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Reperibilità notturna: quando è orario di lavoro?

Una cooperativa sociale si opponeva a una richiesta di contributi da parte dell’ente previdenziale per mancata retribuzione di straordinario notturno. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23845/2025, ha stabilito che la reperibilità notturna con obbligo di permanenza in azienda è a tutti gli effetti ‘orario di lavoro’ secondo la normativa europea. Tuttavia, non deve essere automaticamente retribuita come straordinario. La retribuzione, anche se prevista da CCNL come indennità, deve rispettare i principi costituzionali di proporzionalità e sufficienza. La Corte ha quindi cassato la sentenza precedente, rinviando il caso al giudice di merito per una nuova valutazione sulla congruità della retribuzione.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Reperibilità Notturna: è Orario di Lavoro? La Cassazione fissa i paletti

La qualificazione della reperibilità notturna con obbligo di permanenza in azienda è da tempo al centro di un acceso dibattito legale. È da considerarsi orario di lavoro a tutti gli effetti, e come tale retribuito, oppure una prestazione accessoria con un compenso forfettario? La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 23845/2025, interviene sulla questione, offrendo un’interpretazione cruciale basata sul diritto europeo e sui principi costituzionali italiani.

I Fatti del Caso

Una cooperativa sociale operante nel settore socio-assistenziale si è vista notificare dall’ente previdenziale un avviso di addebito per un importo considerevole, a titolo di recupero di contributi e sanzioni. L’ente contestava alla cooperativa la mancata erogazione dell’indennità per lavoro notturno e la mancata retribuzione dello straordinario ai propri dipendenti, impegnati in turni che prevedevano la permanenza notturna presso la struttura.

La cooperativa si è opposta, sostenendo che ai lavoratori non spettasse l’indennità per lavoro notturno prevista dall’art. 54 del CCNL di settore, in quanto sostituita da un’altra indennità (ex art. 56) specifica per i turnisti. Sosteneva inoltre che il tempo di permanenza notturna costituisse mera reperibilità e non lavoro effettivo.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno dato ragione all’ente previdenziale, confermando la richiesta di pagamento. La cooperativa ha quindi deciso di ricorrere in Cassazione.

La Questione della Reperibilità Notturna come Orario di Lavoro

Il cuore della controversia risiede nella corretta interpretazione del tempo trascorso dal lavoratore presso la sede di lavoro durante la notte, a disposizione per eventuali interventi. La cooperativa lo considerava un periodo di reperibilità, retribuibile con una specifica indennità. L’ente previdenziale, invece, lo qualificava come orario di lavoro, equiparandolo di fatto a lavoro straordinario notturno, con tutte le conseguenze in termini di retribuzione e, soprattutto, di contribuzione.

La Corte di Cassazione ha dovuto bilanciare le disposizioni del Contratto Collettivo Nazionale con i principi derivanti dalla normativa dell’Unione Europea e dalla Costituzione italiana.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto in parte il ricorso della cooperativa, cassando la sentenza della Corte d’Appello e rinviando la causa per un nuovo esame. I giudici hanno stabilito un principio fondamentale: il tempo di reperibilità che impone al lavoratore la presenza fisica sul luogo di lavoro è, a tutti gli effetti, “orario di lavoro”. Tuttavia, questa qualificazione non comporta automaticamente il diritto a una retribuzione pari a quella del lavoro straordinario.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha basato la sua decisione su diversi punti cardine:

1. Interpretazione della Normativa Europea: Citando la Direttiva 2003/88/CE e la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE, i giudici hanno ribadito che le nozioni di “orario di lavoro” e “periodo di riposo” si escludono a vicenda. Un periodo in cui il lavoratore è obbligato a rimanere fisicamente in un luogo designato dal datore di lavoro per essere a sua disposizione non può essere considerato riposo, ma rientra pienamente nella definizione di orario di lavoro, anche se non comporta un’attività lavorativa continuativa.

2. Rifiuto dell’Automatismo “Orario di Lavoro = Straordinario”: La Cassazione ha chiarito che qualificare la reperibilità notturna in azienda come orario di lavoro non significa che debba essere retribuita come lavoro straordinario. Si tratta di una prestazione qualitativamente diversa dal lavoro ordinario, caratterizzata da una minore intensità.

3. Il Principio di Adeguatezza e Proporzionalità: Il punto cruciale della sentenza è il richiamo all’art. 36 della Costituzione, che sancisce il diritto del lavoratore a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e sufficiente a garantire un’esistenza libera e dignitosa. Pertanto, la retribuzione per questi periodi, anche se definita dal CCNL tramite un’indennità forfettaria, deve essere soggetta a un giudizio di congruità. Il giudice di merito può e deve disapplicare la norma collettiva se ritiene che l’indennità prevista sia simbolica o manifestamente sproporzionata, determinando un compenso equo.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

L’ordinanza segna un punto di equilibrio importante. Da un lato, riconosce che la disponibilità richiesta al lavoratore con obbligo di permanenza in azienda è un sacrificio che merita di essere considerato orario di lavoro. Dall’altro, evita un’eccessiva rigidità, non equiparando tale periodo al lavoro straordinario, che potrebbe gravare eccessivamente sui datori di lavoro, specialmente in settori come quello socio-assistenziale.

La decisione impone ai giudici di merito una valutazione caso per caso. Essi dovranno verificare se le indennità previste dai contratti collettivi per la reperibilità notturna in sede siano conformi ai principi di proporzionalità e sufficienza. In caso negativo, dovranno determinare una retribuzione più adeguata, tutelando così il diritto costituzionale del lavoratore a un giusto compenso. Per le aziende, ciò significa la necessità di riesaminare le proprie politiche retributive per i turni di reperibilità, assicurandosi che i compensi siano equi e non meramente simbolici, al fine di evitare futuri contenziosi contributivi e legali.

La reperibilità con obbligo di permanenza in azienda è considerata orario di lavoro?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, basandosi sulla normativa europea, il tempo in cui il lavoratore è tenuto a essere fisicamente presente sul luogo di lavoro a disposizione del datore, anche senza svolgere attività effettiva, deve essere considerato a tutti gli effetti “orario di lavoro” e non “periodo di riposo”.

Questo tipo di reperibilità deve essere sempre pagato come lavoro straordinario?
No, non automaticamente. La Corte chiarisce che la qualificazione come “orario di lavoro” non implica di per sé il diritto alla retribuzione prevista per il lavoro straordinario. La retribuzione deve però rispettare i principi di proporzionalità e sufficienza sanciti dall’art. 36 della Costituzione.

Cosa succede se il Contratto Collettivo (CCNL) prevede un’indennità molto bassa per questa reperibilità?
Il giudice ha il potere di valutare se l’indennità prevista dal CCNL sia adeguata e proporzionata. Se la ritiene non conforme ai principi costituzionali (ad esempio, perché troppo bassa o simbolica), può disapplicare la clausola contrattuale e determinare un compenso più equo, anche ricorrendo a poteri integrativi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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