Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13236 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 13236 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1681/2018 R.G. proposto da:
COMUNE RAGIONE_SOCIALE TARANTO, in persona del Sindaco p.t. elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME e rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO LECCE SEZ. DIST. DI TARANTO n. 257/2017 depositata il 05/07/2017, RG n.732/2012. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME, istruttore amministrativo categoria C, posizione economica C4, ha agito in giudizio dinanzi al Tribunale di Taranto nei confronti del Comune di Taranto, suo datore di lavoro, per ottenere, a far data dal gennaio 2009, il ripristino della rendita vitalizia concessa ai sensi dell’art. 11 del d.P.R. n. 191 del 1979, che gli era stata revocata dal suddetto Comune.
La rendita gli era stata riconosciuta con determinazione dirigenziale n. 334 del 29 giugno 1999, con decorrenza dal 26 gennaio 1999, e corrisposta sino a dicembre 2008.
L’Amministrazione comunale a decorrere dal mese di gennaio 2009 non aveva più corrisposto la rendita in ragione di quanto previsto dall’art. 70 del d.l. n. 112 del 2008.
La domanda del lavoratore, a cui si opponeva il Comune chiedendone il rigetto, è stata rigettata dal Tribunale di Taranto.
La Corte d’Appello di Lecce, accogliendo l’appello del lavoratore, ha affermato che l’art. 70 cit. opera solo per il futuro , lasciando inalterate le posizioni regolative della previgente disciplina.
Assimilava tale disposizione all’art. 6 del d.l. n. 201 del 2011 , che aveva abrogato altre provvidenze, facendo salvi i procedimenti in corso.
Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il Comune di Taranto, prospettando sei motivi di ricorso.
Resiste il lavoratore con controricorso assistito da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli art. 6, comma 17, del d.l. n. 946 del 1977, conv. nella legge n. 43 del 1978, dell’art. 11 del d.P.R. n. 191 del 1979; dell’art. 6 del d.l. n. 210 del 2011, conv. dalla l egge n. 214 del 2011, dell’art. 113, cod. proc. civ.
Il ricorrente ha prospettato la mancanza di pertinenza con la fattispecie in esame dell’art. 6 del d.l. n. 210 del 2011.
Ha dedotto, quindi, nell’illustrare le disposizioni sopra richiamate, che il legislatore, con il d.P.R. n. 191 del 1979 – che nell’allora quadro normativo era finalizzato solo a recepire l’accordo collettivo nazionale del 23 dicembre 1978 – nel prevedere l ‘istituto della rendita in questione, avrebbe violato la delega contenuta nella legge n. 93 del 1983, in particolare art. 3, che non aveva ad oggetto indennità previdenziali e assistenziali, ma il trattamento giuridico ed economico dei lavoratori.
Illegittimamente, quindi, violando anche l’art. 113, cod. proc. civ., la rendita in questione era stata ritenuta ancora dovuta dalla Corte d’Appello.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 11, comma 1, del d.P.R. n. 191 del 1979, dell’art. 38 e dell’art. 117 Cost., dell’art. 113, cod. proc. civ.
Il Comune ricorrente ha illustrato che con l’accordo sindacale recepito dal d.P.R. n. 191 del 1979 sarebbe stata introdotta una nuova indennità previdenziale, in violazione della competenza legislativa statale di cui all’art.117, Cost., in tutte le formul azioni succedutesi nel tempo. Anche l’art. 38 Cost. ha previsto una riserva in favore dello Stato per qualsivoglia previdenza economica.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli art. 11 del d.P.R. n. 191 del 1979, del d.P.R. n. 810 del 1980, dell’art. 19 del d.P.R. n. 347 del 1983, degli artt. 1, 2,
3, 4, 6, 29 e 31, della legge n. 93 del 1983, dell’art. 113, cod. proc. civ.
Ha rilevato il ricorrente, in subordine, che la rendita vitalizia doveva ritenersi abrogata per effetto delle disposizioni successive.
I d.P.R. di attuazione degli accordi sindacali, intervenuti tra le parti sociali successivamente all’art. 11 cit ., ossia il d.P.R. n. 810 del 1980 e il d.P.R. n. 347 del 1983, non avevano apprestato tutele similari.
Pertanto, la rendita di cui si discute non è più erogabile perché è stata abrogata già a partire dal 1980, mentre erroneamente la Corte d’Appello ha ritenuto vigente l’art. 11 e legittimamente erogabile la rendita dall’inizio.
Inoltre, la legge quadro sul pubblico impiego, n. 93 del 1983, all’art. 2, comma 1, n. 6, ha riservato alla legge le garanzie del personale in ordine all’esercizio delle libertà dei diritti fondamentali, in cui rientrano le forme di assistenza e previdenza, ai sensi dell’art. 38, Cost.
Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione degli art. 11 del d.P.R. n. 191 del 1979, dell’art. 66 del d.P.R. n. 268 del 1987, degli artt. 1, 2, 3, 4, 6, 29 e 31 della legge n. 93 del 1983, degli artt. 3 e 97 Cost., dell’art. 113, cod. proc. civ.
Il ricorrente ha esposto, in ulteriore subordine che la legge n. 93 del 1983 ha stabilito la permanenza in vigore delle norme legislative o regolamentari relative a materie disciplinate sulla base degli accordi sindacali fino all’emanazione della nuova di sciplina, fissando al contempo la scadenza di tutti gli accordi sindacali già in essere al 31 dicembre 1984.
A partire dal 1° gennaio 1985, dunque, tutti gli accordi sindacali stipulati prima dell’entrata in vigore della legge quadro, anche laddove non incompatibili con la stessa, comunque dovevano ritenersi abrogati.
Il successivo d.P.R. n. 268 del 1987 di recepimento dell’accordo sindacale del triennio economico e giuridico 1985 -1987, all’art. 66 aveva abrogato espressamente le rendite vitalizie in favore del personale non iscritto all’RAGIONE_SOCIALE.
Pertanto, il ricorso del lavoratore si era fondato su una norma abrogata.
Erroneamente l’abrogazione dell’art. 66 cit. era stata ritenuta dalla Corte d’Appello limitata ai soli operai, e non pertinente appariva il richiamo all’art. 50 del CCNL del 14 settembre 2000.
Con il quinto motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 70 del d.l n. 112 del 2008.
Il Comune ha dedotto che la norma ha la finalità di far cessare l’erogazione di qualsiasi trattamento economico aggiuntivo rispetto all’equo indennizzo, a decorrere dal 1° gennaio 2009.
Tale abrogazione ha riguardato non solo le fattispecie concretizzatesi successivamente all’entrata in vigore della norma, ma anche quelle preesistenti, in considerazione del fatto che la norma si riferisce all’ipotesi in cui sia già stata riconosciuta un’infermità dipendente da causa di servizio.
Il lavoratore aveva ricevuto anche l’equo indennizzo di talchè l’intervenuta revoca della rendita non aveva violato i diritti di controparte.
Con il sesto motivo di ricorso il ricorrente ha prospettato questione di legittimità costituzionale dell’art. 11 , cit., per contrasto con l’art. 38 Cost., e dell’art. 66, comma 1, del d.P.R. n. 268 del 1987, per contrasto con gli artt. 3 e 97, Cost.
Occorre rilevare che i motivi di ricorso solo apparentemente sono tra loro subordinati, in quanto le censure proposte si intersecano e si richiamano con pari rilievo.
Nell’esaminare gli stessi, ha priorità logico -giuridica la trattazione del quinto motivo di ricorso.
Il quinto motivo di ricorso è fondato e va accolto.
9. La provvidenza in questione è stata prevista dal d.P.R. 1° giugno 1979, n. 191, che reca ‘Disciplina del rapporto di lavoro del personale degli enti locali’, e che è stato adottato nel regime giuridico antecedente alla legge 29 marzo 1983, n. 93, c.d. legge quadro sul pubblico impiego, che ha stabilito la devoluzione alla contrattazione collettiva di diritto comune, selezionata sulla base del criterio della maggiore rappresentatività, della regolamentazione di alcune materie inerenti al rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti.
Il d.P.R. n. 191 del 1979 ha recepito l’accordo nazionale stipulato ai sensi e per gli effetti dell’art. 6, comma 17, del d.l. n. 946 del 1977, che ha previsto: ‘ Il trattamento giuridico ed economico del personale dei comuni, delle province e dei loro consorzi viene determinato in conformità ai principi, ai criteri ed ai livelli retributivi, risultanti da accordi nazionali a scadenza triennale’.
L’art. 11 del d.P.R. n. 191 del 1979, la cui rubrica reca: ‘ Lesioni ed infermità dipendenti da causa di servizio non tutelate da copertura RAGIONE_SOCIALE ‘, al comma 1, ha stabilito:
‘Nel caso che all’infortunio o dalla malattia contratta per causa di servizio residui una invalidità permanente parziale o totale, l’ente liquiderà al dipendente una rendita vitalizia nella misura e con le modalità stabilite dalla legislazione relativa all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali’.
Al comma 3 ha poi sancito: ‘ Ai lavoratori interessati si applica la disciplina dell’equo indennizzo di cui all’art. 68 del testo unico 10 gennaio 1957, n. 3, e del relativo regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686, e successive modificazioni ed integrazioni’.
Come la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di affermare, a norma dell’art. 11 del d.P.R. 1° giugno 1979, n. 191,
dunque, la tutela antinfortunistica, in caso di infortunio o malattia contratta per causa di servizio e con postumi invalidanti di natura permanente, parziali o totali, in ragione della perdita di capacità lavorativa, era posta a carico dell’ente locale (C omune o Provincia) in favore del proprio dipendente nella sola ipotesi in cui lo stesso non risultasse già tutelato da copertura assicurativa dell’RAGIONE_SOCIALE (Cass. n. 6060 del 1999, n. 10340 del 2012, n. 38 del 2018), e dunque laddove gli enti di appartenenza non avessero ottemperato all’obbligo dell’assicurazione all’RAGIONE_SOCIALE, in considerazione dei rischi connessi alle mansioni svolte.
La giurisprudenza di legittimità ha poi ritenuto la compatibilità tra la rendita vitalizia e l’equo indennizzo (citata Cass., n. 38 del 2018).
10. Dunque, in ragione del suddetto quadro normativo, va osservato che l’art. 11 del d.P.R. n. 191 del 1979, ha stabilito, in linea con l’art. 6, comma 17, del d.l. n. 946 del 1977, un incremento economico a carico del datore di lavoro, sul trattamento retributivo dell’interessato, con una finalità di tutela previdenziale.
Il d.P.R. n. 191 del 1979 è stato abrogato espressamente dall’art. 62, comma 1, e dalla tabella A allegata al d.l. n. 5 del 2012, conv. con mod., dalla legge n. 35 del 2012.
Ratione temporis , viene dunque in rilievo l’art. 70 del d.l. n. 112 del 2008, conv., con mod. dalla legge n. 133 del 2008, che è la disposizione in ragione della quale il Comune di Taranto, a partire dal mese di gennaio 2009, ha smesso di erogare la rendita in questione al lavoratore.
Tale norma prevede: ‘ A decorrere dal 1° gennaio 2009 nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche ai quali sia stata riconosciuta un’infermità dipendente da causa di servizio ed ascritta ad una delle categorie della tabella A annessa al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978,
n. 915 , e successive modificazioni, fermo restando il diritto all’equo indennizzo è esclusa l’attribuzione di qualsiasi trattamento economico aggiuntivo previsto da norme di legge o pattizie’ .
L’art. 70 cit., dunque, ha stabilito la cessazione dell’erogazione dei trattamenti economici aggiuntivi concessi per infermità derivante da causa di servizio ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, a partire dal 1° gennaio 2009.
Tanto è successo nella fattispecie in esame, atteso che, come esposto nel ricorso introduttivo del giudizio dinanzi al Tribunale, la rendita in questione veniva regolarmente corrisposta con gli aggiornamenti di legge a decorrere dal 26 gennaio 1996 e sino alla mensilità di dicembre 2008 ( quanto alle modalità di corresponsione non risulta, dunque, che si sia trattato della erogazione di una somma stabilita una tantum e solo frazionata nel tempo ma della determinazione di importi annuali da corrispondere con pagamenti mensili, con la previsione di una rivalutazione monetaria e di un ulteriore incremento dell’importo annuale); dal mese di gennaio 2009 l’Amministrazione comunale ha cessato di corrisponderla.
Il lavoratore, quindi, con il ricorso introduttivo del giudizio, ha chiesto la condanna del Comune a corrispondere le somme spettanti a titolo di rendita vitalizia non pagate dal mese di gennaio 2009.
12. Questa Corte, in tema di rapporti di durata e di successione di leggi, ha già avuto modo di precisare che il principio della irretroattività della legge – che costituisce un principio generale del nostro ordinamento ancorché non trovi tutela costituzionale, al di fuori della materia penale – comporta che la legge nuova non possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauriti prima della sua entrata in vigore, a quelli sorti anteriormente ed ancora in vita, se in tal modo si disconoscano gli effetti già verificatisi del fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali e future dello stesso; lo stesso principio
comporta, invece, che la legge nuova possa essere applicata ai fatti, agli status ed alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendosi totalmente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che, attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore (Cass., n. 2433 del 2000, 16620 del 2013 n. 1639 del 2016, 34482 del 2023).
Il principio d’irretroattività di cui all’art. 1, disp. prel. cod. civ., dunque, impedisce che una norma possa trovare applicazione a rapporti esauriti prima della sua entrata in vigore o a rapporti ancora in essere allorché incida sull’efficacia originar ia del fatto che li ha generati, ma non impedisce che trovi applicazione, oltre che alle situazioni e ai rapporti sopravvenuti, a situazioni e rapporti già in essere al momento della sua entrata in vigore, purché suscettibili di considerazione e disciplina autonoma prescindendo dal loro fatto generatore.
13. In particolare, con riguardo alle prestazioni previdenziali, si è osservato che viene in rilievo un tipico rapporto di durata che ha origine nel momento in cui vengono ad esistenza le condizioni previste dalla legge per la sua insorgenza e che si protrae nel tempo, fino a quando si verifichino altre condizioni di fatto fissate dal legislatore per la sua estinzione.
Nel caso in cui nel corso del rapporto si verifichi una successione di leggi, secondo i principi sopra richiamati, la nuova legge, mentre non può incidere negativamente sul fatto generatore del diritto alla prestazione previdenziale, le cui condizioni di esistenza restano definitivamente regolate dalla legge abrogata, può legittimamente disciplinare gli effetti giuridici che derivano dal
predetto fatto generatore, in quanto danno luogo a situazioni che si protraggono nel tempo successivo alla sua entrata in vigore.
In altri termini la nuova legge, se non può escludere il diritto alla prestazione previdenziale già sorto sotto il vigore della legge abrogata, ben può regolare diversamente, a partire dalla data della sua entrata in vigore, le modalità di erogazione della prestazione, costituendo l’erogazione un effetto protratto nel tempo del fatto generatore del diritto (Cass., n.14073 del 2002, n. 2433 del 2000).
Tali principi trovano applicazione nella fattispecie in esame in cui si controverte di una prestazione con finalità previdenziale corrisposta dal datore di lavoro nel tempo.
L’art. 70 cit. non ha inciso sul fatto generatore della prestazione, ma ne ha disciplinato gli effetti giuridici successivamente alla propria entrata in vigore.
Il richiamo effettuato dalla sentenza di appello al d.l. 201 del 2011, art. 6, conferma che ‘ ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit ‘, e in ragione della specialità della deroga prevista dalla citata disposizione non può farsi ricorso alla analogia.
Non conferente risulta il richiamo all’art. 50 del CCNL Enti locali 14 settembre 2000, che regola un diverso istituto contrattuale, consistente in un incremento percentuale del trattamento tabellare, corrisposto a titolo di salario individuale di anzianità.
Erroneamente, quindi, la Corte d’Appello ha ritenuto illegittima la mancata corresponsione della rendita da parte del Comune di Taranto al lavoratore a partire dal 1° gennaio 2009.
In ragione dell’accoglimento del quinto motivo di ricorso, gli ulteriori motivi di ricorso sono assorbiti.
Va osservato, in proposito, che le censure del ricorrente che prospettano la mancanza del diritto alla rendita ab origine (che occorre ricordare è stata erogata dal 26 gennaio 1996 al dicembre 2008), prospettando anche questione di legittimità costituzionale,
in mancanza della deduzione da parte del medesimo Comune di Taranto di aver svolto tempestiva domanda riconvenzionale in merito, che peraltro dalla sentenza di appello non risulta essere stata proposta, si sostanziano in meri argomenti ad adiuvandum della doglianza prospettata con il quinto motivo di ricorso che è accolto.
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, assorbiti i restanti motivi.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, rigetta la domanda di cui al ricorso introduttivo del giudizio proposta da NOME COGNOME.
Attesi gli alterni esiti compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.
Non sussistono le condizioni per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, assorbiti gli altri motivi di ricorso. Cassa la sentenza impugnata in relazione al quinto motivo accolto e decidendo nel merito rigetta la domanda di cui al ricorso introduttivo del giudizio. Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 marzo