio idrico integrato per la Sardegna il titolare dello scarico è il gestore del servizio idrico integrato ».
A margine, infine, è necessario segnalare che non sussiste alcuna violazione né del principio di responsabilità personale né delle norme sul mandato, neanche nei confronti del ricorrente NOME COGNOME, il quale è legittimato passivo della sanzione irrogata dalla Provincia del Sud Sardegna, in quanto legalmente delegato a rappresentare l’RAGIONE_SOCIALE, giusta regolare procura allo stesso conferita per la rappresentanza della società nella procedura di rilascio dell’autorizzazione allo scarico, che, pertanto, risulta essere allo stesso intestata. Infatti, secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, che si condivide e a cui va data continuità, NOME COGNOME è responsabile in solido dell’illecito amministrativo, ai sensi dell’art. 6, l. n. 689/1981, poiché « in materia di sanzioni amministrative, la responsabilità dell’illecito amministrativo compiuto da soggetto che abbia la qualità di rappresentante legale della persona giuridica grava sull’autore medesimo e non sull’ente rappresentato e solo solidalmente obbligato al pagamento delle somme corrispondenti alle sanzioni irrogate »(così, tra le tante, Cass. n. 1164 del 2010);
– con il terzo motivo il ricorrente censura la sentenza di appello per la violazione e la falsa applicazione degli artt. 3, l. n. 689/1981, 41 e 42 c.p., per avere il giudice fatto ricorso ad una presunzione di colpevolezza, determinando l’inversione dell’onere probatorio dei fatti estintivi della responsabilità in capo al ricorrente, anche se ciò non sarebbe stato possibile, non sussistendo nella sua condotta alcuna illiceità, avendo la stessa RAGIONE_SOCIALE delegato alla RAGIONE_SOCIALE le attività materiali di conduzione dell’impianto dove si sono verificate le suddette violazioni.
Il motivo è infondato.
La costante giurisprudenza di legittimità, infatti, riconosce nell’art. 3 l. n. 689/1981 una presunzione di colpevolezza in capo all’autore della condotta illecita sanzionata, gravando sullo stesso l’onere di provare di avere agito senza colpa o la sussistenza dei presupposti delle esimenti (v. Cass. n. 24386 del 2023, n. 11777 del 2020, n. 24081 del 2019).
In materia di sanzioni amministrative, poiché la disciplina attiene ad una serie di fattispecie a carattere ordinatorio, destinate a salvaguardare procedure e funzioni, queste sono incentrate sulla mera condotta degli autori degli illeciti, secondo un criterio di agire o di omettere doveroso, con la conseguenza che il giudizio di colpevolezza si ricollega a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico, limitando l’indagine sull’elemento oggettivo dell’illecito all’accertamento della suitas del comportamento inosservante, con la conseguenza che, una volta integrata e provata dall’autorità amministrativa la fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa, l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza (cfr. analogamente Cass., Sez. Un., n. 20930 del 2009; Cass. n. 9546 del 2018; Cass. n. 16517 del 2020).
Quindi, alla luce della giurisprudenza di legittimità, l’onere della prova degli elementi positivi esterni che possano rivelare la sussistenza di una scriminante, è a carico dell’opponente, e la relativa valutazione costituisce un apprezzamento di fatto di stretta competenza del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. n. 21280/2015; Cass. n. 19759/2015; Cass. n. 23019/09).
In virtù di questa presunzione di colpevolezza e dell’onere probatorio degli elementi scriminanti posto in capo ai contravventori, contrariamente a quanto verificatosi nel giudizio di merito da cui risulta comprovata la condotta illecita da parte dell’Amministrazione procedente, i ricorrenti, quali responsabili oggettivi, dovevano fornire un adeguato sussidio probatorio di un’eventuale esimente e il difetto dell’elemento soggettivo in quella sede, non potendo tale accertamento essere oggetto del presente giudizio di legittimità.
Infatti, per la qualificata responsabilità dell’RAGIONE_SOCIALE, è qui inconferente l’affermazione con la quale la società ricorrente vorrebbe sostenere il difetto della propria colpevolezza per avere delegato ad altra società la gestione e la manutenzione degli impianti in cui si sono verificati gli illeciti, essendo comunque l’RAGIONE_SOCIALE titolare dell’autorizzazione allo scarico e, di conseguenza, responsabile del mantenimento degli standard di qualità delle acque reflue trattate. Così, la società ricorrente, quale titolare di una posizione di garanzia, era obbligata a tenere la condotta di controllo dalla stessa omessa e per cui è stata sanzionata.
In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni svolte, il ricorso deve essere respinto, con la conseguente condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte degli stessi ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio in favore del Provincia del Sud Sardegna che si liquidano in complessivi euro 2.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre a spese forfettarie ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda