Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15688 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 15688 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/06/2025
SENTENZA
sul ricorso 15192-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1924/2024 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 22/05/2024 R.G.N. 2161/2023; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
Previdenza
R.G.N. 15192/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 11/02/2025
PU
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’avvocato NOME COGNOME
udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza depositata il 22.5.2024, la Corte d’appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado, ha accolto la domanda di NOME COGNOME volta a conseguire il reddito di cittadinanza con decorrenza dal giugno 2022, rifiutatogli dall’INPS in sed e amministrativa sul presupposto che egli avesse riportato, nei dieci anni precedenti la domanda, una condanna definitiva per uno dei reati di cui all’art. 7, comma 3, d.l. n. 4/2019 (conv. con l. n. 26/2019), nel testo modificato dall’art. 1, comma 74, le tt. f) , l. n. 234/2021.
La Corte, in particolare, ha ritenuto che la circostanza che l’istante fosse stato destinatario, nei dieci anni precedenti la domanda, di sentenza di applicazione della pena su richiesta, ex art. 444 c.p.p., non potesse essere ostativa della concessione del reddito di cittadinanza, essendo tale sentenza prevista soltanto quale causa di revoca della provvidenza e non costituendo di per sé sentenza di condanna.
Avverso tali statuizioni ha proposto ricorso per cassazione l’INPS, deducendo un motivo di censura, successivamente illustrato con memoria. NOME COGNOME ha resistito con controricorso. Il Pubblico ministero ha depositato memoria con cui ha chiesto l’acco glimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di censura, l’INPS denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2, comma 1, e 7, comma 3, d.l. n. 4/2019 (conv. con l. n. 26/2019), nonché dell’art. 12 prel.
c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che la sussistenza di una sentenza penale di applicazione della pena su richiesta a carico del richiedente del reddito di cittadinanza rilevasse soltanto ai fini della revoca della provvidenza già concessa e non anche ai fini della concessione del beneficio assistenziale. Il motivo, nei termini che seguono, è fondato.
Va premesso che l’art. 2, comma 1, d.l. n. 4/2019, nel testo vigente ratione temporis prima dell’abrogazione della misura assistenziale del reddito di cittadinanza disposta con l. n. 197/2022, prevedeva, per quanto rileva in questa sede, alla lett. cbis ) , che il richiedente che intendesse conseguire il beneficio non dovesse essere stato sottoposto a ‘misura cautelare personale, anche adottata a seguito di convalida dell’arresto o del fermo’ ovvero a ‘condanne definitive, intervenute nei dieci anni preceden ti la richiesta’ per taluno dei delitti indicati nel successivo art. 7, comma 3, d.l. n. 4/2019, cit.-
Dal canto suo, l’art. 7, comma 3, ult. cit., stabiliva che ‘alla condanna in via definitiva’ riportata per una cospicua serie di reati ivi indicati nonché alla ‘sentenza di applicazione della pena su richiesta’ per i medesimi, conseguiva ‘di diritto l’immediata revoca del beneficio con efficacia retroattiva’, con obbligo del beneficiario di provvedere ‘alla restituzione di quanto indebitamente percepito’.
Ciò posto, i giudici territoriali hanno ritenuto che il combinato disposto delle due norme dianzi cit. prevedesse, quale unica condizione ostativa della concessione del reddito di cittadinanza, la presenza di condanne definitive, intervenute nei dieci anni precedenti la richiesta, per taluno degli anzidetti reati; di conseguenza, reputando che la sentenza di applicazione della pena su richiesta non potesse costituire sentenza di condanna e che quest’ultima potesse rilevare soltanto ai fini della revoca del beneficio già concesso, hanno
concluso che del tutto illegittimamente all’odierno controricorrente fosse stato negato il beneficio de quo .
Deve tuttavia rilevarsi, in contrario, che, sebbene l’art. 7, comma 3, ricolleghi testualmente la rilevanza delle sentenze di applicazione della pena su richiesta soltanto alla ‘revoca’ del beneficio e non anche alla sua iniziale concessione, solidi indizi di natura testuale inducono a ritenere che anche l’applicazione della pena su richiesta per taluno dei delitti di cui all’art. 7, comma 3, d.l. n. 4/2019, possa precludere in radice la concessione del reddito di cittadinanza: operando ‘con efficacia retroattiva’ e comportando l’obbligo del beneficiario di provvedere ‘alla restituzione di quanto indebitamente percepito’, tale ‘revoca’ non è punto assimilabile ad una revoca per sopravvenienza, che -operando ex nunc -determina nei rapporti previdenziali di durata l’effetto caratteristico della soluti retentio dei ratei della provvidenza che sono stati corrisposti in epoca precedente al fatto estintivo del diritto alla medesima, ma costituisce piuttosto un ‘annullamento’, con efficacia ex tunc , del provvedimento originario di concessione della provvidenza, che la legge reputa ab origine illegittimo, come si evince chiaramente dalla necessità che il beneficiario restituisca ‘quanto indebitamente percepito’.
Tanto premesso, deve concludersi che anche l’insussistenza, a carico del richiedente, di sentenze di applicazione della pena su richiesta per taluno dei reati previsti dall’art. 7, comma 3, d.l. n. 4/2019, costituisca un particolare ‘requisito di onorabili tà’ (giusta l’espressione di Corte cost. n. 126 del 2021), introdotto al fine di circoscrivere l’intervento della solidarietà collettiva ad esclusivo beneficio di coloro che ne fossero realmente meritevoli secondo una valutazione discrezionale del legislatore che non appare, prima facie , affetta da alcuna arbitrarietà, ben potendosi giustificare,
specie nell’ottica della limitatezza delle risorse disponibili, che il sostegno solidaristico non si estenda a coloro che, con la loro condotta, hanno mancato all’adempimento dei propri doveri di onestà, lealtà e probità nei confronti di quella stessa coll ettività di cui invocano l’aiuto; e così ricostruita la fattispecie, deve ritenersi che affatto erroneamente i giudici territoriali hanno reputato che la sentenza di applicazione della pena su richiesta non potesse di per sé precludere all’odierno controri corrente il conseguimento del reddito di cittadinanza.
Il ricorso, pertanto, va accolto e, cassata la sentenza impugnata, la causa va rinviata alla Corte d’appello di Roma,