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Rapporto di lavoro subordinato: associazione e volontario

Un’associazione di promozione sociale ricorre in Cassazione contro la sentenza che qualificava come rapporto di lavoro subordinato la prestazione di una sua associata, condannandola al pagamento di differenze retributive. La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando che la sostanza del rapporto prevale sulla forma, soprattutto quando si utilizzano contratti di somministrazione come “escamotage” per mascherare la subordinazione.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Rapporto di lavoro subordinato: quando il volontariato nasconde un impiego

Il confine tra volontariato e rapporto di lavoro subordinato può essere sottile, specialmente all’interno delle associazioni di promozione sociale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: la realtà effettiva del rapporto prevale sempre sulla qualificazione formale data dalle parti. Questo caso analizza la situazione di una lavoratrice, formalmente volontaria, la cui prestazione è stata riconosciuta come lavoro dipendente, con importanti conseguenze per l’ente datore di lavoro.

I fatti di causa

Una lavoratrice ha chiesto al Tribunale il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato con un’associazione di promozione sociale per le mansioni di autista svolte tra il febbraio 2014 e il settembre 2015. La sua richiesta includeva il pagamento di differenze retributive, tredicesima mensilità e indennità per ferie non godute.

In primo grado, il Tribunale ha respinto la domanda, ritenendo non provata la natura subordinata del rapporto. La lavoratrice ha però impugnato la decisione e la Corte d’Appello ha ribaltato la sentenza. I giudici di secondo grado hanno accertato l’esistenza di un vero e proprio rapporto di lavoro dipendente, condannando l’associazione al pagamento di oltre 25.000 euro.

La Corte territoriale ha evidenziato che l’associazione, per far fronte a un incremento delle richieste di trasporto, aveva fatto ricorso a contratti di somministrazione tramite un’agenzia di lavoro interinale. Questo meccanismo, secondo i giudici, era stato un mero escamotage per assumere i volontari, i quali però “dipendevano in tutto e per tutto” dall’associazione stessa.

La decisione della Corte di Cassazione e il rapporto di lavoro subordinato

L’associazione ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su quattro motivi principali. Sosteneva, tra le altre cose, una violazione della normativa sul volontariato e sulle associazioni di promozione sociale, che consente a tali enti di avvalersi sia di volontari che, in caso di necessità, di lavoratori dipendenti, anche scegliendoli tra i propri associati.

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la decisione della Corte d’Appello. La decisione si fonda su un’analisi attenta delle argomentazioni dell’associazione, ritenute però non pertinenti rispetto al nucleo della questione.

Le motivazioni

I giudici di legittimità hanno osservato che i motivi del ricorso non coglievano la ratio decidendi della sentenza d’appello. Il punto centrale non era se un’associazione potesse o meno assumere dipendenti, ma il fatto che, nel caso specifico, il rapporto con la lavoratrice fosse stato mascherato da volontariato tramite l’uso abusivo della somministrazione di lavoro. L’associazione non ha contestato questa specifica ricostruzione, rendendo le sue argomentazioni sulla disciplina del volontariato irrilevanti.

La Corte ha inoltre ribadito un principio consolidato: sebbene sia possibile per una persona avere distinti rapporti con un ente (uno di volontariato e uno di lavoro subordinato), non è concepibile che un unico rapporto sia qualificato in parte come volontario e in parte come subordinato. La natura del legame deve essere unitaria.

Infine, la Cassazione ha respinto i motivi con cui l’associazione criticava la valutazione delle prove fatta dalla Corte d’Appello. Il compito della Corte di Cassazione, infatti, non è riesaminare i fatti o le prove, ma solo verificare che il ragionamento del giudice di merito sia logico, coerente e privo di vizi giuridici. In questo caso, la Corte d’Appello aveva motivato in modo esauriente le ragioni per cui riteneva provata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato.

Conclusioni

L’ordinanza conferma che la qualificazione di un rapporto di lavoro dipende dalle sue concrete modalità di svolgimento. La presenza di indici di subordinazione, come l’assoggettamento al potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro, è decisiva per definire la natura del rapporto, indipendentemente dal nome che le parti gli hanno dato (nomen iuris) o dal contesto associativo in cui si svolge. L’utilizzo di strumenti contrattuali, come la somministrazione, in modo elusivo per mascherare la reale natura di un rapporto di lavoro dipendente costituisce un comportamento che non può trovare tutela nell’ordinamento giuridico.

Può esistere un rapporto di lavoro subordinato tra un’associazione di volontariato e un suo associato?
Sì. La sentenza chiarisce che le associazioni di promozione sociale possono assumere lavoratori dipendenti, anche scegliendoli tra i propri associati. La qualifica di volontario non esclude a priori la possibilità che si instauri un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato, se le modalità concrete della prestazione presentano gli indici tipici della subordinazione.

Un unico rapporto di lavoro può essere considerato in parte volontariato e in parte subordinato?
No. La Corte di Cassazione ha specificato che, sebbene una persona possa avere contemporaneamente più rapporti di natura diversa con lo stesso ente, un singolo e medesimo rapporto non può essere qualificato in parte come subordinato e in parte come volontariato. La natura del rapporto deve essere unitaria.

Perché la Corte di Cassazione ha giudicato inammissibile il ricorso dell’associazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente perché i motivi presentati non contestavano il punto centrale della decisione della Corte d’Appello, ovvero l’uso della somministrazione di lavoro come “escamotage” per mascherare un rapporto subordinato. Inoltre, il ricorso chiedeva alla Cassazione di rivalutare le prove e i fatti, un compito che spetta esclusivamente ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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