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Reperibilità notturna: è orario di lavoro? La Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 10653/2025, ha stabilito un principio fondamentale in materia di reperibilità notturna. Il tempo trascorso da un lavoratore in regime di reperibilità con obbligo di pernottamento presso la struttura del datore di lavoro deve essere considerato integralmente come ‘orario di lavoro’, in linea con la normativa europea. Di conseguenza, la retribuzione per tale servizio non può consistere in una minima indennità forfettaria, ma deve essere proporzionata e sufficiente, come sancito dall’art. 36 della Costituzione. La Corte ha cassato la sentenza d’appello che aveva negato tale diritto a un educatore di una cooperativa sociale, rinviando il caso per una nuova valutazione basata su questi principi.

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Pubblicato il 8 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Reperibilità Notturna in Struttura: è Lavoro e Va Pagato il Giusto

Con una recente e importante ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato il tema della reperibilità notturna con obbligo di permanenza sul luogo di lavoro, stabilendo principi chiari sulla sua qualificazione come orario di lavoro e sulla conseguente retribuzione. La decisione scaturisce dal caso di un educatore di una cooperativa sociale, il cui diritto a un compenso adeguato per i turni notturni era stato negato in appello. Vediamo nel dettaglio la vicenda e le conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti del Caso: Dalla Condanna alla Riforma in Appello

Un educatore impiegato presso una cooperativa sociale svolgeva, oltre al suo normale turno, servizi di reperibilità notturna per 3 notti a settimana, con obbligo di pernottare presso la struttura. Il Tribunale di primo grado aveva riconosciuto il suo diritto a un compenso per lavoro straordinario e notturno, condannando la cooperativa al pagamento di oltre 42.000 euro.

Tuttavia, la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione. Secondo i giudici di secondo grado, tale servizio non configurava lavoro straordinario, ma rientrava nella specifica disciplina della ‘reperibilità con pernottamento’ prevista dal CCNL Cooperative Sociali (art. 57), che prevedeva unicamente una modesta indennità fissa mensile (circa 77 euro). Il lavoratore ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

La Questione Giuridica: Cos’è l’Orario di Lavoro?

Il cuore della controversia ruotava attorno alla definizione di ‘orario di lavoro’. Il lavoratore sosteneva che il tempo trascorso in struttura, anche se senza interventi attivi, limitava significativamente la sua libertà e doveva essere considerato lavoro a tutti gli effetti. La cooperativa, d’altro canto, si basava sulla distinzione operata dal contratto collettivo tra lavoro effettivo e mera disponibilità.

L’Intervento della Cassazione e la nozione di reperibilità notturna

La Corte di Cassazione ha accolto le ragioni del lavoratore, fondando la sua decisione sull’interpretazione della normativa europea (Direttiva 2003/88/CE) fornita dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. La giurisprudenza europea è consolidata nell’affermare una netta dicotomia: il tempo del lavoratore è o ‘orario di lavoro’ o ‘periodo di riposo’, senza vie di mezzo.

Un periodo di reperibilità notturna durante il quale il lavoratore ha l’obbligo di rimanere fisicamente in un luogo indicato dal datore di lavoro, lontano dal proprio ambiente familiare e sociale, rientra integralmente nella nozione di ‘orario di lavoro’. La ragione è che la sua facoltà di gestire liberamente il proprio tempo è compressa in modo significativo. Questo vale a prescindere dal fatto che durante tale periodo vengano effettuate o meno prestazioni lavorative concrete.

Il Principio di Diritto: Reperibilità Notturna e Retribuzione Adeguata

Se da un lato la normativa europea definisce cosa è orario di lavoro (per tutelare la salute e la sicurezza), non stabilisce come debba essere retribuito. Questo aspetto è demandato al diritto nazionale e alla contrattazione collettiva.

Qui interviene il principio costituzionale italiano. La Cassazione ha chiarito che, una volta qualificato il servizio come orario di lavoro, la relativa retribuzione deve rispettare i criteri di proporzionalità e sufficienza dettati dall’art. 36 della Costituzione. Una clausola del CCNL che prevede un’indennità meramente simbolica e non commisurata al sacrificio richiesto può essere disapplicata dal giudice se ritenuta non conforme a tale principio. La Corte d’Appello aveva errato nel non effettuare questa valutazione di adeguatezza.

Le Motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si fonda su un doppio binario. In primo luogo, l’allineamento inderogabile alla nozione europea di ‘orario di lavoro’, che considera tale ogni periodo in cui il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro e non può disporre liberamente del proprio tempo. L’obbligo di pernottare in struttura rientra palesemente in questa casistica. In secondo luogo, pur riconoscendo che la modalità di retribuzione è materia di diritto interno, la Corte ha ribadito che tale retribuzione non può essere irrisoria. Deve esistere una proporzione tra la qualità e la quantità del lavoro prestato – inteso anche come tempo di disponibilità forzata – e la retribuzione corrisposta. La Corte d’Appello dovrà quindi riesaminare il caso, non potendo limitarsi ad applicare la clausola del CCNL, ma dovendo valutare se il compenso previsto sia equo e dignitoso ai sensi della Costituzione.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ha importanti implicazioni pratiche per tutti i settori (sanitario, socio-assistenziale, ecc.) in cui è diffusa la reperibilità con obbligo di permanenza. I datori di lavoro non possono più considerare tali periodi come un ‘non-lavoro’ da compensare con mere indennità simboliche. I lavoratori, d’altro canto, vedono rafforzato il loro diritto a una giusta retribuzione per un sacrificio che limita la loro vita personale. La sentenza impone una riconsiderazione delle clausole dei contratti collettivi che prevedono compensi forfettari minimi per la reperibilità in sede, spingendo verso soluzioni retributive più eque e conformi ai principi costituzionali ed europei.

La reperibilità notturna, con obbligo di permanenza sul luogo di lavoro, va considerata orario di lavoro?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, in linea con la giurisprudenza europea, l’obbligo per il lavoratore di pernottare presso il luogo di lavoro, essendo a disposizione del datore, qualifica l’intero periodo come ‘orario di lavoro’, a prescindere dagli interventi effettivamente svolti.

Un Contratto Collettivo può prevedere una retribuzione forfettaria minima per la reperibilità notturna in struttura?
Sì, ma tale retribuzione deve essere conforme ai criteri di proporzionalità e sufficienza dettati dall’art. 36 della Costituzione. Se il compenso previsto è irrisorio o simbolico rispetto al sacrificio richiesto, il giudice può disapplicare la clausola del CCNL e stabilire una retribuzione adeguata.

La direttiva europea sull’orario di lavoro stabilisce come deve essere pagata la reperibilità?
No. La direttiva europea si limita a definire cosa costituisce ‘orario di lavoro’ al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori (es. durata massima, riposi). Le modalità di retribuzione di tale orario di lavoro rientrano invece nella competenza del diritto nazionale, dei contratti collettivi o delle decisioni del datore di lavoro, sempre nel rispetto dei principi fondamentali come quello di una retribuzione equa e proporzionata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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