Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3130 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 3130 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/02/2025
OGGETTO:
diffusione a mezzo stampa di una querela da parte dei difensori dei querelanti responsabilità disciplinare di questi ultimi -esclusione
SENTENZA
sui ricorsi riuniti iscritti ai nn. 6898/2023 e 6924/2023 r.g., proposti
da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.ta in presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
ricorrente
contro
NOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME, elett. dom.ti in INDIRIZZO Roma, rappresentati e difesi dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
contro
ricorrenti
nonché
RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore .
intimata avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 211/2022 pubblicata in data 09/09/2022, n. r.g. 1133/2021.
Udita la relazione svolta all’udienza e nella camera di consiglio del giorno 08/01/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME.
Viste le conclusioni scritte depositate dal P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME.
Udita la discussione dei difensori delle parti.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.Gli odierni controricorrenti erano dipendenti di RAGIONE_SOCIALE con qualifica di assistenti socio assistenziali –RAGIONE_SOCIALE e destinati a svolgere le loro mansioni presso l’Istituto Palazzolo gestito in Milano dalla INDIRIZZO.
Nell’aprile 2020 era stato loro contestato in via disciplinare di aver diffuso a mezzo stampa e televisione il testo di una querela sporta nei confronti della cooperativa e della committente Fondazione Don Gnocchi, con cui era stata denunziata l’esposizione dei dipendenti al rischio di contagio da RAGIONE_SOCIALE.
Ne era seguita sia la sanzione disciplinare del rimprovero scritto, sia il provvedimento di trasferimento presso altra analoga struttura gestita sempre in Milano dalla medesima Fondazione, a seguito di una lettera di ‘non gradimento’ inviata da quest’ultima alla cooperativa.
I lavoratori adi vano il Tribunale di Milano per ottenere l’annullamento sia della sanzione disciplinare, sia del trasferimento.
2.Costituitosi il contraddittorio, disposta su ordine del giudice la chiamata in causa della Fondazione Don COGNOME, ritenuta cessata la materia del contendere nei confronti di NOME NOME COGNOME e di NOME COGNOME poiché la prima si era dimessa e la seconda era stata successivamente licenziata, il Tribunale accoglieva le domande, ritenendo non provata l’attribuibilità della condotta contestata ai lavoratori e sostanzialmente punitivo/ritorsivo il motivo del trasferimento, fondato su una clausola di gradimento illegittima e quindi inefficace nei confronti dei lavoratori.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello rigettava l’appello proposto dalla cooperativa (oltre che quello proposto dalla Fondazione).
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
la clausola di gradimento è certamente ammissibile e quindi valida sul piano genetico, salvo il suo sindacato giurisdizionale sul piano funzionale;
nel caso di specie sia la Fondazione committente, sia la cooperativa appaltatrice hanno dato attuazione a quella clausola prescindendo dal riscontro circa la commissione del fatto da parte dei lavoratori puniti e trasferiti;
riprendendo le motivazioni di altra pronunzia di appello, relativa ad un lavoratore licenziato per la medesima vicenda, va infatti ribadito che, come ritenuto dal Tribunale, non vi è alcuna prova che i lavoratori sanzionati e trasferiti abbiano tenuto la condotta oggetto di contestazione disciplinare;
la diffusione della querela sulla stampa e su alcune reti televisive è infatti avvenuta ad opera dei loro legali e l’eventuale successiva condivisione del loro operato da parte dei lavoratori non è certo idonea a far configurare a carico di questi ultimi un comportamento di concorso o di compartecipazione nella divulgazione medesima;
si aggiunga che i lavoratori in primo grado hanno prodotto la delibera ANAC n. 718 del 27/10/2021, con cui era stata dichiarata la natura ritorsiva, in violazione dell’art. 54, co. 9, d.lgs. n. 165/2001, della nota del 17/04/2020, con cui la Fondazione aveva esercitato la clausola di non gradimento; trattasi di un elemento probatorio di valenza significativa.
4.- Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
5.- NOME e gli altri indicati in epigrafe hanno resistito con controricorso.
6.- La Fondazione Don COGNOME è rimasta intimata.
7.- Il P.G. ha depositato due memorie, con cui ha concluso per il rigetto del ricorso.
8.- La ricorrente ha depositato memoria (nel giudizio iscritto al n.r.g. 6898/2023), con cui ha altresì depositato il provvedimento con cui il Giudice
per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano, in data 29/05/2024 ha disposto l’archiviazione del procedimento penale, promosso in seguito alla querela sporta dai dipendenti della cooperativa.
9.All”udienza dell’08/01/2025 questa Corte, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., ha disposto la riunione dei due ricorsi, in quanto proposti (peraltro con identico tenore) avverso la medesima sentenza d’appello.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta falsa applicazione degli artt. 1703, 1704, 1708, 1711, 1292, 1293, 1294 e 2049 c.c. per avere la Corte territoriale omesso di considerare che la divulgazione ad opera dei difensori dei querelanti, fra cui i lavoratori sanzionati, era ascrivibile anche a questi ultimi in virtù del mandato con rappresentanza, dando luogo ad una responsabilità solidale.
Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
E’ inammissibile là dove postula che la condotta oggetto di contestazione disciplinare sia ‘ rappresentata dalla promozione della propria iniziativa penale, precisamente una querela contro il committente principale, due dirigenti medici del committente e il legale rappresentante della Ampast ‘ (v. ricorso per cassazione, p. 8). Sul punto, invece, la Corte territoriale ha condiviso l’impostazione del Tribunale, secondo cui la condotta contestata come disciplinarmente rilevante era rappresentata non dalla proposizione della querela, bensì dalla sua diffusione sulla stampa e su alcune reti televisive. La ricorrente non ha censurato questo convincimento e, pertanto, la sua censura si rivela non pertinente rispetto al decisum .
Il motivo è altresì inammissibile, nella parte in cui sollecita a questa Corte una nuova lettura del contenuto degli articoli di stampa, riportati alle pagine 8-28 della memoria difensiva di primo grado, lettura interdetta in sede di legittimità, in quanto riservata ai giudici di merito.
Il motivo è nel resto infondato. Come riconosce anche la ricorrente, la diffusione di quella querela sulla stampa e su alcune reti televisive è avvenuta ad opera dei legali nominati dai querelanti, fra cui gli odierni controricorrenti. Ma il mandato -stando alla stessa prospettazione della ricorrente -riguardava la presentazione della querela e non altro.
A ciò si aggiunga che, contrariamente all’assunto della ricorrente (v.
ricorso per cassazione, p. 11), ai sensi dell’art. 5 L. n. 604/1966, era onere della datrice di lavoro dimostrare che in quel mandato fosse ricompreso anche l’incarico di diffondere sulla stampa e sulle reti televisive la notizia dell’avvenuta presentazione della querela. Tale onere, invece, come accertato nei gradi di merito non è stato adempiuto, sicché resta conforme a diritto il convincimento dei giudici d’appello circa l’insussistenza di qualunque prova sull’ascrivibilità, a i lavoratori sanzionati, della condotta contestata in via disciplinare.
Una volta esclusa questa prova, risulta superfluo l’esame di quella parte del motivo relativa alle obbligazioni solidali da fatto illecito, che presuppongono pur sempre il compimento del fatto da più autori, fra cui anche i lavoratori sanzionati, presupposto che invece deve dirsi processualmente inesistente alla luce dei rilievi sopra svolti.
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. la ricorrente lamenta falsa app licazione dell’art. 2105 c.c. e omesso esame del fatto rappresentato dalla violazione dell’obbligo di fedeltà per la portata lesiva della diffusa campagna stampa dei querelanti ed in particolare dei lavoratori sanzionati.
Il motivo risulta infondato come necessaria e stretta conseguenza dell’infondatezza del primo motivo: ferma la mancata prova dell’ascrivibilità della condotta (contestata in via disciplinare) ai dipendenti sanzionati, ne consegue la conformità a diritto del convincimento della Corte territoriale circa l’insussistente violazione dell’obbligo di fedeltà.
3.Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, da attribuire ai difensori dei controricorrenti, dichiaratisi antistatari.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge, con attribuzione ai difensori dei controricorrenti.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi
dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in