Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13186 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13186 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31505/2020 r.g., proposto
da
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME LucaCOGNOME NOMECOGNOME NOME , elett. dom.ti in INDIRIZZO Roma, presso avv. NOME COGNOME rappresentati e difesi dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
ricorrenti
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to presso la Cancelleria di questa Corte , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Firenze n. 508/2020 pubblicata in data 06/10/2020, n.r.g. 842/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 18/03/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
OGGETTO:
selezione per copertura di posti di “addetto di esercizio” – requisito della “residenza territoriale” -ragionevolezza -accertamento – riservato al giudice di merito
1.Con gli avvisi al personale nn. 32 e 33 dell’11/04/2016, RAGIONE_SOCIALE aveva indetto due prove selettive attitudinali per esami (consistenti in prova scritta e colloquio), ai fini della copertura di due posti di ‘addetto all’esercizio’, parametro 193, di cui uno su Pistoia ed uno su San Marcello Pistoiese.
Gli odierni ricorrenti, dipendenti di RAGIONE_SOCIALE erano stati esclusi dalla partecipazione a quelle prove selettive in virtù della clausola di ‘residenza lavorativa’ contenuta nei predetti avvisi al personale.
Sostenevano l’illegittimità di tale clausola sotto vari profili.
Indi adìvano il Tribunale di Pistoia per ottenere la declaratoria di nullità della predetta clausola, la condanna della società a ripetere la prova selettiva ovvero ad inserirli nella graduatoria degli idonei, nonché, in ogni caso, la condanna della società al risarcimento del danno pari ad euro 1.740,70 per i lavoratori con parametro 183 e ad euro 3.161,20 per quelli aventi parametro 175.
2.- Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale, in parziale accoglimento della domanda, dichiarava l’illegittimità della clausola di residenza lavorativa, ma riconosceva soltanto il diritto al risarcimento del danno per perdita di chance , considerata pari a quella di tutti gli altri lavoratori che avevano partecipato alla prova selettiva, e liquidava il danno nelle misure indicate dai ricorrenti, ritenute eque e proporzionate.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello accoglieva il gravame interposto da RAGIONE_SOCIALE e rigettava tutte le originarie domande dei dipendenti.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
quello in esame è un rapporto di lavoro privato, sicché deve essere riconosciuta la libertà del datore di lavoro di darsi l’organizzazione aziendale ritenuta più confacente alla sua impresa;
tale scelta è insindacabile dal giudice, a meno che sia irragionevole e arbitraria e in quanto tale lesiva di diritti dei lavoratori (Cass. n. 4757/2015);
nel caso concreto, occorre allora verificare se il requisito della ‘residenza lavorativa’, richiesto nell’avviso di selezione, per il quale il
datore di lavoro ritiene necessario avere svolto attività lavorativa in quei territori in cui l’addetto dovrà operare, sia ragionevole oppure no;
tale requisito è ragionevole, considerato che l’addetto di esercizio ha il coordinamento degli operatori che operano in quel territorio e deputati al pubblico trasporto, ciò che presuppone una conoscenza dei luoghi, della loro criticità, dei tempi di percorrenza, conoscenza che potevano avere solo coloro che già operavano in quel contesto e che era necessaria per fare fronte e risolvere i problemi che quotidianamente potevano insorgere, al fine di garantire il corretto svolgimento di un pubblico servizio;
a fronte della giustificazione specifica e più che ragionevole del datore di lavoro in relazione alle mansioni dell’addetto di esercizio, nulla hanno dedotto i lavoratori;
l’appello è fondato anche con riguardo alla prova del danno;
come ha affermato il Tribunale, si tratterebbe di danno da perdita di chance , ma non è certo sufficiente allegare che tutti gli altri partecipanti avevano le stesse qualifiche e la stessa anzianità ed esperienza lavorativa, poiché ciò li pone tutti nella medesima posizione circa la probabilità di superare la prova;
d’altro canto occorre considerare che il numero dei concorrenti era in totale di 36 unità a fronte di soli due posti oggetto delle prove selettive;
quindi è mancata la prova della probabilità di superamento della prova, ossia dell’esito positivo della chance .
4.- Avverso tale sentenza COGNOME NOME e gli altri soggetti indicati in epigrafe hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
6.- I ricorrenti hanno depositato memoria.
7.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3) e 5), c.p.c. i ricorrenti lamenta no ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 41 Cost., 1175, 1375 e 2103 c.c., 3 e 18 r.d. n. 148/1931, 12 disp.prel.c.c., nonché omessa, contraddittoria o insufficiente motivazione circa un fatto
decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti per avere la Corte territoriale ritenuto ragionevole e non arbitraria la clausola di ‘residenza lavorativa’.
Il motivo è inammissibile, perché volta a sollecitare a questa Corte un diverso apprezzamento della funzione di quella clausola, interdetta in sede di legittimità, in quanto riservata al giudice di merito.
E’ altresì inammissibile in termini di vizio di motivazione, posto che quel che viene denunziato è un asserito errore di interpretazione della clausola e non l’omessa considerazione di un ‘fatto storico’ decisivo.
Resta fermo che l’insufficienza motivazionale è divenuta irrilevante alla luce della riformulazione dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. e la motivazione contraddittoria rileva solo qualora trasmodi in motivazione ‘apparente’ (Cass. sez. un. n. 8053/2014), condizione nella specie insussistente. La Corte territoriale ha infatti specificamente preso in considerazione le mansioni dell’addetto di esercizio come previste dal CCNL (coordinamento degli operatori, controllo sulla regolarità dell’esercizio, sul per sonale viaggiante e, all’occorrenza, sull’utenza, nonché, ove richiesto, compiti di polizia amministrativa e di supporto alla clientela) ed ha ritenuto -con motivazione adeguata e logicamente comprensibile -che quelle mansioni implicassero una conoscenza del territorio in cui il nuovo addetto di esercizio avrebbe operato, conoscenza ritenuta garantita appunto dalla clausola di ‘residenza lavorativa’ esaminata.
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. i ricorrenti lamenta no ‘omessa, contraddittoria o insufficiente motivazione’ circa un fatto decisivo per il giudizio per non avere la Corte territoriale spiegato perché la residenza lavorativa in un determinato comune comporterebbe una migliore conoscenza del territorio in questione.
Il motivo è inammissibile, perché non investe un ‘fatto storico’ decisivo, ma ancora una volta l’interpretazione della clausola e la sua rispondenza a canoni di ragionevolezza e non arbitrarietà. Quindi si è al di fuori della tipologia di vizio denunciata (omesso esame di un ‘fatto storico’ decisivo).
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3) e 5), c.p.c. i ricorrenti lamenta no ‘violazione e falsa applicazione’ delle norme di cui alla direttiva n. 79/1999 e al d.lgs. n. 216/2003, nonché dell’art. 12
disp.prel.c.c. e ‘omessa, contraddittoria o insufficiente motivazione’ circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la Corte territoriale omesso di pronunziarsi sulla prospettata discriminazione territoriale.
Il motivo è inammissibile per plurime e concorrenti ragioni.
In primo luogo il vizio di violazione di norme di diritto non può essere prospettato invocando un intero corpus normativo. Questa Corte ha già affermato che nel ricorso per cassazione, il vizio di violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c., giusta il disposto dell’art. 366, co. 1, n. 4), c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla Corte di legittimità di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. ord. n. 20870/2024). Dunque non è ammissibile denunziare la violazione di un intero corpus normativo, perché a questa Corte non può essere demandato il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. sez. un. n. 23745/2020).
Quanto, poi, al vizio motivazionale, in primo luogo l’asserita discriminazione per ragioni territoriali non integra un ‘fatto storico’ decisivo , ma è l’esito di una qualificazione giuridica . In ogni caso la Corte territoriale, ritenendo ragionevole e non arbitraria quella clausola, ha implicitamente ma univocamente escluso l’asserita discriminazione, sicché il denunziato ‘omesso esame’ è insussistente.
4.Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3) e 5), c.p.c. i ricorrenti lamentano ‘violazione e falsa applicazione’ degli att. 1175 e 1375 c.c., 12 disp.prel.c.c., nonché ‘omessa, contraddittoria o insufficiente motivazione’ circ a un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la Corte territoriale omesso di considerare il regolamento interno che disciplina gli avanzamenti interni.
Il motivo è inammissibile, sia perché attiene in realtà all’interpretazione di clausole di un regolamento unilateralmente disposto dalla società, senza che siano stati prospettati vizi di interpretazione e quindi violazione dei criteri di ermeneutica negoziale (at. 1362 ss. c.c.) , sia perché quest’ultima comunque non integra un ‘fatto storico’ decisivo.
5.Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n n. 3) e 5), c.p.c. i ricorrenti lamenta no ‘violazione e falsa applicazione’ degli att. 1175 e 1375 c.c., 12 disp.prel.c.c., nonché ‘omessa, contraddittoria o insufficiente motivazione’ circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la Corte territoriale escluso la sussistenza della prova di un danno patrimoniale.
Il motivo è infondato, posto che gli elementi probatori invocati dai ricorrenti sono stati valutati dalla Corte territoriale, che -con un apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, in quanto adeguatamente motivato -li ha ritenuti insufficienti
6.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.400,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in data