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Querela di falso: Cassazione su firma dissimulata

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso riguardante una querela di falso su una firma ritenuta appositamente dissimulata. La Corte ha ribadito che non può riesaminare nel merito le valutazioni tecniche del CTU, se la sentenza d’appello ha fornito una motivazione logica e coerente, anche se per relationem, respingendo le critiche degli appellanti. Il caso conferma i rigidi limiti del giudizio di legittimità sulla valutazione delle prove.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Querela di Falso e Firma Dissimulata: La Cassazione sui Limiti della Prova

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sui limiti del sindacato di legittimità in materia di querela di falso e sulla valutazione delle prove tecniche, in particolare quando si contesta una firma apparentemente dissimulata. La vicenda, che trae origine da una notifica in ambito tributario, si è incentrata sulla presunta falsità della sottoscrizione apposta su un avviso di ricevimento, che i ricorrenti sostenevano non essere autentica. La Suprema Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha ribadito principi fondamentali del processo civile.

I Fatti di Causa

Due contribuenti avevano proposto una querela di falso contro l’Agenzia delle Entrate, contestando l’autenticità della firma illeggibile su un avviso di ricevimento di un atto di appello. Secondo i ricorrenti, la firma non era riconducibile a nessuno dei soggetti autorizzati a ricevere l’atto.

Nei primi due gradi di giudizio, sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano rigettato la domanda. Le decisioni si basavano ampiamente sulle conclusioni di un Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU), un grafologo nominato dal giudice. L’esperto aveva concluso che la firma, sebbene apposta con l’intento di dissimularla, era riconducibile alla coniuge convivente di uno dei destinatari. I giudici di merito avevano ritenuto le conclusioni del CTU fondate, nonostante le critiche mosse dai ricorrenti riguardo alla metodologia utilizzata dal perito, come l’aver richiesto ai soggetti esaminati di apporre anche firme di fantasia.

I Motivi del Ricorso e la Querela di Falso

I contribuenti si sono quindi rivolti alla Corte di Cassazione, lamentando diversi vizi della sentenza d’appello. I principali motivi di ricorso vertevano su:

1. Apparenza della motivazione: I ricorrenti sostenevano che la Corte d’Appello si fosse limitata a ripercorrere acriticamente il ragionamento del Tribunale, senza esaminare le specifiche censure mosse con l’atto d’appello.
2. Violazione delle norme sulla valutazione delle prove (art. 115 e 116 c.p.c.): Si contestavano gli errori metodologici del CTU, che a dire dei ricorrenti avrebbero viziato l’intera perizia e, di conseguenza, la decisione del giudice.
3. Omesso esame di un fatto decisivo: La Corte d’Appello non avrebbe considerato le evidenti diversità tra la firma contestata e la firma autografa della persona a cui era stata attribuita.

In sostanza, i ricorrenti chiedevano alla Cassazione di rimettere in discussione l’attendibilità della perizia grafologica e la valutazione che ne avevano fatto i giudici di merito.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, esaminando congiuntamente i motivi proposti. Le motivazioni della decisione sono un compendio dei principi che regolano il giudizio di legittimità.

In primo luogo, la Corte ha escluso che la motivazione della sentenza d’appello fosse meramente apparente. I giudici hanno chiarito che è legittima la motivazione per relationem, ovvero quella che fa riferimento alla sentenza di primo grado, a condizione che il giudice d’appello dia conto delle ragioni per cui le censure dell’appellante non sono fondate. Nel caso di specie, la Corte d’Appello non si era limitata a un’adesione acritica, ma aveva preso in esame le critiche mosse all’operato del CTU, ritenendole infondate con argomentazioni specifiche.

In secondo luogo, e questo è il punto cruciale, la Cassazione ha ribadito che il ricorso basato sulla violazione degli articoli 115 e 116 del codice di procedura civile non può trasformarsi in un pretesto per ottenere un nuovo esame del merito della causa. I ricorrenti non lamentavano un errore di diritto nella valutazione della prova, ma contestavano l’apprezzamento del giudice, cioè il modo in cui egli aveva esercitato il suo potere di valutazione. Questo tipo di censura, hanno ricordato i giudici, è ammissibile solo nei ristretti limiti del vizio di motivazione (art. 360, n. 5 c.p.c.), che non era stato adeguatamente provato.

La Corte ha sottolineato che i ricorrenti si limitavano a riproporre le stesse critiche già formulate in appello, senza riuscire a scalfire la coerenza logico-giuridica del ragionamento della Corte territoriale. L’obiettivo era, in sostanza, sollecitare una nuova valutazione delle prove, compito che non spetta alla Corte di Cassazione.

Conclusioni

L’ordinanza in commento rafforza un principio cardine del nostro sistema processuale: la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non un terzo grado di merito. La sua funzione è garantire l’uniforme interpretazione della legge e il rispetto delle norme processuali, non rivedere i fatti o la valutazione delle prove come un consulente tecnico o un perito.

Per chi affronta una querela di falso, questa decisione ribadisce che le contestazioni alle conclusioni di un CTU devono essere precise e ben argomentate nei gradi di merito. In sede di legittimità, non è sufficiente lamentare un’errata valutazione da parte del consulente o del giudice; è necessario dimostrare un vizio logico-giuridico manifesto nel ragionamento della sentenza impugnata o una violazione di specifiche norme di diritto. In assenza di tali vizi, la valutazione compiuta dai giudici di merito, basata sul loro “prudente apprezzamento”, rimane insindacabile.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione di una perizia (CTU) fatta da un giudice?
Sì, ma solo entro limiti molto stretti. Non si può chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare la perizia per arrivare a una conclusione diversa. È possibile contestarla solo se si dimostra che il giudice, nel valutarla, ha violato una norma di legge specifica o ha seguito un ragionamento palesemente illogico o contraddittorio, rendendo la motivazione della sentenza incomprensibile o meramente apparente.

Una sentenza d’appello può motivare la decisione richiamando la sentenza di primo grado?
Sì, la motivazione cosiddetta “per relationem” è ammessa. Tuttavia, il giudice d’appello non può limitarsi a un’adesione acritica. Deve dimostrare di aver preso in esame i motivi di impugnazione e deve spiegare perché le ragioni della sentenza di primo grado sono sufficienti a respingere le critiche dell’appellante, garantendo che il percorso argomentativo complessivo sia chiaro e completo.

Cosa significa che un ricorso in Cassazione è “inammissibile”?
Significa che il ricorso non possiede i requisiti formali o sostanziali richiesti dalla legge per poter essere esaminato nel merito. La Corte, in questo caso, non decide se il ricorrente ha ragione o torto sulla questione di fondo, ma stabilisce che il modo in cui è stato presentato l’appello è errato, ad esempio perché chiede una nuova valutazione dei fatti invece di denunciare una violazione di legge. Di conseguenza, la sentenza impugnata diventa definitiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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