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Responsabilità del lavoratore per atti dell’avvocato

Una cooperativa sociale ha sanzionato e trasferito alcuni dipendenti dopo che i loro avvocati avevano diffuso alla stampa una querela contro l’azienda. La Corte di Cassazione ha confermato l’illegittimità delle sanzioni, stabilendo che il datore di lavoro non era riuscito a provare che i dipendenti avessero specificamente autorizzato i loro legali a diffondere la querela ai media. L’onere della prova per la responsabilità del lavoratore ricade sul datore di lavoro.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Responsabilità del Lavoratore: Quando Risponde per gli Atti del Proprio Avvocato?

La questione della responsabilità del lavoratore per le azioni intraprese dal proprio legale è un tema delicato e complesso. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali, stabilendo che non esiste un automatismo: il datore di lavoro che intende sanzionare un dipendente per la condotta del suo avvocato deve fornire una prova rigorosa che tale condotta fosse inclusa nel mandato conferito. Analizziamo il caso che ha portato a questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Dalla Querela alle Sanzioni Disciplinari

La vicenda ha origine quando alcuni dipendenti di una cooperativa sociale, operanti presso una struttura gestita da una fondazione committente, sporgono una querela. L’oggetto della denuncia era la presunta esposizione al rischio di contagio da COVID-19 sul luogo di lavoro. Successivamente, il contenuto della querela viene diffuso a mezzo stampa e televisione ad opera dei legali dei lavoratori.

La reazione della cooperativa datrice di lavoro è immediata: avvia un procedimento disciplinare contro i dipendenti, che si conclude con un rimprovero scritto e un provvedimento di trasferimento presso un’altra struttura. Quest’ultimo scaturisce da una lettera di “non gradimento” inviata dalla fondazione committente alla cooperativa.

I lavoratori impugnano entrambi i provvedimenti, ritenendoli illegittimi.

La Decisione dei Giudici di Merito

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello accolgono le ragioni dei lavoratori. I giudici sottolineano un punto fondamentale: la contestazione disciplinare non riguardava la presentazione della querela in sé (un diritto del cittadino), ma la sua successiva diffusione mediatica. Tuttavia, secondo le corti, la cooperativa non è riuscita a fornire alcuna prova che tale diffusione fosse direttamente attribuibile ai lavoratori e non un’iniziativa autonoma dei loro avvocati. Mancando la prova della condotta, la sanzione disciplinare e il conseguente trasferimento, ritenuto di natura ritorsiva e basato su una clausola di gradimento illegittima, vengono annullati.

L’Analisi della Cassazione sulla Responsabilità del Lavoratore

La cooperativa, non soddisfatta, ricorre in Cassazione, sostenendo principalmente due argomenti: primo, che i lavoratori dovessero essere ritenuti solidalmente responsabili per l’operato dei loro difensori in virtù del mandato conferito; secondo, che i giudici di merito avessero omesso di valutare la violazione dell’obbligo di fedeltà derivante dalla campagna stampa lesiva.

La Suprema Corte rigetta il ricorso, confermando le decisioni precedenti. I giudici chiariscono che il mandato conferito a un avvocato per presentare una querela non include automaticamente l’autorizzazione a diffonderla ai media. La responsabilità del lavoratore per un’azione così specifica deve essere provata. Spettava al datore di lavoro, in base al principio dell’onere della prova, dimostrare che il mandato comprendesse anche l’incarico di divulgare la notizia. Poiché tale prova non è stata fornita, nessuna colpa può essere ascritta ai dipendenti.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano su un principio di diritto chiaro e rigoroso. La condotta contestata in sede disciplinare deve essere provata in modo inequivocabile. Nel caso di specie, l’azione materiale (la diffusione alla stampa) è stata compiuta da soggetti terzi (i legali). Per poter attribuire la responsabilità di tale azione ai lavoratori, il datore di lavoro avrebbe dovuto dimostrare che questi ultimi avevano dato un incarico specifico in tal senso, superando il perimetro del normale mandato legale per la presentazione di una querela. L’assenza di questa prova rende l’addebito disciplinare infondato. Di conseguenza, cade anche la doglianza relativa alla violazione dell’obbligo di fedeltà, poiché non è possibile ascrivere ai dipendenti una condotta che non è stato provato abbiano tenuto o autorizzato.

Le Conclusioni: Implicazioni per Datori di Lavoro e Dipendenti

Questa sentenza rafforza un importante baluardo a tutela dei diritti dei lavoratori e definisce con precisione i limiti della responsabilità per le azioni dei propri rappresentanti legali. Per i datori di lavoro, emerge la necessità di condurre istruttorie disciplinari estremamente rigorose, basate su prove concrete e non su presunzioni, specialmente quando si contestano fatti compiuti da terzi. Non è sufficiente presumere che un cliente sia responsabile di ogni iniziativa del proprio avvocato. Per i lavoratori, la decisione conferma la piena legittimità del ricorso alle vie legali per la tutela dei propri diritti, distinguendo nettamente l’esercizio di tale diritto dalle modalità con cui esso viene comunicato all’esterno.

Un lavoratore è sempre responsabile per la diffusione di una querela alla stampa da parte del proprio avvocato?
No. Secondo la Corte, la responsabilità del lavoratore non è automatica. Il datore di lavoro ha l’onere di dimostrare che il mandato conferito dal lavoratore al proprio legale includeva specificamente anche l’incarico di diffondere la querela ai media.

Su chi ricade l’onere di provare che il lavoratore ha autorizzato la diffusione mediatica della querela?
L’onere della prova ricade interamente sul datore di lavoro. È l’azienda che, volendo sanzionare il dipendente, deve dimostrare che quest’ultimo ha dato istruzioni o autorizzato la divulgazione della notizia.

La sola presentazione di una querela contro il datore di lavoro è sufficiente a giustificare una sanzione disciplinare?
La sentenza chiarisce che la condotta oggetto della contestazione disciplinare non era la presentazione della querela in sé, ma la sua diffusione mediatica. Questo distingue l’esercizio di un diritto (sporgere querela) da un’eventuale condotta successiva che potrebbe ledere l’obbligo di fedeltà, la cui responsabilità deve però essere provata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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