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Reiterazione contratti a termine: la decadenza

Un lavoratore ha citato in giudizio un’amministrazione pubblica per l’abusiva reiterazione di contratti a termine per oltre vent’anni. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, chiarendo un principio fondamentale: in caso di reiterazione di contratti a termine, il termine di decadenza per l’impugnazione decorre dalla cessazione dell’ultimo contratto. Tuttavia, nel caso specifico, il lavoratore non aveva rispettato nemmeno questo termine, portando all’inammissibilità della sua domanda.

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Pubblicato il 28 agosto 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Reiterazione di Contratti a Termine: Quando Scade il Termine per l’Impugnazione?

Nel diritto del lavoro, il rispetto dei termini è cruciale per la tutela dei propri diritti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema di grande rilevanza pratica: la reiterazione di contratti a termine e il momento esatto in cui scatta il termine di decadenza per contestarne la legittimità. La decisione chiarisce che per contestare l’abuso derivante da una sequenza di contratti, è sufficiente impugnare tempestivamente l’ultimo rapporto di lavoro.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un lavoratore che per oltre vent’anni, dal 1988 al 2014, ha prestato servizio per un’amministrazione pubblica regionale attraverso una successione di contratti a tempo determinato. Ritenendo tale prassi abusiva e in violazione del limite massimo di durata di 36 mesi, il lavoratore ha adito il Tribunale per ottenere il risarcimento del danno.

Inizialmente, il Tribunale gli aveva dato parzialmente ragione, riconoscendo l’illegittimità dei contratti. Tuttavia, la Corte d’Appello ha ribaltato completamente la decisione, respingendo la domanda. Secondo i giudici di secondo grado, il lavoratore era incorso in decadenza, poiché non aveva impugnato i singoli contratti entro i brevi termini previsti dalla legge.

La questione della decadenza nella reiterazione di contratti a termine

Il lavoratore ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che il termine di decadenza non dovesse applicarsi alla sua specifica doglianza, ovvero il superamento del tetto massimo dei 36 mesi, che a suo avviso era soggetto solo alla prescrizione ordinaria. La Corte Suprema, pur rigettando il ricorso, ha colto l’occasione per fare chiarezza su un punto di diritto fondamentale.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha stabilito che il termine di decadenza previsto dall’art. 32 della legge n. 183/2010 si applica a tutte le ipotesi di nullità del termine apposto al contratto, inclusa quella derivante dalla reiterazione di contratti a termine che porta al superamento del limite legale di durata complessiva.

Il principio più importante enunciato dalla Corte è il seguente: quando si contesta l’abuso derivante da una sequenza di contratti, il termine di decadenza per l’impugnazione non decorre dalla fine di ogni singolo contratto, ma dalla cessazione dell’ultimo rapporto di lavoro intercorso tra le parti. Questo perché la sequenza contrattuale che precede l’ultimo rapporto non è altro che un “dato fattuale” che concorre a dimostrare l’uso abusivo dei contratti a termine. L’interesse ad agire del lavoratore si concretizza e diventa attuale proprio con l’impugnazione dell’ultimo contratto, che funge da catalizzatore per la valutazione dell’intera storia lavorativa.

Nonostante questa importante precisazione, la Cassazione ha comunque rigettato il ricorso. La Corte d’Appello, infatti, aveva accertato in fatto che il lavoratore non aveva impugnato tempestivamente nemmeno l’ultimo contratto, cessato il 31 dicembre 2014. Poiché questo accertamento di fatto non è stato specificamente contestato dal ricorrente, la decisione di inammissibilità della domanda è rimasta valida.

Inoltre, la Corte ha dichiarato inammissibile anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla presunta eccessività delle spese legali, poiché il ricorrente si era limitato a una generica lamentela senza specificare quali voci tariffarie sarebbero state violate.

Le Conclusioni

L’ordinanza offre una lezione fondamentale per i lavoratori con contratti a termine successivi: la tutela contro l’abuso esiste, ma è legata a scadenze precise. Per contestare l’illegittima reiterazione di contratti a termine, non è necessario impugnare ogni singolo rapporto, ma è indispensabile e sufficiente agire legalmente entro il termine di decadenza (generalmente 60 o 120 giorni, a seconda dei casi) dalla conclusione dell’ultimo contratto. Perdere questa finestra temporale significa, come dimostra il caso in esame, rischiare di perdere il diritto al risarcimento, anche a fronte di un comportamento palesemente illegittimo da parte del datore di lavoro.

In caso di successione di più contratti a termine, devo impugnare ogni singolo contratto?
No. Secondo la Corte di Cassazione, per contestare l’abuso derivante dalla reiterazione dei contratti, è sufficiente e necessario impugnare tempestivamente l’ultimo contratto della serie, poiché è la sua impugnazione che permette di valutare l’intera sequenza come dato fattuale.

Il termine di decadenza si applica anche se denuncio il superamento del limite massimo di 36 mesi di lavoro?
Sì. La Corte ha chiarito che il termine di decadenza previsto dalla legge si applica a tutte le ipotesi di nullità del contratto a termine, inclusa quella che deriva dal superamento del limite massimo di durata complessiva di 36 mesi a seguito di più contratti.

Cosa succede se, pur avendo ragione nel merito, impugno l’ultimo contratto a termine dopo la scadenza del termine di decadenza?
La domanda giudiziale viene dichiarata inammissibile. Come nel caso di specie, il mancato rispetto del termine di decadenza per l’impugnazione dell’ultimo contratto preclude al giudice la possibilità di esaminare nel merito la fondatezza della richiesta di risarcimento per l’abusiva reiterazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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