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Reperibilità notturna: è orario di lavoro retribuito?

La Corte di Cassazione ha stabilito che la reperibilità notturna con obbligo di permanenza presso la struttura lavorativa deve essere considerata integralmente orario di lavoro. Un educatore di una cooperativa sociale si era visto negare in appello la retribuzione per lavoro straordinario per i turni notturni. La Cassazione, in linea con la giurisprudenza europea, ha cassato la sentenza, affermando che tale periodo non è riposo e deve essere compensato con una retribuzione proporzionata e sufficiente, come previsto dall’art. 36 della Costituzione.

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Pubblicato il 8 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Reperibilità Notturna: Quando è Orario di Lavoro e Come Va Pagata?

La gestione della reperibilità notturna è una questione spinosa che tocca molti settori, specialmente quello socio-sanitario. Un recente intervento della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale: il tempo trascorso in reperibilità con obbligo di permanenza sul luogo di lavoro è, a tutti gli effetti, orario di lavoro e deve essere adeguatamente retribuito. Analizziamo questa importante ordinanza.

I Fatti di Causa

Un educatore impiegato presso una cooperativa sociale svolgeva servizi di reperibilità notturna, una notte a settimana, subito dopo il suo normale turno di lavoro. Ritenendo che tale servizio dovesse essere compensato come lavoro straordinario, si è rivolto al Tribunale, che gli ha dato ragione, condannando la cooperativa al pagamento di oltre 25.000 euro.

Tuttavia, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione. Secondo i giudici di secondo grado, il caso rientrava nella specifica disciplina del Contratto Collettivo Nazionale (CCNL) delle Cooperative Sociali, che prevede per la “reperibilità con pernottamento” un’indennità fissa, escludendo tali ore dal computo dell’orario di lavoro ordinario o straordinario.
Il lavoratore ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che tale interpretazione violasse la normativa europea sull’orario di lavoro.

La Reperibilità Notturna e la Giurisprudenza Europea

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione sui principi consolidati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE). La normativa europea (Direttiva 2003/88/CE) opera una distinzione netta e binaria: il tempo di un lavoratore si divide esclusivamente in “orario di lavoro” e “periodo di riposo”. Non esistono vie di mezzo.

Secondo la CGUE, un periodo durante il quale il lavoratore è obbligato a essere fisicamente presente in un luogo indicato dal datore di lavoro, a sua completa disposizione per intervenire immediatamente in caso di necessità, costituisce integralmente “orario di lavoro”. Ciò avviene perché tale vincolo comprime in modo significativo la facoltà del lavoratore di gestire liberamente il proprio tempo e dedicarsi ai propri interessi personali e sociali.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla Reperibilità Notturna

Accogliendo il ricorso del lavoratore, la Suprema Corte ha stabilito che l’obbligo di pernottamento presso la struttura lavorativa, anche se non si verificano interventi effettivi, qualifica l’intero turno come orario di lavoro. Di conseguenza, la Corte d’Appello ha sbagliato a inquadrare la fattispecie semplicemente applicando l’articolo del CCNL che prevede un’indennità fissa.

Le Motivazioni

La Cassazione ha chiarito due punti fondamentali nelle sue motivazioni.

In primo luogo, la definizione di “orario di lavoro” discende direttamente dalla normativa europea e non può essere derogata da contratti collettivi nazionali. L’obbligo di rimanere sul posto di lavoro è il fattore decisivo che trasforma la reperibilità in prestazione lavorativa, a prescindere dall’impegno effettivo richiesto.

In secondo luogo, sebbene la classificazione come “orario di lavoro” sia indiscutibile, le modalità di retribuzione rientrano nell’ambito della legislazione nazionale e della contrattazione collettiva. Tuttavia, ciò non significa che qualsiasi compenso sia legittimo. La retribuzione, anche se forfettaria, deve essere conforme al principio costituzionale di proporzionalità e sufficienza sancito dall’art. 36 della Costituzione. Il giudice ha il dovere di verificare che l’indennità prevista dal CCNL non sia meramente simbolica, ma costituisca un compenso adeguato per il sacrificio richiesto al lavoratore.

Le Conclusioni

L’ordinanza ha un impatto significativo. Afferma che il tempo di reperibilità notturna passato sul luogo di lavoro non è tempo libero, ma tempo di lavoro che merita una giusta retribuzione. I datori di lavoro non possono più fare affidamento su indennità fisse di modesta entità previste da alcuni contratti collettivi senza che queste siano soggette a un vaglio di adeguatezza e proporzionalità. La Corte ha quindi cassato la sentenza d’appello e rinviato la causa a un nuovo esame, che dovrà tener conto di questi principi per determinare il corretto compenso spettante al lavoratore.

Il tempo di reperibilità notturna trascorso sul luogo di lavoro va considerato orario di lavoro?
Sì. La Corte di Cassazione, in linea con la normativa e la giurisprudenza dell’Unione Europea, stabilisce che l’obbligo per il lavoratore di permanere in un luogo designato dal datore di lavoro qualifica l’intero periodo come “orario di lavoro”, poiché la sua libertà di gestire il proprio tempo è significativamente limitata.

La reperibilità notturna deve essere pagata come straordinario?
Non necessariamente. La Corte chiarisce che la classificazione come “orario di lavoro” non implica automaticamente che la retribuzione debba essere quella del lavoro straordinario. Le modalità di pagamento sono definite dalla legge nazionale o dai contratti collettivi, ma il compenso deve essere sempre adeguato e proporzionato.

L’indennità fissa prevista dal Contratto Collettivo per la reperibilità è sempre legittima?
No. Secondo la Corte, anche se un contratto collettivo prevede un’indennità fissa, il giudice deve verificare che tale compenso sia conforme ai principi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione stabiliti dall’art. 36 della Costituzione. Se l’indennità è inadeguata, può essere disapplicata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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