Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4939 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4939 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25460/2020 R.G. proposto da COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale RAGIONE_SOCIALE, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO;
-intimata – avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 6297/19, depositata il 30 dicembre 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 novembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e NOME COGNOME convennero in giudizio l’RAGIONE_SOCIALE, proponendo querela di falso avverso l’avviso di ricevimento, sottoscritto con firma illeggibile, relativo al plico raccomandato n. 133831921339, spedito il 13 maggio 2008, con cui, nel giudizio avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di rettifica e liquidazione inerente a una permuta di immobili, l’RAGIONE_SOCIALE aveva provveduto alla notificazione dell’atto di appello avverso la sentenza di accoglimento del ricorso, emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli il 30 marzo 2007.
Si costituì l’RAGIONE_SOCIALE, ed eccepì il proprio difetto di legittimazione passiva e l’infondatezza della domanda, chiedendo la riunione del giudizio ad un altro pendente tra le stesse parti dinanzi al Tribunale di Napoli, ed avente ad oggetto un’altra querela di falso, proposta avverso un altro avviso di ricevimento consegnato nella medesima giornata.
1.1. Con sentenza dell’11 dicembre 2014, il Tribunale di Napoli rigettò la querela di falso, ritenendo che la sottoscrizione fosse stata apposta da NOME COGNOME, coniuge convivente di NOME COGNOME, con l’intenzione di dissimularla.
L’impugnazione proposta dal COGNOME e dal COGNOME è stata rigettata dalla Corte d’appello di Napoli con sentenza del 30 dicembre 2019.
Premesso che la sentenza di primo grado aveva fatto proprie le conclusioni del c.t.u. nominato nel corso del giudizio, il quale aveva individuato una serie di concordanze tra la sottoscrizione contestata e le firme di comparazione, tali da consentire anche ad un osservatore non tecnico di cogliere ictu oculi gli elementi caratterizzanti della grafia della COGNOME, confutando anche i rilievi sollevati dal c.t. di parte, che aveva evidenziato l’incompatibilità tra la dissimulazione e la redazione della firma senza esitazioni, la Corte ha ritenuto insussistente l’errore metodologico denunciato dagli appellanti, consistente nell’affidamento al c.t.u. del compito d’individuare l’autore della firma tra cinque soggetti, osservando che l’incarico avrebbe potuto condurre anche ad escludere la riconducibilità della firma a tutti i soggetti indicati. Ha ritenuto altresì insussistente l’ulteriore errore metodologico addebitato al c.t.u., con-
sistente nella formulazione dell’ipotesi che la firma fosse stata dissimulata, rilevando che tale ampliamento del campo d’indagine era stato determinato dall’assenza di riscontri significativi tra la firma contestata e quelle esaminate, che aveva indotto il c.t.u. a richiedere ai cinque soggetti indicati il rilascio anche di firme di fantasia. Rilevato inoltre che il c.t.u. aveva acclarato la riconducibilità della firma alla COGNOME sulla base RAGIONE_SOCIALE similitudini riscontrate con la firma camuffata, la Corte ha ritenuto che tali similitudini non potessero essere escluse in virtù della presenza di diversità rispetto alla firma autografa della COGNOME. Ha reputato poi generiche le censure riflettenti la violazione del principio di legalità e del principio dispositivo, non avendo gli appellanti indicato i documenti utilizzati dal c.t. di parte come scritture di comparazione e il momento in cui aveva luogo il deposito, affermando comunque che le discordanze rilevate tra la firma contestata e quella camuffata non escludevano la riconducibilità della prima alla COGNOME, sotto altri aspetti della grafia. La Corte ha ritenuto infine irrilevante l’intervenuto accoglimento della querela di falso proposta dal COGNOME e dalla RAGIONE_SOCIALE avverso il coevo avviso di ricevimento, osservando che tale pronuncia aveva ad oggetto un’altra sottoscrizione apposta su un atto riguardante un diverso giudizio, e rigettando pertanto l’istanza di riunione tra l’appello proposto avverso la stessa ed il presente giudizio.
Avverso la predetta sentenza il COGNOME ed il COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi. L’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha resistito mediante il deposito di un atto di costituzione, ai fini della partecipazione alla discussione orale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità della costituzione in giudizio dell’RAGIONE_SOCIALE, avvenuta mediante il deposito di un atto finalizzato esclusivamente alla partecipazione alla discussione orale, anziché mediante controricorso: nel procedimento in camera di consiglio dinanzi alla Corte di cassazione, il concorso RAGIONE_SOCIALE parti alla fase decisoria deve infatti realizzarsi in forma scritta, attraverso il deposito di memorie, il quale postula che l’intimato si costituisca mediante controricorso tempestivamente notificato e
depositato (cfr. Cass., Sez. I, 25/10/2018, n. 27124; Cass., Sez. V, 5/10/ 2018, n. 24422; Cass., Sez. III, 20/10/2017, n. 24835).
Con il primo motivo d’impugnazione, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per apparenza della motivazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., rilevando che la Corte d’appello si è limitata a ripercorrere acriticamente il ragionamento seguito nella sentenza di primo grado, affermando di condividerla, senza prendere in esame le censure formulate con l’atto di appello.
Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., sostenendo che, nell’escludere la sussistenza degli errori metodologici addebitati al c.t.u., la Corte d’appello non ne ha colto la natura, non avendo accertato la correttezza del metodo seguito dal c.t.u., ma essendosi limitata ad affermare la legittimità dell’ampliamento del campo d’indagine verso la firma dissimulata. Premesso che, in contrasto con il quesito postogli, il c.t.u. aveva ritenuto di dover necessariamente individuare l’autore della firma contestata tra i cinque soggetti indicati, formulando l’ipotesi della simulazione, pur in assenza di riscontri significativi tra la firma contestata e quelle esaminate, sostengono che il ricorso alla firma di fantasia ha generato confusione nelle indagini, impedendo d’individuare gli elementi caratterizzanti della scrittura degli esaminandi.
Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che, nel ritenere irrilevanti le diversità riscontrate tra la firma autografa della COGNOME e quella contestata, la sentenza impugnata non ha tenuto conto dell’accertamento compiuto dal c.t.u. in ordine alla dissimulazione soltanto parziale della firma contestata ed all’esistenza di diversità rispetto alla firma autografa della COGNOME.
Con il quarto motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per apparenza della motivazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., osservando che, nel confermare la riconducibilità della firma contestata alla COGNOME, la Corte d’appello ha omesso di esaminare analiticamente i rilievi mossi alla c.t.u. con l’atto di appello, volti ad evidenziare le diversità esistente tra la firma contestata e quella autografa.
Con il quinto motivo, i ricorrenti deducono la falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto irrilevante l’accoglimento della querela di falso proposta avverso l’altro avviso di ricevimento, senza considerare che la produzione della relativa sentenza e della relazione della c.t.u. espletata nel relativo giudizio era volta a dimostrare l’erroneità RAGIONE_SOCIALE conclusioni cui era pervenuto il c.t.u. nominato nel presente giudizio, anche alla luce della contemporanea effettuazione RAGIONE_SOCIALE notifiche ed alla coincidenza della persona che aveva ricevuto la consegna dei plichi raccomandati.
I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto profili diversi della medesima questione, sono inammissibili.
La sentenza impugnata risulta infatti corredata da un’ampia ed approfondita motivazione, nella quale la Corte d’appello non si è limitata a richiamare le considerazioni svolte dal Tribunale, che aveva aderito alle conclusioni del c.t.u., ma ha preso puntualmente in esame le critiche mosse dagli appellanti all’operato di quest’ultimo, disattendendole sulla base di articolate ed ineccepibili argomentazioni: è noto d’altronde che la sentenza d’appello può essere motivata anche per relationem , cioè con rinvio a quella di primo grado, a condizione che il giudice del gravame non si limiti ad aderire acriticamente alla stessa, omettendo di valutare i motivi d’impugnazione, ma dia conto, sia pur sinteticamente, RAGIONE_SOCIALE ragioni della conferma in relazione alle censure proposte ovvero dell’identità RAGIONE_SOCIALE questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, in modo tale che dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente (cfr. Cass., Sez. I, 5/08/2019, n. 20883; 19/07/2016, n. 14786; Cass., Sez. lav., 5/11/2018, n. 28139).
Nella specie, le ragioni poste a fondamento dell’attribuzione della firma contestata emergono con chiarezza dalla motivazione della sentenza impugnata, il cui percorso argomentativo non risulta in alcun modo scalfito dalle censure proposte dai ricorrenti: questi ultimi non sono in grado d’individuare lacune argomentative o carenze logiche del ragionamento seguito dalla Corte territoriale, ma lamentano il travisamento RAGIONE_SOCIALE doglianze da loro formulate con l’atto di appello, ed in particolare di quelle riguardanti il metodo d’inda-
gine adottato dal c.t.u., senza considerare che in sede di legittimità l’interpretazione dei motivi di gravame non è censurabile per violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., ma, al pari di quella della domanda, soltanto per incongruenza o illogicità della motivazione, neppure dedotte nel caso in esame (cfr. Cass., Sez. VI, 3/12/2019, n. 31546; Cass., Sez. lav., 24/07/2012, n. 12944; 2/11/2005, n. 21208). La violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è infatti deducibile soltanto quando si alleghi che il giudice, nel valutare una prova, non abbia operato secondo il suo prudente apprezzamento, ma abbia preteso di attribuirle un determinato valore, in assenza di un’apposita previsione normativa, oppure, ove la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutarla secondo il suo prudente apprezzamento, mentre qualora si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento, la censura è ammissibile soltanto nei limiti di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54, comma primo, lett. b) , del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez. Un., 30/09/ 2020, n. 20867; Cass., Sez. V, 9/06/2021, n. 16016; Cass., Sez. III, 10/06/ 2016, n. 11892).
Nel contestare l’apprezzamento compiuto dalla sentenza impugnata, i ricorrenti non si curano poi di confutare le considerazioni specificamente svolte dalla Corte territoriale, ma si limitano a riproporre i rilievi formulati con l’atto di appello, in tal modo dimostrando di voler sollecitare una nuova valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze probatorie, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica RAGIONE_SOCIALE argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, nonché la coerenza logico-formale RAGIONE_SOCIALE stesse, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili con il ricorso per cassazione, a seguito della riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. (cfr. Cass., Sez. I, 13/01/2020, n. 331; Cass., Sez. II, 29/10/2018, n. 27415; Cass., Sez. V, 4/08/2017, n. 19547). Quanto poi alla dedotta violazione RAGIONE_SOCIALE art. 115 cod. proc. civ., è appena il caso di richiamare il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la stessa è configurabile soltanto nel caso in cui il giudice, in contraddizione espressa o implicita con
la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui la legge gli riconosce poteri istruttori officiosi (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), e non anche nel caso in cui, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 cod. proc. civ. (cfr. Cass., Sez. Un., 30/09/2020, n. 20867; Cass., Sez. V, 9/06/2021, n. 16016; Cass., Sez. VI, 23/10/2018, n. 26769).
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, senza che occorra provvedere al regolamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione dell’intimata.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1bis RAGIONE_SOCIALE stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 10/11/2023