Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5633 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 5633 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 03/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 28305-2022 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
LE ASSICURAZIONI DI RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati COGNOME, NOME COGNOME che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2077/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 07/06/2022 R.G.N. 484/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Oggetto
R.G.N. 28305/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 03/12/2024
CC
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 2077/2022, ha riformato la decisione del Tribunale di Roma che aveva ritenuto illegittimo il licenziamento disciplinare intimato NOME COGNOME, dirigente di secondo grado della compagnia Assicurazioni di Roma – Mutua Assicuratrice Romana (AdiR) il 19 febbraio 2014, a cui era stato contestato di aver contribuito, insieme ad altri responsabili, ad un’anomala e negligente liquidazione di un sinistro assicurativo per l’importo di 1.200.000 €., relativo a tale sig . COGNOME, in violazione delle norme interne aziendali, in particolare della Norma organizzativa 4/2010, che regolamentava il funzionamento del Comitato Sinistri Notevoli.
La liquidazione del sinistro sarebbe stata infatti deliberata dal ricorrente, senza convocare il comitato nelle fasi preliminari, in modo non conforme alle direttive impartite dai superiori e alle politiche aziendali con rilevante danno economico e alla reputazione della azienda.
Il giudice di primo grado aveva ritenuto illegittimo il licenziamento, condannando il datore di lavoro al pagamento del risarcimento del danno commisurato ai compensi che sarebbero spettati al lavoratore dalla recesso alla scadenza del contratto.
La Corte d’Appello ha invece riconosciuto la giusta causa del licenziamento, condannando NOME al risarcimento di € 440.000, oltre interessi e spese legali per entrambi i gradi di giudizio.
Per la cassazione della predetta sentenza propone ricorso il sig. NOMECOGNOME articolato in quattro motivi, cui resiste con controricorso la compagnia Assicurazioni di Roma RAGIONE_SOCIALE Mutua RAGIONE_SOCIALE Romana; entrambe le parti hanno depositato memoria; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di art. 41, 1218, 1292, 2055 c.c. Deduce che la Corte d’Appello avrebbe errato nel ritenere il ricorrente corresponsabile solidalmente in relazione alla gestione del sinistro Capuano, nonostante una precedente sentenza della Corte di Appello di Roma, nel giudizio contro il dirigente generale (tale dr. COGNOME) avesse già individuato quest’ultimo come unico responsabile della liquidazione in esame.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e 5 c.p.c., il ricorrente deduce la violazione dell’art. 2095 c.c. e dell’art. 2 del CCNL per i dirigenti delle imprese assicurative. Contesta la decisione della Corte che non avrebbe considerato il rapporto gerarchico e la subordinazione del ricorrente rispetto a un dirigente di grado superiore, nell’esecuzione di direttive aziendali inerenti al sinistro. Avrebbe errato la corte nell’individuare una responsabilità del ricorrente quando questi si sarebbe solo limitato ad eseguire ordini superiori, tanto più che la stessa corte dà conto del fatto che il ricorrente sarebbe stato sottoposto a pressioni (anche conseguenti alla eco mediatica che rischiava di assumere il sinistro per essere il danneggiato un personaggio dello spettacolo). Pertanto, nella prospettazione difensiva, il ricorrente, dirigente inferiore rispetto all’COGNOME, doveva essere ritenuto incolpevole, alla luce del vincolo di subordinazione, sia pure attenuata, che doveva essere ravvisata sulla base del CCNL.
Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e 5 c.p.c., il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1175, 1375, 2104 e 2015 c.c., nonché dell’art. 112 e 115 c.p.c.,
in relazione alla violazione del vincolo fiduciario nel rapporto di lavoro dirigenziale. La Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto che il ricorrente dovesse astenersi dall’eseguire le direttive impartite dal dirigente superiore e dal Presidente della società, in forza del vincolo fiduciario che lega il dirigente all’azienda. Inoltre, il ricorrente denuncia l’omessa considerazione di fatti rilevanti, quali la subordinazione alle istruzioni ricevute e l’impossibilità, per il suo ruolo, di disattendere ordini esecutivi senza incorrere in responsabilità disciplinari.
Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e 5 c.p.c., si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2104 c.c., contestando alla Corte d’Appello di aver attribuito al ricorrente responsabilità collegiale per le decisioni assunte dal Comitato RAGIONE_SOCIALE, del quale era membro, così travisando il ruolo del Comitato, ignorando la natura collegiale delle decisioni e attribuendo al singolo membro una responsabilità personale non prevista dalle norme.
Peraltro, evidenzia il ricorrente, la corte avrebbe errato nel valorizzare il ruolo della delibera collegiale in esame, che si sarebbe solamente limitata a recepire una volontà già formata, ossia la decisione assunta dall’Alker di liquidare il sinistro.
8. Il ricorso è infondato.
In tutti i motivi dedotti le censure sono proposte sia con riferimento al vizio di cui al n. 3 che a l n. 5 dell’art. 360 comma 1, c.p.c., risultando, già solo per tale ragione, formulati in maniera irrispettosa del canone della specificità, rendendo ostica l’intellegibilità delle ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, e l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure (Cass. SS.UU. n. 26242 del 2014; . Cass. n. 3141 del 2019, Cass. n. 13657 del 2019; Cass. n. 18558 del 2019; Cass. n.18560 del 2019).
9. Il primo motivo di ricorso con il quale il ricorrente invoca, al fine di escludere la propria responsabilità come corresponsabile, la rilevanza della sentenza resa in un giudizio di cui non era parte, che affermava la responsabilità del dirigente generale COGNOME nella negligente liquidazione del sinistro Capuano, è infondato.
La Corte di appello ha motivato approfonditamente su tale doglianza, evidenziando, prima di tutto in termini fattuali che, pur essendo vero che la determinazione dell’importo da corrispondere a titolo di transazione è stata operata unilateralmente dal Direttore Generale COGNOME non si può ritenere che la condotta di quest’ultimo sia stata l’unica causa della vicenda, così da elidere ogni responsabilità in capo al Nicolao. Quest’ultimo, infatti, ha posto in essere condotte attive e omissive che hanno rappresentato antecedenti indispensabili della liquidazione transattiva del sinistro (cfr. pag. 12 della sentenza impugnata).
In particolare, la valutazione della percentuale di invalidità residuata al Capuano, utilizzata ai fini della definizione concorsuale della pratica, è stata effettuata proprio sulla base della visita collegiale disposta dal COGNOME. Inoltre, la decisione del Comitato Sinistri Notevoli di procedere alla liquidazione transattiva, nonostante le violazioni delle procedure aziendali, è stata assunta con il contributo attivo dello stesso COGNOME, il quale -tuttavia- come evidenzia la corte (pag. 4 e pag. 10) ave va riferito di avere apprezzato parecchie ‘stranezze’ nella gestione del sinistro essendo, di conseguenza, consapevole della sussistenza di anomalie, evidentemente contrarie agli interessi dell’azienda.
La Corte d’Appello, procedendo ad una approfondita disamina dei fatti, ha ritenuto irrilevante l’argomento difensivo posto dal ricorrente alla base del motivo in esame, ossia il valore esimente
che avrebbe rivestito la sentenza n. 446/2022 della Corte d’Appello di Roma, con cui è stata accertata la responsabilità dell’COGNOME per i danni arrecati nella vicenda in esame .
Ed infatti la corte, dopo aver escluso l’invocab ilità della decisione da parte del ricorrente, estraneo al giudizio in cui la pronuncia fu emessa, (correttamente richiamando i principi relativi all’ efficacia soggettiva del giudicato, ex art. 2909 c.c.) ha pure chiarito come la sentenza n. 446/2022 non affronti la questione dell’eventuale concorso di condotte dannose ascrivibili sia all’Alker che al Nicolao, essendo tale problematica estranea al perimetro del giudizio all’esito del quale la sentenza fu emessa, che riguardava solo la posizione del direttore generale.
La corte, in sostanza, ha escluso alcun rapporto di pregiudizialità o dipendenza reciproca tra le posizioni dei due dirigenti, ben potendo in caso di concorso di più soggetti nella produzione di un danno, ciascuno rispondere solidalmente non tanto in applicazione dell’art. 2055 c.c., che disciplina la responsabilità extracontrattuale, quanto in forza del principio generale secondo cui, qualora un unico evento dannoso sia imputabile a più persone, è sufficiente che le condotte di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente alla sua realizzazione (Cass. n. 24405/2021), escludendo pure che l’avere il datore di lavoro agito separatamente nei confronti dei due dirigenti, potesse incidere sull’accertamento della corresponsabilità del Nicolao nella determinazione dell’evento lesivo, trattandosi di aspetto relativo esclusivamente al profilo soggettivo dell’azione risarcitoria.
Il secondo e il terzo motivo di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente per ragioni di ordine logico, poiché entrambi deducono l’errore in cui sarebbe incorsa a corte non adeguatamente considerando il rapporto gerarchico e la
subordinazione del ricorrente rispetto a un dirigente di grado superiore, nell’esecuzione di direttive aziendali inerenti al sinistro e l’impossibilità, per il ricorrente, di disattendere gli ordini superiori senza incorrere in responsabilità disciplinari, sono del pari infondati.
Ed infatti, come è evidente dalla lettura della motivazione fornita dalla corte, i motivi si traducono in una sollecitazione una ricostruzione alternativa rispetto ai fatti accertati.
Al riguardo, la corte, per fondare la responsabilità del COGNOME, ha fornito una motivazione adeguata, valorizzando, ai fini dell’esigibilità di una condotta diversa, molteplici elementi, quali la consapevolezza del ricorrente della forzatura rispetto alle regole generali di liquidazione dei sinistri, ricavata anche dalla circostanza che le pressioni subite per stessa dichiarazione del ricorrente provenivano dal procuratore del COGNOME e non da soggetti interni all’azienda che quindi ne tutelavano gli inte ressi (sentenza pag. 10) , nonché dal fatto che nel ‘comitato Sinistri Notevoli la posizione del NOME, quale componente dell’organo collegiale, aveva dignità pari a quella del Direttore Generale, non emergendo dalla Norma Organizzativa 4/2010 alcun elem ento significativo di una prevalenza dell’uno sull’altro.’
Accanto a tali ‘rationes decidendi’, la corte evidenzia pure l’assenza di subordinazione gerarchica vera e propria tra dirigenti, nel senso di assenza ‘di un vincolo di dipendenza gerarchica, che obblighi il sottordinato a eseguire gli ordini del sovraordinato’, consid erazione che certamente è corretta, poiché la articolazione della dirigenza tra primo e secondo livello, produce quale conseguenza il fenomeno della subordinazione attenuata, ma pur sempre con finalità organizzative e di responsabilizzazione al rispetto delle strategie imprenditoriali, nel rispetto degli interessi dell’impresa, senza che si possa configurare una subordinazione vera e propria, nel
senso invocato dal ricorrente (traducendosi la sovra ordinazione gerarchica in un’attività di controllo o di coordinamento di direttive, in modo che sia conservata al dirigente subordinato ampia autonomia nelle scelte decisionali funzionali alla realizzazione degli obiettivi dell’impresa, cfr. Cass. Sez. L., 29/11/2019, n. 31279).
A fronte di tali osservazioni le censure proposte quali violazioni di legge e omesso esame di fatti decisivi si traducono in una proposta di valutazione alternativa e diversa da quella formulata dalla corte, in questa sede non ammissibile. Esse, in particolare, si sostanziano nel ripercorrere criticamente il ragionamento decisorio svolto dal giudice a quo, sicché incidono sull’intrinseco delle opzioni nelle quali propriamente si concreta il giudizio di merito, risultando per ciò stesso estranee all’ambito meramente estrinseco entro il quale è circoscritto il giudizio di legittimità (cfr. Cass. SS.UU.n. 8054 del 2014, che richiama Cass. n. 14953 del 2000).
Infine è infondato il quarto motivo, con il quale il ricorrente si duole che la responsabilità per le decisioni assunte dal Comitato Sinistri Notevoli, trattandosi di organo collegiale, non possa essere ricondotta al singolo membro nonché del valore relativo della decisione di tale organo, che avrebbe solo siglato le decisioni dell’Alker.
Anche riguardo tale aspetto, tuttavia, la motivazione della corte chiarisce bene il peso, nell’ambito della globale valutazione del fatto, che il giudice di merito attribuisce alla condotta nell’ambito dell’organo in questione. Ed infatti la corte valorizz a proprio, ai fini della responsabilità del ricorrente, la circostanza che all’interno dell’organo collegiale pur avendo egli ricevuto pressioni e avendo maturato la consapevolezza delle anomalie (ripercorse nel ragionamento precedente), riportate in sentenza e anche del significativo scostamento rispetto alle prassi
solitamente seguite nella liquidazione dei sinistri, non abbia evidenziato i fatti suddetti, limitandosi a tacere e a concorrere alla ‘presa d’atto’ riguardo ‘le decisioni extra ordinem del Direttore Generale’.
E’ evidente che, al riguardo , non è valorizzata la responsabilità dell’organo collegiale, ma il comportamento del singolo all’interno dello stesso, per comporre il quadro generale di responsabilità valutato dalla sentenza impugnata, in fatto, in maniera argomentata e senza contraddizioni.
Il ricorso pertanto deve essere rigettato.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio, il 3 dicembre 2024
La Presidente Dott.ssa NOME COGNOME