Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10305 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 10305 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/04/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 4935/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende
-ricorrente- contro
FEDERAZIONE NAZIONALE PROFESSIONE DI COGNOME, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
-controricorrente e ricorrente incidentale-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 2027/2020 pubblicata il 12/10/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso incidentale;
udito l’avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Roma, con la sentenza n.2027/2020 pubblicata il 12/10/2020, ha solo in parte accolto il gravame proposto da NOME COGNOME nella controversia con la Federazione nazionale degli ordini della professione ostetrica (FNOPO), ed in parziale riforma della sentenza appellata ha dichiarato la illegittimità del recesso della FNOPO dal rapporto di lavoro.
La controversia ha per oggetto l’accertamento della inefficacia, nullità, illegittimità o tardività del recesso intimato al COGNOME per mancato superamento del periodo di prova, con la reintegra nel posto di lavoro, il pagamento delle retribuzioni non corrisposte a far tempo dal 18/05/2016 ed il risarcimento dei danni patrimoniali e non.
Il Tribunale di Roma rigettava tutte le domande proposte dal COGNOME.
La corte territoriale ha accolto l’appello con riferimento alla illegittimità del recesso per mancanza di motivazione, e nel resto ha confermato la sentenza appellata.
Per la cassazione della sentenza ricorre COGNOME con ricorso affidato a sette motivi. FNOPO resiste con controricorso e propone a sua volta ricorso incidentale condizionato affidato ad un unico motivo. Le parti hanno depositato memorie illustrative. La Procura
generale, nella sua memoria ex art.378 cod. proc. civ., ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso incidentale condizionato. Ed ha confermato tali richieste in udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente principale lamenta «vizio di violazione o falsa applicazione di legge ai sensi del punto 3 del comma 1 dell’art.360 c.p.c. con riferimento agli artt.113 c.p.c., agli artt.1324, 1346, 1354, 1364, 1423, 1256 c.c.; all’art.63, c.2 del d.lgs. 165 del 2001; all’art.1 del CCNL Integrativo Enti Pubblici Non Economici del 14/02/2001 e per assenza di motivazione rispetto ad una specifica domanda ai sensi dei punti 4 e 5 del comma 1 dell’art.360 c.p.c. e n.4 del comma 2, dell’art.132 c.p.c.».
Con il secondo motivo il ricorrente principale lamenta «vizio di violazione o falsa applicazione di legge ai sensi del punto 3 del comma 1 dell’art.360 c.p.c. con riferimento agli artt.113 c.p.c., 1324 e 1399 c.c., vizio di nullità della sentenza».
Con il terzo motivo il ricorrente principale lamenta «vizio di violazione o falsa applicazione di legge ai sensi del punto 3 del comma 1 dell’art.360 c.p.c. con riferimento agli artt.113 c.p.c., 1334 e 1335 c.c.»
Con il quarto motivo il ricorrente principale lamenta «vizio di motivazione apparente, perplessa e contraddittoria ai sensi del punto 4 del comma 1 dell’art.360 c.p.c. e per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ai sensi del punto 5 del comma 1 dell’art.360 c.p.c. violazione dell’art.111 Cost. nonché per violazione o falsa applicazione di legge ai sensi del punto 3 del comma 1 dell’art.360 c.p.c. con riferimento agli artt.112, 115 e 132 c.p.c.; agli art.4 e 5 del D.lgs. 165 del 2001; all’art.97 Cost. ed agli artt.1175 e 1375 c.c.; violazione del principio di separazione tra attività di indirizzo politico-amministrativo e funzioni gestorie».
Con il quinto motivo il ricorrente principale lamenta «vizio per violazione, ai sensi del punto 3) del comma 1 dell’art.360 c.p.c. dell’art.1 del CCNL Integrativo Enti Pubblici Non Economici del 14/02/2001; degli artt.2, 51, 63 e 70 del D.lgs. 165 del 2001; dell’art.17 del DPR n.487 del 1994; dell’art.97 Cost. e dei correlativi principi di diritto espressi dalla giurisprudenza di legittimità».
Con il sesto motivo il ricorrente principale lamenta «nullità della sentenza per pronuncia apparente, perplessa e contraddittoria sulla domanda dell’appellante e per omissione di pronuncia su fatti determinanti ai sensi dei punti 4 e 5 del comma 1 dell’art.360 c.p.c. con riferimento agli artt.112, 115, 132 c.1 n.4 e 345 c.p.c.; all’art.97 Cost.; agli artt.1175 e 1375 c.c.; violazione del principio dispositivo e violazione del principio della ricerca della verità materiale».
Con il settimo motivo il ricorrente principale lamenta «violazione, ai sensi del punto 3) del comma 1 dell’art.360 c.p.c. degli artt.2043 e 2059 c.c. e dei principi giurisprudenziali in materia di risarcimento susseguente all’accertamento giudiziale dell’illegittimità del recesso datoriale in periodo di prova.
Con il ricorso incidentale condizionato, non articolato in un motivo specifico, la controricorrente chiede che in caso di accoglimento delle doglianze sollevate dal ricorrente venga riformata la sentenza della corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto il recesso privo di motivazione.
In via pregiudiziale deve dichiararsi la inammissibilità dei motivi del ricorso principale nella parte in cui, con riferimento alla censura ex art.360 comma primo n. 3 cod. proc. civ., non viene dedotta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, ma di «principi» (cfr. i motivi dal quarto al settimo), in quanto parametro di riferimento non previsto dal motivo di critica vincolata, rilevante solo con
riferimento al diverso tema della risoluzione delle lacune giusta la disposizione dettata dall’art.12 secondo comma delle preleggi.
Sono inoltre inammissibili i motivi del ricorso principale nella parte in cui, sempre con riferimento alla censura ex art.360 comma primo n. 3 cod. proc. civ., si limitano a riportare la norma violata nella rubrica, senza esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo di volta in volta con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare ─ con una ricerca esplorativa officiosa che trascende le sue funzioni ─ la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U. 28/10/2020, n. 23.745).
Così delimitato il perimetro dei motivi proposti in via principale, può procedersi all’esame delle censure proposte ex art.360 comma primo n. 3 cod. proc. civ. formulate in modo corretto.
Il primo motivo è infondato. Il ricorrente lamenta la mancanza di motivazione, la «totale omissione di pronuncia» con riferimento ai motivi g) ed h) dell’atto di appello, ed in particolare con riferimento alla eccezione relativa alla impossibilità materiale «di realizzare il contenuto del provvedimento di recesso» (pag.12 ricorso), perché il recesso gli era stato intimato al termine dell’ultimo giorno del periodo di prova, ossia il 18/05/2016, e dunque quando il periodo di prova si era concluso, con la conseguente automatica conferma in servizio e la reintegra nel posto di lavoro.
Sul punto la corte territoriale ha ritenuto che la missiva inviata dal presidente il 18/05/2016, e ricevuta dal COGNOME il giorno dopo, fosse «atto di recesso tempestivamente intimato» (§ 7 della motivazione), con statuizione che necessariamente implica il rigetto della eccezione di «impossibilità di realizzare il contenuto del recesso» sollevata dalla parte appellante.
14. Si intende dare continuità al costante orientamento di questa Corte, secondo il quale «non ricorre il vizio di omessa pronuncia ove la decisione comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione, da ritenersi ravvisabile quando la pretesa non espressamente esaminata risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia, nel senso che la domanda o l’eccezione, pur non espressamente trattate, siano superate e travolte dalla soluzione di altra questione, il cui esame presuppone, come necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza» (Cass. 26/09/2024 n.25710).
15. Deve aggiungersi che il rigetto implicito della eccezione de qua è conforme ai principi statuiti in materia da questa Corte, una volta che si consideri che «a norma del quarto comma dell’art. 2096 cit., compiuto il periodo di prova l’assunzione diviene definitiva, ma questa disposizione si riferisce al caso in cui alla scadenza del termine il rapporto di lavoro continui a svolgersi, e non al caso in cui le prestazioni cessino alla scadenza del termine e la volontà recessiva del datore venga recepita successivamente dal lavoratore» (Cass. 10/09/2012 n.15100). La corte territoriale ha accertato in fatto che «il recesso è intervenuto il 18.5.2016, l’ultimo giorno del periodo di prova», ed è pacifico che le prestazioni lavorative siano cessate lo stesso giorno e che nello stesso giorno il presidente della FNOPO, dotato dei poteri di legale rappresentanza, abbia inviato la lettera di recesso.
16. Il secondo motivo è inammissibile. Il ricorrente deduce la erronea applicazione degli artt.1324 e 1399 alla lettera del presidente della FNOPO di ratifica del recesso, in quanto la retroattività della ratifica si porrebbe in contrasto con le esigenze di certezza sottese alla fissazione dei termini di decadenza e prescrizione.
17. Il motivo è inammissibile perché, con riferimento alla tempestività del recesso, la motivazione della sentenza impugnata
si fonda su due rationes decidendi. La lettera del presidente della FNOPO è presa in considerazione: a) sia quale ratifica ex art.1399 cod. civ. della comunicazione a mezzo PEC inviata lo stesso 18/05/2016 dalla segretaria, in nome e per conto del presidente; b) sia quale autonomo atto di recesso. A questo proposito la corte territoriale ha ritenuto che «tale missiva (…) deve ritenersi, ancor prima di atto di ratifica dell’operato altrui, atto di recesso tempestivamente intimato» (§7 della motivazione). Il motivo di ricorso censura solo una delle due rationes concorrenti, e pertanto è inammissibile.
18. Il terzo motivo è infondato. Il ricorrente deduce che la corte territoriale ha errato nel ritenere tempestivo il recesso inviato il 18/05/2016 e ricevuto il 19/05/2016, quando il termine finale del periodo di prova era già spirato.
19. Sul punto la corte territoriale ha ritenuto in fatto che la lettera di recesso sia stata spedita dal presidente della FNOPO il 18/05/2016 e ricevuta dal COGNOME il 19/05/2016, e che al fine della valutazione della tempestività del recesso, per il mittente, occorre fare riferimento alla spedizione dell’atto. Secondo il costante orientamento di questa Corte, « in base ai principi generali in tema di decadenza, enunciati dalla giurisprudenza di legittimità e affermati, con riferimento alla notificazione degli atti processuali, dalla Corte costituzionale – l’effetto di impedimento della decadenza si collega, di regola, al compimento, da parte del soggetto onerato, dell’attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione demandato ad un servizio – idoneo a garantire un adeguato affidamento – sottratto alla sua ingerenza» (Cass. S.U. 14/04/2010 n.8830). La corte territoriale ha fatto corretta applicazione di questo consolidato principio di diritto e tanto basta per il rigetto del motivo.
20. Il quarto motivo è infondato. Il ricorrente sostiene che la corte territoriale ha omesso qualsiasi statuizione con riferimento alla
eccezione relativa alla assenza di un dirigente amministrativo interno alla FNOPO dotato del potere di licenziare il COGNOME, e che avrebbe errato nel ritenere legittima la ratifica da parte del presidente della FNOPO, della comunicazione di recesso inviata a mezzo PEC dalla segretaria COGNOME in nome e per conto del presidente, perché «ostetrica di professione, membro politico dell’ente e priva del titolo di dirigente amministrativo».
21. Sul punto valgono le medesime considerazioni già svolte con riferimento al primo motivo di ricorso. La corte territoriale ha implicitamente rigettato l’eccezione di difetto di legittimazione a decidere e comunicare il recesso quando ha ritenuto legittimo e tempestivo il recesso comunicato dal presidente della FNOPO, considerato ex se e non quale atto di ratifica. Giova poi rilevare che nel motivo di ricorso il COGNOME non ha trascritto né comunque riportato le norme di organizzazione interna della FNOPO che escludevano il potere del presidente di decidere e comunicare il recesso, e dunque con riferimento alla censura ex art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ. il motivo è inammissibile ex art.366 comma primo n.6 cod. proc. civ.; così come è inammissibile la censura ex art.360 comma primo n.5 cod. proc. civ. in quanto la censura ha per oggetto una valutazione giuridica, e non l’omesso esame di un fatto della natura.
22. Il quinto motivo è infondato. Il ricorrente lamenta che la corte territoriale pur avendo dichiarato la illegittimità del recesso non ne ha dichiarato l’inefficacia ed anzi l’ha ritenuto idoneo a risolvere il rapporto. Richiama in particolare l’art.1 comma 6 del CCNL del 14/02/2001 ad integrazione del CCNL per il personale non dirigente degli enti pubblici non economici stipulato il 16/02/1996, che prevede: «Decorso il periodo di prova senza che il rapporto sia stato risolto, il dipendente si intende confermato in servizio con il riconoscimento dell’anzianità dal giorno dell’assunzione a tutti gli effetti». Deduce che dalla inefficacia del recesso consegue la
conferma in servizio e dunque la sussistenza dei presupposti per la sua reintegra nel posto di lavoro, ingiustamente negata dalla corte territoriale.
23. Sul punto la corte territoriale ha distinto tra difetto genetico del patto di prova, che ne impedisce la sua stessa esistenza; e difetto funzionale, che interviene nella fase della sua esecuzione. Sulla base di questa premessa ha ritenuto che il caso esaminato fosse qualificabile come difetto funzionale, richiamando Cass. 03/12/2018 n.31159, con esclusione della possibilità di reintegra, e dunque riconoscendo al recesso illegittimo la possibilità di produrre l’effetto di risoluzione del rapporto. La corte ha altresì ritenuto che la contrattazione collettiva non prevedesse una «specifica sanzione» per la violazione dell’obbligo di motivare il recesso in particolare in questo caso.
24. In termini generali né l’art.2096 cod. civ. né altre disposizioni dettate da fonti primarie disciplinano la materia degli effetti del recesso privo di specificazione dei motivi. Né può ritenersi applicabile, in via analogica, l’art.2 della legge 604/1996 (laddove prevede l’onere di specificazione dei motivi e la sanzione della inefficacia per il recesso intimato in violazione di tale prescrizione), perché l’art.10 della legge cit. prevede che «Le norme della presente legge (…) per quelli assunti in prova, si applicano dal momento in cui l’assunzione diviene definitiva e, in ogni caso, quando sono decorsi sei mesi dall’inizio del rapporto di lavoro».
24. Anche la contrattazione collettiva applicabile al rapporto dedotto in giudizio, come correttamente rilevato dalla corte territoriale, non prevede una sanzione specifica per il caso di violazione dell’obbligo di motivazione.
25. L’art.1 comma 5 del CCNL del 14/02/2001 ad integrazione del CCNL per il personale non dirigente degli enti pubblici non economici stipulato il 16/02/1996 prevede che: «Decorsa la metà del periodo di prova, ciascuna delle parti può recedere dal rapporto
in qualsiasi momento senza obbligo di preavviso nè di corresponsione dell’indennità sostitutiva del preavviso, fatti salvi i casi di sospensione di cui al comma 3. Il recesso dell’Amministrazione deve essere motivato».
26. In buona sostanza, l’art.1 comma 5 cit. si limita a prevedere l’obbligo di motivazione del recesso ─ in conformità dei principi generali ─ senza però prevedere le conseguenze della violazione di tale prescrizione. Giova rilevare che il comma 6 della medesima disposizione contrattuale prevede che: «Decorso il periodo di prova senza che il rapporto sia stato risolto, il dipendente si intende confermato in servizio con il riconoscimento dell’anzianità dal giorno dell’assunzione a tutti gli effetti».
27. Il riferimento al rapporto «risolto» deve essere interpretato, in combinato disposto con la disposizione dettata dall’art.1 comma 5 cit. come rapporto comunque risolto, anche per mezzo di un recesso immotivato. E ciò in considerazione del fatto che secondo i principi generali della materia in esame (rilevanti anche ex art.12 comma secondo delle preleggi) il recesso illegittimo perché immotivato ─ in mancanza di una disposizione che preveda espressamente la sua inefficacia e la conseguente reintegra ─ è comunque efficace, e dunque idoneo a produrre l’effetto estintivo del rapporto, salva la tutela risarcitoria.
28. Tali principi possono agevolmente rinvenirsi nella magistrale ricostruzione degli orientamenti di questa Corte in materia di recesso dal patto di prova, compiuta da Cass. 31159/2018 cit. che si riporta nella parte rilevante: «(…) nella specie, non si verte in una ipotesi di nullità genetica del patto accidentale contenuto nel contratto individuale di lavoro, come può essere il caso della mancata stipula del patto di prova per iscritto in epoca anteriore o almeno contestuale all’inizio del rapporto di lavoro (Cass. n. 25 del 1995; Cass. n. 5591 del 2001; Cass. n. 21758 del 2010) oppure il
caso della mancata specificazione delle mansioni da espletarsi (per tutte Cass. n. 17045 del 2005, richiamata dalla Corte territoriale). Siamo anche al di fuori dell’ipotesi del recesso dal patto di prova in caso di successione di contratti, con venir meno della causa apposta al secondo contratto e conseguente nullità dello stesso (Cass. n. 10440 del 2012; Cass. n. 15059 del 2015) o del recesso determinato da motivo illecito. In tutti questi casi in cui il patto di prova non è validamente apposto la cessazione unilaterale del rapporto di lavoro per mancato superamento della prova è inidonea a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento e non si sottrae alla disciplina limitativa dei licenziamenti (Cass. n. 16214 del 2016; Cass. n. 17921 del 2016). Si vuole dunque evidenziare la distinzione dell’ipotesi del licenziamento in caso di illegittima apposizione del patto di prova al contratto di lavoro dall’ipotesi del recesso intimato in regime di lavoro in prova per essere legittima la clausola recante il patto di prova: nel primo caso c’è la “conversione” (in senso atecnico) del rapporto in prova in rapporto ordinario (in realtà c’è la nullità parziale della clausola contenente il patto di prova, che non ridonda in nullità del contratto di lavoro) e trova applicazione, ricorrendo gli altri requisiti, il regime ordinario del licenziamento individuale (Cass. n. 14539 del 1999; Cass. n. 5811 del 1995); nel secondo caso (e solo in questo) c’è lo speciale regime del recesso in periodo di prova, frutto soprattutto di elaborazione giurisprudenziale, che per più versi si discosta dalla disciplina ordinaria del licenziamento individuale (per la distinzione v. Cass. n. 14950 del 2000, in motivazione). 3.2. Occorre dunque ribadire in questa sede quali siano le conseguenze derivanti non dal difetto genetico del patto di prova bensì dal vizio funzionale rappresentato, come nella specie, dalla non coincidenza delle mansioni espletate in concreto rispetto a quelle indicate nel patto di prova. Orbene secondo una risalente, ma consolidata giurisprudenza, in applicazione dei principi civilistici di diritto
comune, il lavoratore avrà esclusivamente diritto al ristoro del pregiudizio sofferto; pertanto una volta accertata l’illegittimità del recesso stesso consegue – anche laddove sussistano i requisiti numerici – che non si applicano la legge n. 604/66 o l’art. 18 legge n. 300/70, ma si ha unicamente la prosecuzione – ove possibile della prova per il periodo di tempo mancante al termine prefissato oppure il risarcimento del danno, non comportando la dichiarazione di illegittimità del recesso nel periodo di prova che il rapporto di lavoro debba essere ormai considerato come stabilmente costituito (in termini Cass. n. 2228 del 1999; in precedenza v. ex plurimis: Cass. n. 233 del 1985, Cass. n. 1250 del 1985, Cass. n. 11934 del 1995; non prende invece specifica posizione sulla tutela applicabile, rispetto alla giurisprudenza citata che la precede, Cass. n. 15432 del 2001 la quale, dopo aver ritenuto “non … sostenibile che qualsiasi difformità rispetto alle pattuizioni integri un inadempimento del patto di prova” enuclea l’ipotesi in cui, “per il rilievo quantitativo o qualitativo delle mansioni ulteriori” assegnate al dipendente, “risulti sostanzialmente mutato l’oggetto complessivo della prestazione lavorativa”). Le conclusioni cui è giunta la richiamata giurisprudenza discendono coerenti dalla considerazione che, in costanza di un valido patto di prova, la mancata corretta esecuzione del medesimo, svolgendo i suoi effetti sul piano dell’inadempimento senza generare una nullità non prevista, non determina automaticamente la “conversione” in un rapporto a tempo indeterminato bensì, come ogni altro inadempimento, la richiesta del creditore di esecuzione del patto ove possibile – ovvero di risarcimento del danno».
29. La Corte intende dare continuità a questi principi di diritto, perché l’inefficacia del recesso e la conseguente reintegra nel posto di lavoro presuppongono un difetto genetico del patto di prova, tale da poterlo considerare tamquam non esset. La corte territoriale ha fatto corretta applicazione di questi principi di diritto, facendo ad
essi ricorso ex art.12 secondo comma delle preleggi una volta riscontrata la lacuna della legge e della contrattazione collettiva. Il motivo deve essere rigettato.
30. Il sesto motivo è inammissibile. Il ricorrente lamenta che la corte territoriale, dopo aver accertato la illegittimità del recesso per difetto di motivazione ed assorbito gli altri motivi di appello inerenti la illegittimità del recesso, ha comunque statuito sulla insussistenza della natura illecita e discriminatoria del recesso.
31. La corte territoriale ha ritenuto l’assorbimento dei motivi b), c) ed e) dell’atto di appello (§ 6 della motivazione) ed ha proceduto a delibare la fondatezza del motivo sub d) (motivi illeciti, discriminatori e ritorsivi del recesso) anche al fine della valutazione delle conseguenze della accertata illegittimità del recesso (§ 4.4 della motivazione). Non sussiste pertanto né alcuna omissione di pronuncia, né alcun error in procedendo proprio in considerazione del fatto che l’esame di tale motivo si rendeva necessario per statuire sulle conseguenze della illegittimità del recesso sul presupposto ─ del tutto condivisibile ─ che l’accertamento della natura discriminatoria, ritorsiva o comunque illecita del recesso avrebbe determinato l’accoglimento della domanda di reintegra proposta dal COGNOME.
32. Nel resto il motivo è inammissibile perché si sostanzia nella censura sull’apprezzamento dei fatti compiuto dal giudice del merito, ed in particolare nella valutazione e concludenza dei documenti esaminati dalla corte territoriale. Poiché si tratta di documenti privi dell’efficacia della prova legale, la loro valutazione è riservata al prudente apprezzamento del giudice del merito, e non è sindacabile in questa sede.
33. Il settimo motivo è inammissibile. Il ricorrente lamenta che la corte territoriale non si sarebbe espressa sulla personalizzazione del danno, ed in particolare sul riconoscimento in via equitativa di
una cifra omnicomprensiva a titolo di danno patrimoniale e non patrimoniale.
34. La corte territoriale ha rigettato le domande risarcitorie per insussistenza degli elementi costitutivi (§§ 4.3 e 4.4. della motivazione), con l’inciso: «tali elementi tuttavia mancano, e sarebbe stato onere del lavoratore fornirli».
35. La censura, come proposta, è inammissibile perché si lamenta del ragionamento giuridico seguito dalla corte territoriale in punto quantum debeatur, ragionamento che la corte non ha mai fatto avendo escluso il diritto del ricorrente in punto an debeatur. Sotto questo profilo la ratio decidendi non è stata attaccata dal ricorrente, e ciò determina l’inammissibilità del motivo.
36. Per tutti questi motivi il ricorso proposto in via principale deve essere rigettato. Per l’effetto non vi è luogo a pronunciare sulla fondatezza del ricorso incidentale, siccome condizionato all’accoglimento del primo; ricorso peraltro inammissibile in quanto non strutturato nella forma del motivo autonomo a critica vincolata.
La soccombenza reciproca impone la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale. Dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato. Compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte Suprema di cassazione, Sezione IV, il 18 marzo 2025.
Il Consigliere est. La Presidente (NOME COGNOME (NOME COGNOME