Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13114 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13114 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 36989-2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
R.G.N.36989/2019
COGNOME
Rep.
Ud.25/02/2025
CC
avverso la sentenza n. 588/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 10/06/2019 R.G.N. 484/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
Della Ducata Antonio impugna la sentenza n. 588/2019 della Corte d’appello di Lecce che ha confermato la pronuncia del Tribunale della medesima sede che aveva rigettato il ricorso avanzato contro INPS volto ad ottenere la regolarizzazione della posizione contributiva conseguente al riconoscimento giudiziale della nullità del termine apposto ad una serie di contratti e dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, giudizio in cui il Tribunale aveva condannato gli ex datori di lavoro anche a regolarizzare la posizione contributiva.
Resiste INPS con controricorso.
Chiamata la causa all’adunanza camerale del 25 febbraio 2025, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, cod. proc. civ.).
CONSIDERATO CHE
Occorre premettere che a pag. 4 del ricorso sono elencati tre motivi, che nella trattazione sono, poi, due, in quanto le censure indicate come seconda e terza vengono affrontate insieme.
I)violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. dell’art. 2116 cod. civ. in relazione all’art. 2114 cod. civ.
II) violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. dell’art. 2116 cod. civ. in rapporto all’art. 27, commi 2 e 3, del RDL n. 636/1939 come novellato dall’art. 23 ter del D.L. n. 267/1972
III) violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. dell’art. 2116 cod. civ. in relazione al RDL n. 636/1939, art. 27 commi 2 e 3 come novellato dall’art. 23 ter del D.L. n. 267/1972
Il Della Ducata -premesso che con sentenza del Tribunale di Lecce era stata accertata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo parziale ed indeterminato dal 13 giugno 2003 con il Consorzio RAGIONE_SOCIALE con condanna al ripristino del rapporto ed al pagamento della contribuzione (rispristino e pagamento mai avvenuti) -aveva chiesto accertarsi il suo diritto alla contribuzione maturata dalla suddetta data e condannarsi INPS a regolarizzare la posizione contributiva.
Sia il Tribunale che la Corte territoriale hanno respinto.
I motivi qui proposti avverso la pronuncia di appello possono essere esaminati congiuntamente per l’intima connessione che li unisce, in quanto volti a contestare l’interpretazione che la Corte ha dato del primo comma dell’art. 2116 cod. civ.
Le censure sono infondate.
La sentenza ha correttamente evidenziato che il principio di automaticità delle prestazioni di cui all’art. 2116 cod. civ. opera laddove vi sia domanda ‘di riconoscimento del diritto all’insorgenza di una prestazione previdenziale, o anche per la sua misur a ma non opera in presenza di una domanda,
come quella del caso di specie, di regolarizzazione contributiva che spetta al datore di lavoro (fatta salva la maturata prescrizione)’.
Valga al riguardo richiamare l’orientamento ormai consolidato di questa Corte che si trova di recente ben espresso in Cass. n. 701/2024 (v. in seguito anche Cass. n. 603/2025 e n. 455/2025).
Premesso che l’art. 2116 c.c. stabilisce, al primo comma, che ‘le prestazioni indicate nell’articolo 2114 sono dovute al prestatore di lavoro anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e di as sistenza, salvo diverse disposizioni delle leggi speciali’, ed al secondo comma che ‘nei casi in cui, secondo tali disposizioni, le istituzioni di previdenza e di assistenza, per mancata o irregolare contribuzione, non sono tenute a corrispondere in tutto o in parte le prestazioni dovute, l’imprenditore è responsabile del danno che ne deriva al prestatore di lavoro’, «il nostro ordinamento non prevede alcuna azione dell’assicurato volta a condannare l’ente previdenziale alla regolarizzazione della sua posizione contributiva, nemmeno nell’ipotesi in cui l’ente previdenziale, che sia stato messo a conoscenza dell’inadempimento contributivo prima della decorrenza del termine di prescrizione, non si sia tempestivamente attivato per l’adempimento nei confronti d el datore di lavoro obbligato: ciò che residua in tali casi in favore dell’assicurato è unicamente il rimedio risarcitorio nei confronti del datore di lavoro di cui al secondo comma dell’art. 2116 c.c., salva la possibilità del lavoratore di surrogarsi in luogo del datore (e di esser tenuto indenne da quest’ultimo) per la costituzione della rendita vitalizia di cui all’art. 13, l. n. 1338/1962 (cfr., tra le più recenti, Cass. nn. 2164 e 6722 del
2021 nonché Cass. nn. 26002 e 26248 del 2023, tutte sulla scorta di Cass. nn. 6569 del 2010 e 3491 del 2014). Si tratta -come ricordato da Cass. n. 3491 del 2014, cit. -di una conseguenza naturale della scomposizione della fattispecie dell’assicurazione obbligatoria nei due distinti rapporti contributivo e previdenziale: mentre l’obbligazione contributiva ha per soggetto attivo l’ente previdenziale e per soggetto passivo il datore di lavoro, che è debitore di tali contributi nella loro interezza (artt. 2115 comma 2° c.c. e 19, l. n. 218/1952), il lavoratore è unicamente il beneficiario delle prestazioni previdenziali dovutegli dagli enti, restando affatto estraneo al rapporto contributivo e non potendo vantare alcun diritto di natura risarcitoria nei confr onti dell’ente medesimo, nemmeno nell’ipotesi in cui quest’ultimo non si sia tempestivamente attivato nei confronti del datore di lavoro per il loro recupero». La pronuncia prosegue, poi, evidenziando che «tali conclusioni, lungi dal costituire un revirement rispetto a quanto in precedenza sostenuto da questa Corte, costituiscono espressione del suo costante orientamento fin da quando è stata superata l’antica co struzione trilaterale della fattispecie dell’assicurazione obbligatoria: già Cass. nn. 9 del 1971 e 2001 del 1972 (richiamate pressoché in termini, tra le altre, da Cass. n. 6911 del 2000) avevano infatti affermato che la potestà degli enti previdenziali d i procedere all’accertamento degli obblighi contributivi e al recupero dei contributi omessi è strettamente connessa al conseguimento dei propri fini istituzionali di carattere pubblicistico e non già all’interesse del singolo prestatore di lavoro, che non solo non può ritenersi titolare di alcun diritto sui contributi, ma non può vantare alcun diritto di natura risarcitoria nei confronti degli enti per l’omesso recupero dei contributi stessi, potendo solo agire in via risarcitoria nei
confronti del datore di lavoro inadempiente qualora dall’omissione contributiva abbia ricavato un danno».
Reputa il Collegio che a tali conclusioni vada senz’altro data continuità.
Il suddetto precedente (v. anche Cass. 26248/2023 e precedenti ivi citati) ricorda, poi, che «va ribadito che l’indiscutibile interesse del lavoratore all’integrità della posizione contributiva, che la costante giurisprudenza di questa Corte costruisce alla stregua di diritto soggettivo, pur essendo connesso sia geneticamente che funzionalmente al diritto di credito che l’ente previdenziale vanta sui contributi, è nondimeno affatto distinto da quest’ultimo: non solo perché sopravvive all’estinzione per sopr aggiunta prescrizione del diritto dell’ente al versamento dei contributi medesimi, ma soprattutto perché, salva la speciale ipotesi di cui all’art. 3, d.lgs. n. 80/1992 (…), ha come soggetto passivo unicamente il datore di lavoro, nei cui riguardi può esser fatto valere sub specie di diritto al risarcimento del danno (così già Cass. nn. 2392 del 1965, 1304 del 1971, 1374 del 1974, 7104 del 1992 e, più recentemente, 3661 del 2019 e 6311 del 2021). In secondo luogo, va rilevato che l’art. 2116 comma 1° c.c. riferisce testualmente l’automatismo alle ‘prestazioni’, non già alla contribuzione: anzi, la sua funzione consiste precisamente nel togliere ogni rilievo, nell’ambito del rapporto previdenziale, all’inadempimento datoriale verificatosi sul versante del rapporto contributivo, sul presupposto (già evidenziato nella Relazione di accompagnamento al codice civile, n. 52) che, essendo il lavoratore estraneo a quest’ultimo, giammai potrebbe compiere atti idonei ad incidere sulla sua conformazione giuridica. Non a caso un risalente ma affatto consolidato orientamento di questa Corte sostiene che il
lavoratore non ha alcun autonomo e diretto interesse al regolare versamento dei contributi assicurativi che non sia quello di non subire, a causa di omissioni contributive cadute in prescrizione, una lesione del suo diritto alle prestazioni (Cass. n. 3747 del 1974); e, sempre nella stessa ottica, si è efficacemente rilevato che, essendo la tutela di tale interesse affidata all’azione risarcitoria che questi possiede nei confronti del datore di lavoro, non vi è neppure l’esigenza di riconoscere la sussistenz a di un diritto soggettivo degli assicurati a che gli enti previdenziali provvedano al recupero dei contributi evasi: ove si configurasse un obbligo dell’istituto assicuratore di provvedere coattivamente al recupero dei contributi sulla base di una semplice denuncia dell’assicurato, si esporrebbero infatti gli enti previdenziali al rischio di dover sopportare le conseguenze dell’esito negativo di controversie giudiziarie basate essenzialmente sull’accertamento di fatti inerenti ad un rapporto (quello di lavoro) a cui essi sono estranei, frustrando ogni pianificazione delle loro funzioni ispettive di carattere pubblicistico e mettendone a repentaglio lo stesso buon andamento (così, in motivazione, Cass. n. 6911 del 2000)».
Non c’è, quindi, azione del lavoratore per la regolarizzazione della posizione contributiva, laddove non siano allegate le condizioni per ottenere una prestazione previdenziale.
Il ricorso va, pertanto, respinto, con condanna alle spese secondo soccombenza, come liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 4000,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 25 febbraio