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Responsabilità disciplinare: leggere email basta?

Una società sanzionava una dipendente ritenendola a conoscenza, tramite email, di illeciti commessi da colleghi. La Corte di Cassazione ha confermato l’annullamento della sanzione, stabilendo che la mera ricezione di comunicazioni non è sufficiente a fondare la responsabilità disciplinare. È necessario per il datore di lavoro provare l’effettiva consapevolezza del contenuto da parte del lavoratore, escludendo così una forma di responsabilità oggettiva.

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Pubblicato il 23 agosto 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Responsabilità Disciplinare: La Semplice Ricezione di una Email Basta per una Sanzione?

Nell’era digitale, dove le comunicazioni via email sono costanti e spesso sovrabbondanti, sorge una domanda cruciale: fino a che punto un lavoratore può essere ritenuto responsabile per il contenuto di un messaggio ricevuto? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta proprio questo tema, delineando i confini della responsabilità disciplinare del dipendente e ponendo un freno alla tendenza di attribuire una colpa sulla base della mera ricezione di una comunicazione.

I Fatti del Caso: Una Contestazione Basata su Comunicazioni Elettroniche

Una grande società di servizi aveva irrogato una sanzione disciplinare (un’ammonizione) a una propria dipendente. L’accusa era grave: l’azienda sosteneva che la lavoratrice fosse pienamente consapevole di una condotta illecita posta in essere da altri colleghi. Tale condotta, mirata a eludere i controlli di qualità sul servizio di recapito, era stata, secondo l’azienda, comunicata alla dipendente tramite alcune email.

L’azienda riteneva che la semplice ricezione di queste email provasse la conoscenza dell’illecito e, di conseguenza, la violazione degli obblighi di fedeltà e correttezza per non averlo segnalato.

La Decisione dei Giudici di Merito e il Principio sulla responsabilità disciplinare

La Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, aveva annullato la sanzione. I giudici di merito avevano evidenziato un punto fondamentale: la lavoratrice era una semplice destinataria delle email e non ricopriva alcuna posizione di garanzia o di controllo che le imponesse un dovere specifico di vigilanza.

Inoltre, la Corte ha sottolineato come, nel normale contesto lavorativo, sia comune ricevere un numero elevato di email. Pertanto, non si poteva dare per scontato che la dipendente avesse letto attentamente quelle specifiche comunicazioni, soprattutto perché non riguardavano direttamente le sue mansioni. Ancorare la responsabilità disciplinare alla mera ricezione di una mail, concludeva la Corte, equivarrebbe a configurare un’inammissibile forma di responsabilità oggettiva.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

Investita del caso, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso dell’azienda inammissibile, confermando di fatto la decisione della Corte d’Appello. Il ragionamento dei giudici supremi è stato netto e si è concentrato sull’onere della prova a carico del datore di lavoro.

La Cassazione ha chiarito che le censure mosse dall’azienda non scalfivano l’accertamento di fatto compiuto nel giudizio precedente. Era emerso, infatti, che non vi era alcuna prova che la lavoratrice avesse:

* Dato conferma di lettura delle email.
* Risposto o inoltrato a terzi le comunicazioni.
* Tenuto comportamenti che dimostrassero la sua conoscenza dell’illecito.

Questo accertamento di fatto esclude il presupposto soggettivo fondamentale per qualsiasi addebito disciplinare: la consapevolezza. Senza la prova della consapevolezza dell’attività illecita dei colleghi, viene meno la base stessa su cui l’azienda aveva fondato l’affermazione della responsabilità della dipendente. Di conseguenza, i richiami agli obblighi di correttezza e buona fede risultano non pertinenti, poiché manca l’elemento psicologico che configura la violazione.

Le Conclusioni

La pronuncia stabilisce un principio di garanzia di notevole importanza per tutti i lavoratori. Non basta essere inseriti in una lista di destinatari di una email per essere chiamati a rispondere del suo contenuto. Il datore di lavoro che intende muovere un addebito disciplinare deve andare oltre, provando concretamente che il dipendente non solo ha ricevuto, ma ha anche compreso e acquisito consapevolezza di un’informazione rilevante ai fini del rapporto di lavoro.

Questa decisione tutela i dipendenti da indebite estensioni di responsabilità, specialmente in contesti lavorativi complessi e caratterizzati da un flusso incessante di comunicazioni, riaffermando che la responsabilità disciplinare deve sempre essere personale e basata su un’effettiva partecipazione, anche solo a livello di conoscenza, all’infrazione contestata.

Un lavoratore può essere sanzionato disciplinarmente solo per aver ricevuto una email che riporta condotte illecite di colleghi?
No. Secondo l’ordinanza, la mera ricezione di una email non è sufficiente. È necessario che il datore di lavoro provi che il dipendente abbia avuto piena consapevolezza del contenuto illecito, ad esempio dimostrando che l’ha letta attentamente, ha dato conferma di lettura o ha risposto.

Cosa si intende per ‘responsabilità oggettiva’ in questo contesto e perché è stata esclusa?
Per responsabilità oggettiva si intende l’attribuzione di una colpa a un soggetto senza che sia necessario provare la sua intenzione o negligenza. È stata esclusa perché sanzionare la lavoratrice per la sola ricezione di email, senza prova della sua consapevolezza, avrebbe significato punirla per un fatto altrui sul quale non aveva né controllo né un dovere specifico di vigilanza (posizione di garanzia).

Quale onere della prova ha il datore di lavoro in casi simili?
Il datore di lavoro ha l’onere di provare il ‘presupposto soggettivo’ della violazione. Non basta dimostrare che la comunicazione è arrivata al dipendente; deve dimostrare che il dipendente era effettivamente consapevole dell’attività illecita descritta nella comunicazione e che, avendo tale consapevolezza, ha omesso di agire in violazione dei suoi doveri di correttezza e fedeltà.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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