Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5428 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 5428 Anno 2025
Presidente: RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 888/2021 R.G. proposto da :
COGNOME, in persona del legale rappresentante pro tempore, con diritto di ricevere le notificazioni presso la PEC dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO L’AQUILA n. 306/2020 pubblicata il 18/06/2020, RG n. 3 del 2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’ A ppello dell’Aquila, con la sentenza n.306/2020 pubblicata il 18/06/2020, ha accolto il gravame proposto da NOME COGNOME nella controversia con la Croce Rossa Italiana e, in riforma della sentenza impugnata resa tra le parti dal Tribunale di Vasto, ha condannato la Croce Rossa Italiana al pagamento della somma di euro 25.909,30 a titolo di differenze retributive, 13^ mensilità ed indennità sostitutiva delle ferie non godute.
La controversia ha per oggetto la pretesa del pagamento delle differenze retributive, della 13^ mensilità e della indennità sostitutiva delle ferie non godute nel periodo dal febbraio 2014 al settembre 2015, per lo svolgimento delle mansioni di autista alle dipendenze della Croce Rossa Italiana.
Il Tribunale di Vasto rigettava le domande della COGNOME, ritenendo non provata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti.
La Corte territoriale ha ritenuto la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze della C.R.I.-Comitato locale di Vasto; e che la natura mista del rapporto, di lavoro subordinato e
volontariato, fosse incompatibile con le disposizioni della legge n.226/1991.
Per la cassazione della sentenza ricorre la C.R.I., con ricorso affidato a quattro motivi.
6.NOME COGNOME resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione «della normativa sul volontariato e segnatamente alla legge quadro n.226/91 e al d.lgs. n.338 del 2000», con riferimento all’art.360, comma primo, n.3, cod. proc. civ.
Assume la ricorrente, nel richiamare la disciplina sul volontariato, che il giudice di appello non ha tenuto conto della disciplina delle associazioni di promozione sociale, e non ha considerato che le articolazioni della Croce Rossa sono state ricostituite in veste di Associazioni di promozione sociale Onlus parziali con personalità giuridica ex lege , che si avvalgono delle attività prestate in forma libera e volontaria dai propri associati per perseguire i fini istituzionali.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione del d.lgs. n. 117/2017, con riferimento all’art.360, comma primo n.3, cod. proc. civ.
Assume la ricorrente che ratione temporis trovava applicazione la disciplina che consentiva di derogare al carattere gratuito della prestazione resa dal volontario, e il terzo settore non risulta incompatibile con l’eventuale onerosità delle attività rese dai propri associati. L’espletamento del servizio reso dalla lavoratrice richiedeva l’essere iscritta come volontaria alla CRI e vi era la facoltà di assumere personale da retribuire.
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt.112, 115, 116, 414 e 434 cod. proc. civ., in relazione all’art. 2094 cod. civ. «in relazione alle risultanze
istruttorie del giudizio di primo grado con riferimento alla natura subordinata dell’attività svolta dalla COGNOME», con riferimento all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ. Assume la ricorrente che dalle risultanze istruttorie emergeva che parte del servizio svolto era stato effettuato in ragione della veste di socia volontaria e non in adempimento delle ordinarie obbligazioni civilistiche.
Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art.2697 cod. civ., con riferimento all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ.
La sentenza di appello è censurata nella parte in cui ha dato valore ad acquisizioni presuntive che non tenevano conto delle risultanze istruttorie.
I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, per ragioni di connessione.
La ricorrente sostiene che la Corte territoriale non avrebbe fatto applicazione dell’art.18 della legge n.338/2000 (applicabile in virtù del rinvio espresso fatto dall’art.1 bis comma 1 del d.lgs. n.178/2012, nel testo pro tempore applicabile) che così prevede: «1. Le associazioni di promozione sociale si avvalgono prevalentemente delle attività prestate in forma volontaria, libera e gratuita dai propri associati per il perseguimento dei fini istituzionali. 2. Le associazioni possono, inoltre, in caso di particolare necessità, assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo, anche ricorrendo a propri associati.».
Come ha dedotto la parte ricorrente, per effetto dell’art.1 bis del d.lgs. 178/2021 i comitati locali della C.R.I. esistenti al 31/12/2013: a) hanno assunto, a far tempo dal 01/01/2014 la personalità giuridica di diritto privato; b) sono stati assoggettati alla disciplina del titolo II del libro primo del codice civile; c) sono stati iscritti di diritto nei registri provinciali delle associazioni di promozione sociale; d) ad essi si è applicata, sino alla entrata in
vigore del d.lgs. n.117/2017, la disciplina dettata per le associazioni di promozione sociale dalla legge n.383/2000.
Tanto premesso, l’art.18 comma 2 della legge n.383/2000 prevedeva che le associazioni di promozione sociale, e tra essa anche il Comitato locale di Vasto della C.R.I. a far tempo dal 01/01/2014, potessero assumere lavoratori dipendenti, anche ricorrendo ai propri associati.
Tuttavia, come ha accertato dalla Corte territoriale, non è stato il Comitato locale di Vasto a procedere alla assunzione della COGNOME, ma la società di lavoro interinale RAGIONE_SOCIALE, che si è interposta tra il prestatore di lavoro ed il datore di lavoro effettivo per mezzo di un contratto di somministrazione ritenuto un mero «escamotage» dalla Corte territoriale: «essendosi incrementata la richiesta di trasporto da parte della ASL 02 si era ricorso ai contratti di somministrazione per assumere i volontari i quali però dipendevano in tutto e per tutto dalla CRI» (pag.4 della sentenza).
Sotto questo profilo, i due motivi non centrano la ratio decidendi , perché la parte ricorrente non ha mosso alcuna censura con riferimento al tema del ricorso abusivo al contratto di somministrazione. Per altro verso se è vero l’art.18 della legge 388/2000 non prevede più la incompatibilità tra volontariato e rapporto di lavoro subordinato è anche vero che tale incompatibilità pertiene a rapporti instaurati con persone diverse, essendo possibile la sussistenza sia di rapporti di lavoro subordinato che di rapporti di volontariato. Ciò che non appare invece possibile è che il medesimo rapporto sia in parte qualificabile come rapporto di lavoro subordinato ed in parte come volontariato.
Il terzo motivo è inammissibile, perché la censura ha per oggetto la valutazione delle risultanze istruttorie, valutazione riservata al giudice del merito non versandosi nella ipotesi della valutazione di prove legali. Le medesime considerazioni valgono anche con riferimento al quarto motivo di ricorso.
Com’è noto, il compito di questa Corte non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito, dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (si v., Cass. n. 11176 del 2017), come, in effetti, è accaduto nel caso in esame.
La valutazione delle prove raccolte anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 1234 del 2019, n. 20553 del 2021).
La Corte d’Appello, nella fattispecie in esame, invero, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio, ha, in modo logico e coerente, indicato le ragioni per le quali ha ritenuto, in fatto, che fosse provata la sussistenza di un rapporto di lavoro con la CRI.
Per questi motivi il ricorso è inammissibile.
La parte ricorrente, in ragione della soccombenza, deve essere condannata al pagamento delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17
della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro